Peachtree Road
di Beppe Donadio
IL PESO DEL MONDO
Nel finale di "Manhattan", vecchio cult
del 1977, Woody Allen si siede sul divano, per fare una rapida e disperata
lista delle cose per le quali vale la pena di vivere.
E dentro ci finiscono movimenti di
sinfonie, luoghi, gli occhi di Mariel Hemingway e qualt'altro.
E' un lavoro da rispolverare ogni tanto,
per ricordarsi dell'esistenza di punti fermi, nello scorrere balordo dei
giorni e l'alternanza dei picchi di entusiasmo e quelli
di vili rinunce a capire il significato
delle cose. Che non esiste.
C'è un piccolo, morboso, sensuale
piacere che sta in azioni apparentemente scontate, quali quella di scartare
il cellophane dall'oggetto cd, sfiorarne la freschezza di
stampa, forzarne la piegatura delle
pagine, rispettando gli angoli perfettamente rigidi, dannandosi l'anima
per un case danneggiato, o graffi non visti.
Il tutto per il breve momento dell'acquisto,
perchè come per SFTWC l'oggetto cd Peachtree Road diventerà
la cosa più usata e sgualcita dell'anno, che se la superficie
del cd potesse svelarne gli innumerevoli
ascolti, come una volta il vinile, sincero e vulnerabile...
Weight of The World è un ricordo
talmente vecchio e attuale da non poterne fare a meno. E' una vecchia fiamma,
tutto quello per cui tutto è cominciato.
E Peachtree Road è di una eleganza
che stupisce, a partire dalle note a retro, dove compare "produced by Elton
John", come se venti anni di Clive Franks, Chris Thomas,
ed affini fossero il peggiore degli
incubi sonori che il sonno dell'equilibrio potesse produrre.
Un album di tale coerenza stilistica
e privo di eccessi che sul retro del cd sarebbe potuto comparire "arrangiato
da James Newton Howard", o "prodotto da Phil Ramone",
quelli che le cose sanno metterle dove
serve, senza fuochi d'artificio e trombette di carnevale.
Quanta forza e quanta America in Porch
Swing in Tupelo, quanta in They Call Her The Cat, dal piglio Huey Lewis
& The News, e, grazie al cielo, il cielo ci
restituisce ballads semplici e contenute
come Freaks in Love, e My Elusive Drug, noir musicale da palcoscenico.
Non c'è un singolo della forza
di I want Love, se un limite si deve cogliere, perchè All That I'm
Allowed è un esperimento di gran classe, ma che non sfonderà
le charts.
Come Answer In The Sky, macchinosa
quanto il fallito tentativo di scrivere la più inglese delle canzoni
country, Turn The Lights Out When You Live.
E comunque non importa, perchè
la storia scorre fluida e rispettosa della natura acustica di questo lavoro;
nulla stona, o suona invasivo, in Peachtree Road, nessuna di
queste dodici composizioni ricade nel
misero e disperato tentativo di comporre un numero uno (Orginal Sin), ma
ogni canzone è un convoglio dello stesso treno,
puntuale e silenzioso come un TGV,
con grandi finestrini sull'anima e aria condizionata che non infastidisce.
SFTWC ha fatto da splendido garante
di un futuro dignitoso e rispettoso dell'Artista. Tutto appare ispirato,
bilanciato e funzionale al risultato finale di un album che è musicalmente
e compositivamente un concept-album, e nelle parole di Taupin un'alternanza
di graffi e carezze da letteratura sudamericana.
Sensualità, sorpresa, passione.
Lo stesso senso di piacevole smarrimento nel rivedere una donna dieci anni
dopo, adulta e bellissima, nuova e pericolosamente
attraente. 12 canzoni che sanno di
cartone, di copertina, di busta con sopra i testi, di ingranaggi e puntina,
di analogico e legno, di lancette e manopole.
Era l'ultima traccia. Ancora Weight
of The World: e chi si stancherà mai...
Beppe
beppedonadio@tin.it
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