RECENSIONI
DEI VISITATORI
21 at 33
inviate la vostra
recensione di un disco
di Elton e sarà pubblicata in questa sezione.
non preoccupatevi, non
cerchiamo critici
professionisti, ma le impressioni, positive o negative, dei fans!
di Beppe Bonaventura (gennaio 2010)
Penso che Elton e il suo entourage, dopo aver visto i
terrificanti esiti della realizzazione di Victim Of Love, si saranno
detti:" ed ora come si può rimediare a questa tremenda cazzata?"
L'album Victim Of Love aveva ottenuto diversi risultati: l’azzeramento delle
vendite di Elton, già in calo, e della sua residua credibilità, e probabilmente
la fuga di una buona parte dei suoi fans storici, inorriditi da un disco
simile.
Per tentare di rimediare l'unica soluzione era di pubblicare, in breve tempo,
un "vero" album di Elton John, mettendo insieme ciò che di buono era
disponibile al momento.
Si iniziò così ‘ripescando’ Bernie, un gruppo di musicisti validi e qualche
collaborazione di prestigio. Si presume che dietro all'operazione ci fosse
James Newton Howard, allora talentuoso tastierista di Elton e futura star delle
colonne sonore hollywoodiane.
Il risultato è 21 at 33, , il 21°
album di Elton a 33 anni d'età, che è sicuramente un buon album, fin troppo
sottovalutato sia dai fans sia da tutti gli altri.
Non stiamo certo parlando di un capolavoro, ma di un disco ben realizzato e ben
suonato, che rende piena giustizia a un gruppo di canzoni abbastanza valide.
Tra i brani non c'è sicuramente il pezzo memorabile che si stacca nettamente
dagli altri, ma il livello è più che discreto e, soprattutto, sono prodotte e
suonate molto bene, come purtroppo non sarebbe quasi mai più successo nei
successivi due decenni.
In 21 at 33 troviamo anche ben due
collaborazioni con Tom Robinson, reduce dai successi della Tom Robinson band e futuro esponente del movimento gay inglese: Sartorial Eloquence e Never Gonna Fall In Love Again (il terzo
brano frutto della loro collaborazione, Elton's
Song, troverà spazio su The Fox, altro album dalla genesi abbastanza
simile).
E, incredibilmente, da questo album realizzato un po' di fretta, mettendo
insieme i brani come i pezzi di un puzzle raffazzonato, è uscita anche una top
2 della classifica di Billboard di quell'anno, la hit Little Jeanie, canzone piacevole, realizzata con la solita cura.
Forse non vale neanche la pena soffermarsi sulle singole canzoni, quello che
conta è il risultato globale, che è veramente valido e soprattutto
"suona" come un vero disco di Elton John, con veri strumenti e veri
musicisti, prima del triste sopravvento di tutta una strumentazione
elettronica, che non è certo adatta a rendere giustizia alla sua musica.
A sorpresa la produzione di Elton con Clive Franks (e probabilmente James
Newton Howard) è riuscita a combinare le canzoni di diversa origine e i
numerosi musicisti impiegati in maniera quasi perfetta, come forse non
avrebbero fatto produttori ben più collaudati.
Riassumendo: un buon disco dove canzoni discrete vengono proposte nella maniera
migliore, un lavoro poco conosciuto che regge benissimo il passare degli anni.
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di Stefano Orsenigo (gennaio 2012)
Ci
sono cantanti che anticipano o dettano le tendenze musicali e altri,
come Elton John, che a volte vi si accodano senza grande convinzione.
Dal libretto del cd apprendiamo che le canzoni di 21at33 vennero
scritte e in parte incise nell’agosto ‘79, quindi è probabile che al
progetto dance di Victim of Love (uscito in ottobre) non dovesse
credere nemmeno lui; forse pensava di riconquistare le classifiche col
minimo sforzo, limitandosi a prestare la voce e seguire la moda, e così
il comprensibile flop travolse anche il povero 21at33 alla sua uscita
nel 1980.
Per fortuna a livello artistico il ventunesimo LP del 33enne Elton si
fa perdonare lo scivolone: non si concede alle nuove sonorità
elettroniche (le tastiere di James Newton Howard sono usate banalmente
in vece degli archi) ma tiene degnamente testa a Billy Joel, l’”Elton
John d’America” che gli ha sottratto i favori del pubblico USA. Il
romantico primo singolo Little Jeannie e la sua gemella Never gonna
fall in love again ne richiamano un po’ lo stile, con i loro morbidi
fiati, ma non valgono di certo una Just the way you are. Al contrario
il rock iniziale Chasing the crown per grinta e potenza supera le
varie, pur pregevoli Big shot e You may be right del collega.
Come già A Single Man, l'album è prodotto da Elton con Clive Franks,
che se la cavano bene grazie ad un’ottima band cui fanno parte elementi
dei Toto (Steve Lukather, David Paich) e gli Eagles ospiti ai cori
della bella White lady white powder.
Non c’è più il genio dei primi anni 70 ma l'artista è ancora abbastanza
in forma da scrivere una ballad da applausi (Sartorial eloquence) e
spruzzare il suo pop di gospel (Dear God), country (Take me back), soul
(Give me the love, trascinante), R&B (Two rooms at the end of the
world, in cui riallaccia i rapporti con Bernie; gli altri parolieri
sono Gary Osborne, Tom Robinson e Judie Tzuke, per lui un record).
Risultato onesto, pulito, gradevole, ben confezionato: come un disco di
Billy Joel, e meritevole di riscoperta.
Voto 7+
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di Angelo 2012
Un
album di transizione, questo è il primo pensiero che ho formulato una
volta concluso l’ascolto di "21 at 33". Questo disco ha sicuramente un
grande pregio, ma anche un grande difetto: il pregio è quello di aver
fatto presto dimenticare la follia di Victim of love di nemmeno un anno
prima; l’album infatti guarda moltissimo al passato, forse ancor di più
di "A single man", che a parte "It ain’t gonna be easy" e "Shine on
through" si vedeva chiaramente che, seppur di grande qualità, aveva
iniziato una certa evoluzione, come del resto credo giusto che un
grande artista debba fare.
Il difetto invece è proprio il fatto che l’album non osa, mai: "21 at
33" è un album compatto, 9 brani molto semplici, nella produzione,
nelle musiche, anche nei testi.
Credo che se facessimo uno scambio immaginario tra "A single man" e "21
at 33" nessuno avrebbe nulla da ridire se il secondo fosse stato
pubblicato nel 1978 e il primo nel 1980!
"21 at 33" suona tutto d’un fiato, la produzione è semplice, quasi dal
vivo, Elton mostra una grande grinta, ecco forse se da un lato manca la
sperimentazione o comunque qualcosa di originale, dall’altro non posso
non notare una grinta e una voce di Elton al top, con grandi
interpretazioni che forse solo da "Blue Moves" Elton effettivamente ha
iniziato a curare di più.
Tra le 9 canzoni che scappano via, nessuna emerge in negativo, ma
nemmeno in positivo: la media è sulla sufficienza abbondante, con
qualche canzone magari ben strutturata musicalmente, ma che perde
qualcosina nei testi, mai troppo intensi.
Il brano migliore a mio avviso è "Give me the love", seguita da "White
lady, white powder", davvero grintosa anche nei live dell’epoca. Già, i
live: non dimentichiamoci infatti che seppur siano iniziati gli
altalenanti anni ’80, credo nessuno possa lamentarsi dell’attività del
vivo che, almeno nei primi 3-4 anni ha visto protagonista il nostro
Elton, un’attività che dal concerto di Central Park del 1980 ha
mostrato un cantante ancora sulla cresta dell’onda, secondo me.
"21 at 33" ci presenta anche il singolo di successo "Leattle Jeannie",
pezzo carino, forse un po’ banalotto nel testo che lo penalizza, così
come "Take me back", bel pezzo country buttato giù da liriche al limite
della sufficienza.
Insomma, da questo album si evince comunque che Elton ha ancora
l’ispirazione giusta, certo non è il capolavoro degli anni ’70, ma è
anche vero che questo disco ci presenta un artista con ancora voglia di
fare, grinta, voce e interpretazione. Sono iniziati i famigerati anni
’80, ma francamente non mi sembrano iniziati male, anzi.
Voto complessivo: 7
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di The Bridge 2012
21 at 33 è l'album in cui Elton tira le somme di un decennio, gli anni
'70, purtroppo irripetibile. Reduce dal disastroso "Victim of love",
improbabile lavoro in chiave "disco", Elton prova a tornare all'antico
realizzando uno dei suoi album più retrospettivi. Questo, però, non si
traduce in una resa finale paragonabile ai suoi lavori anni 70. Sono
cambiati i tempi, il pubblico; ma soprattutto è cambiato lui. Non c'è
traccia, in 21 at 33, della genialità elargita a piene mani dei suoi
primi lavori; non c'è alcuna sperimentazione convincente in questa
miscellanea di brani carini, curati, ma nulla più. C'è soltanto una
rigida e puntigliosa accademia, una generalizzata paura di sbagliare
che frena le ambizioni di un album realizzato in un periodo cruciale
della carriera di Elton John. Eppure anche qui Elton, a livello
d'interpretazione, fornisce un'ottima prova (anche se non al livello
del precedente A Single Man); tecnicamente le canzoni funzionano, sono
ottimamente suonate. Però manca la personalità, l'incisività. Sotto
questo punto di vista questo lavoro insipido, involuto, fa il paio col
successivo, seppur diversissimo "The big picture": album senza infamia
e senza lode, con alcuni momenti azzeccati che includono perfino "hits"
spaccaclassifica ("Little Jeannie", gradevole canzone d'amore che
ricalca sotto molti aspetti "Daniel", arriverà pur sempre al n. 3 USA),
ma con altrettante ricadute nel già sentito, nel banale. Col successivo
"The fox", che dal punto di vista delle vendite si rivelerà un flop più
consistente, Elton proverà a farsi perdonare questa piccola caduta
nell'ovvio.
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