Adoro l'autoradio. Soprattutto quando l'attinenza tra il viaggio ed un concept album è così evidente.
A volte in auto ci resto un pò di più, fino a che la
canzone finisce, perchè mi sembra un peccato parcheggiare e
spegnere.
C'è
chi la musica la ascolta mentre cucina, chi nel bagno di prima mattina,
chi isolato da cuffie in plastica che partono da aggeggi bianchi
dall'estetica dannatamente accattivante. Quelli che Forres Gump direbbe
provengano dal suo "Negozio di Mele".
Ho consegnato il disco ai meccanismi silenziosi di un'autoradio dal display blu, che in pochi istanti segna "traccia 1".
L'ho
fatto con questo pensiero: "The Captain & The Kid" è la fine di un
viaggio? Oppure ci sarà un "Elton John" numero due? Un "Tumbleweed
Connection" reloaded?
L'importante è non aspettarsi che il seguito sia migliore del primo, perchè non succede mai.
In
"Captain & The Kid" non ci sono singoli che fanno la storia del
rock. Di singoli così non ce ne sono da molti anni, nella discografia
di Elton John.
Ma ci interessa davvero avere "singoli di successo"? Sono indispensabili, oggi?
Non
ci sono hits, in "The Captain & The Kid", perchè questo non è un
disco pop, con le regole stantie e retrograde del pop, non è un disco
con l'adesivo "contiene il grande successo...". "The Captain & The
Kid" è un musical, uno spettacolo itinerante. Dieci belle canzoni.
E alla fine un pugno nello stomaco da mettere in discussione quel luogo comune che gli uomini non devono piangere.
In
"Postcards From Richard Nixon" c'è la ritmica di "Captain Fantastic
& The Brown Dirt Cowboy", traccia numero uno di trent'anni fa, una
delle cose più belle mai scritte in epoca di album mangiaclassifiche.
"Just Like Noah's Ark" è una "Tulsa Time" riveduta e corretta, con le
armonie di "Restless" e le soluzioni di "They Call Her The Cat", la
solita canzone-diretto delle dieci e quindici, con la locomotiva tirata
da Nigel Olsson (i soliti pochi colpi, essenziali e decisivi).
"Tinderbox", più inglese di così si muore, apre a "The House Fell
Down", New Orleans nei suoni e tanto pianoforte da mettere sottovuoto e
conservare con cura.
Durante il viaggio la notte mi riporta "The
Bridge" come non l'avevo vista. E cioè all'interno del lungo piano
sequenza di "The Captain & The Kid".
Da sola è come l'unico sopravvissuto ad un disastro aereo. Dispersa.
Dentro
al corso della storia di quest'album, invece, "The Bridge" è un salto
nel vuoto, così vicina alla solitudine di "Breaking Hearts", gioiello
del disco omonimo, in quell'epoca in cui zio Elton scriveva storie di
tre minuti, e dentro c'erano emozioni lunghe un'ora.
Da "The Bridge"
in poi il film "Captain & The Kid" dà il meglio di sè, fino alla
canzone che ti aspetti da vent'anni, quella col rif che resta in testa
due giorni, a chiudere un viaggio di 200 chilometri, il mio di questa
notte, e quello di Captain Fantastic, iniziato 31 anni fa. Un viaggio
che finisce alla tracca dieci, "The Captain & The Kid", con tutti i
mandolini migliori di Johnstone che dà il giusto seguito artistico alla
prima opera. Un seguito che, quanto a qualità sonora, suona
dannatamente bene.
E' su "Captain & The Kid" traccia dieci
che il conducente al chilometro 100 lascia andare una lacrima, per
questo ciclo che in qualche modo si è chiuso, quello del Capitano e del
Cowboy, per questa voglia di hip hop da far cadere le braccia, per
questa storia infinita che al di là di ogni sviluppo ci ha reso e ci
rende ancora tutti uguali, tutti Capitani o Cowboys, tutti insieme, chi
con le cuffie, chi dentro l'auto, chi sprofondato in poltrona, chi nel
mezzo di una corsa a piedi, tutti quanti uniti da 10 nuove storie, che,
è vero, non sono supernove, ma insieme fanno una dignitosa
costellazione, il Tropico del Capitano Fantastico, che adesso è
costellazione di doppia bellezza.
E' vero. You can't go back. Non si può tornare indietro.
Ma thanks God the music's still alive.