RECENSIONI DEI VISITATORI
Live In Australia
inviate la vostra recensione di un disco
di Elton e sarà pubblicata in questa sezione.
non preoccupatevi, non cerchiamo critici
professionisti, ma le impressioni, positive o negative, dei fans!
di Angelo (06/06/05)
Ad un anno dall'acquisto di questo album
, voglio scrivere le sensazioni che questo straordinario "reperto live"
mi ha dato in questi mesi:
Il disco ripropone la seconda parte del
tour australiano del 1986, ovvero la parte orchestrale.
Il primo brano è "Sixty years on":
inizio migliore non poteva essere; il suono maestoso dei violini che sfocia
nella dolcezza dell'arpa è da urlo; la canzone è interpretata
benissimo, da un Elton con una voce non potente ma comunque affascinante.
Segue una deliziosa versione di "I need
you to turn to", davvero bella e i violini fanno eco alla voce di Elton
in maniera superba.
Segue uno dei punti più alti del
disco: "The greatest discovery": sarà che la canzone è divina
di suo, ma l'arrangiamento di questo concerto è fantastico; violini
e flauti si alternano in maniera eccellente insieme al superbo pianoforte
di Elton. Davvero un bellissimo momento.
Quasi come d'incanto veniamo trasportati
in quella che, a mio giudizio, è la canzone più bella di
Elton, "Tonight", resa in questo concerto ancora più bella, grazie
ai suoni dell'orchestra e ad una interpretazione toccante e struggente.
7 minuti di delirio.
Segue una "Sorry seems to be the hardest
word" non molto convincente, troppo rapida sul finale.
Si torna all'album "Elton John" con i
pezzi "The king must die" (davvero bello l'arrangiamento) e "Take me to
the pilot", divertente pezzo x smorzare i toni solenni del brano precedente.
E' il turno di "Tiny dancer", che, anche
in questa versione non ha bisogno di commenti; stupenda.
Arriva poi "Have mercy on the criminal":
un pezzo davvero originale interpretato bene da Elton nonostante le difficoltà
vocali.
Si abbassano i toni ed inizia "Madman
across the water": forse un po' troppo lunga; discreta.
Arriva "Candle in the wind", eseguita
in maniera egregia, davvero molto affascinante.
Segue "Burn down the mission": non è
sicuramente il pezzo migliore dell'album, soprattutto non è molto
ben arrangiato, secondo me.
"Your song" è il MUST di ogni concerto
di Elton: questa versione è davvero toccante e l'orchestra la rende
ancora più bella.
Chiude una "Don't let the sun go down
on me" davvero molto bella.
Un album davvero bellissimo, ma che sarebbe
stato ancora più bello se avessero inserito tutti i pezzi interpretati
con l'orchestra ("Cold as Christmas", "Carla/Etude", "Slow rivers" e "Saturday
night's alright for fighting").
Come voto gli do sicuramente un bel 9!!
Il più bell'album live di Elton secondo me.
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di Giorgia Turnone (dicembre 2010)
"Live in Australia"
40 (+1) anni d’ispirazione -
1986: don’t cry, reg
Non
piangere, Reg. Anche se le lacrime vengono giù da sole, impossibile
fermarle o nasconderle dietro un sorriso di facciata o un’ennesima
dose, perché tu non sai fingere, davvero, non ci riesci. Mentre ti
dirigi dal tuo pubblico, che soffre con te, sapendo del terribile male
che affligge la tua splendida voce.
Quella voce con cui hai
trasportato le anime del Paradiso dentro ogni tuo album, quella voce
con cui hai fatto sognare tutti, quella voce che ha permesso alla morte
di danzare accanto all’amore, che ha unito il tutto al nulla, e
viceversa.
Non piangere, Reg. Anche se hai paura, perché sai
della tua precaria condizione fisica, e sai anche che altri, prima di
te, non ce l’hanno fatta a superare l’ostacolo. Sai di non essere né il
primo né l’ultimo. E stai tremando.
E così, dopo aver
“rassicurato” il tuo amico Davey con la solita ironia che ti
contraddistingue (“Ma no, bastardo, mi sono innamorato del primo
violino”), sali sul palco, pronto a tenere il tuo (ultimo?) concerto.
Un boato esplode con fragore. Tutti si alzano in piedi e ti applaudono.
Sì, i tuoi fans sono in pensiero per e con te, cercano di tirarti un
po’ su con il loro amore, ancora una volta, forse per l’ultima volta.
Tu ti poni con il solito atteggiamento allegro e sbarazzino, guardi
tutta la tua gente negli occhi, proprio come a dire “io sono qui,
ancora una volta”.
Attacchi “Sixty years on”: mentre il pubblico
applaude entusiasta, nella tua mente si scolpiscono le parole del brano
“non desidero essere vivo a sessant’anni”. Suonano come profetiche? O
ce la farai ancora una volta? Immagini di un rosario rotto accanto ad
un fucile… intanto i violini dell’orchestra creano un’atmosfera
malinconica che poi si riversa in contrasto con la delicatezza
dell’arpa… pazzesco. E interpretazione perfetta, avvantaggiata da una
voce sicuramente meno potente dei fasti che furono ma davvero… magica.
Non piangere, Reg, nota il boato alla fine del brano.
Decidi di
deliziare la tua gente ancora una volta, pescando dallo stesso album
un’altra gemma, “I need you to turn to”, splendida in ogni suo accordo.
Il titolo non potrebbe davvero rendere al meglio il tuo stato d’animo.
Ti guardi intorno, e vedi tanta, ma davvero tanta gente che ti adora,
ti osanna, ti venera, e ti accorgi che è questo l’amore puro e vero.
Vuoi lasciarti alle spalle, almeno per una notte, la tua notte, tutto
il mondo sporco e falso di cui però ormai fai parte. Il maestoso
suonare dei violini echeggia per tutto il palco, fondendosi alla tua
voce in maniera strabiliante. Non piangere, Reg, perché sei strepitoso
e in fondo lo sai.
Poi. Altro brano e altre immagini in mente.
“The greatest discovery” è di quelle canzoni che porterai per sempre
nel tuo cuore: esecuzione eccellente, e vedi passarti davanti agli
occhi immagini di un bambino che nasce, proprio come stava nascendo la
tua carriera, contestata solo dagli ignoranti, quando componesti il
brano. L'arrangiamento di questo concerto fa poi il suo: il tuo
pianoforte, fuso con il delicato suono dei flauti e quello tagliente
dei violini, è fantastico. Ma ci fosse una, e dico una, volta che non
lo sia stato. Non piangere, Reg, perché qui tutti sono in estasi per te.
Segue
la struggente “Tonight”, 7 minuti in cui negli occhi di ogni persona
leggi l’odio del tuo paroliere per il mondo quando una straziante
separazione l’aveva dilaniato e annientato. Non piangere, Reg, anche se
questo momento, sì, è commovente davvero.
Dallo stesso, triste
album tiri fuori una versione incantevole di “Sorry seems to be the
hardest word”, la cui esecuzione perfetta è tradita, forse, da un
finale troppo rapido. Ma va bene così. Mentre i tuoi fans si spellano
le mani a furia di omaggiarti, tu ti rituffi nel passato, intonando
“The king must die” (pezzo già di per se divino, ma quest’oggi con un
arrangiamento maestoso) e nella tua mente assisti ad una crudele
congiura. Il Re è morto, Lunga vita al Re. Non piangere, Reg, perché
King John I scamperà al patibolo.
I cortigiani e i cospiratori
scompaiono per fare posto a figure animate e non, si staglia uno
scenario senza senso e tu ti cimenti in una divertente “Take me to the
pilot”, per scacciare la malinconica degli ultimi pezzi. Non piangere,
Reg, perché il pilota della tua anima sei proprio tu.
Scocca
l’ora di “Tiny dancer”. Un brano che dovrebbe andare di pari passo con
l’amore, ma tu chiudi gli occhi e sai che non è così, perché
quell’immagine del paroliere che danza con la sua donna è illusoria
come potrebbe esserla quella di un diavolo seduto su una nuvola. Ma la
canzone è stupenda. Non piangere, Reg, perché il tuo amico Bernie è
fiero di te.
“Have mercy on the criminal” è maestosa in tutta la
sua ermeticità. Anche se la tua voce inizia a perdere colpi, non ti
abbatti, come sempre d’altronde. Cadi e ti rialzi. Non piangere, Reg,
perché guardati, non ti sei fatto neanche un’ammaccatura.
La tua
gente sta toccando il cielo con un dito, e te ne compiaci. Vivi per
loro. Il prossimo brano è “Madman across the water”. A dispetto
dell’originale, questa versione è più lunga. Sì, non nasconderti, si
vede che cerchi di ammazzare la malinconia, su quei tasti che ti sono
cari come genitori, prima che la malinconia ammazzi te. Non piangere,
Reg, perché tu sei più forte di qualsiasi demone.
Arriva “Candle
in the wind”. Pezzo, questo, di una bellezza inaudita, resa immortale
dalle sfumature della tua voce, non più chiara ma profonda e cupa,
proprio come si addice al testo così caro al tuo amico Taupin. Mentre
suoni, si vede nei tuoi occhi il sorriso angosciato di Marylin. Non
piangere, Reg, la tua carriera non finirà dopo questa notte.
“Burn
down the mission” è splendidamente arrangiata, ma inutile sprecare le
parole, non c’è un singolo brano a cui tu non abbia reso onore,
stasera. Non piangere, Reg, perché le tue lacrime sono le lacrime di
tutti.
Ad un certo punto, l’apice del tuo splendido spettacolo.
Quando intoni le note finali del brano e ti giri verso il pubblico, ti
accorgi che questo non c’è più. Il palco è scomparso. Sei immerso nel
vuoto. All’improvviso, e non ti spieghi come, vedi davanti a te uno
specchio. Ti alzi, gli vai accanto, ma non riflette la tua immagine.
No, i tuoi occhi vedono un ragazzino con un foglio in mano. “Questo è
per te, Reg”. Te lo pone in mano, tu leggi il titolo e capisci ogni
cosa. “Your song”. “Bernie!” ti volti e vedi il tuo paroliere, sbucato
dal nulla, diverso da come lo era nello specchio. Il volto è segnato
dagli anni, ora è un uomo, i capelli un po’ più lunghi. “Non so più chi
sono! Non voglio più essere Elton John! Voglio tornare Reginald
Dwight!”. Lui ti guarda e sorride. “Suona, ti stanno aspettando”. Tu,
sbalordito dalle parole di Taupin, inizi un brano che è leggenda. E
senti di nuovo gli applausi e il boato, mentre innanzi al tuo volto
vedi immagini di fans vestiti come te, proprio come te, la tua band
divertita in tour, tu e il tuo amico paroliere che fantasticate su un
futuro da star quando eravate poco più che ragazzini. Finisci questo
capolavoro e torni a rivolgerti a Bernie “Bernie, davvero non so più
che fare!” “Io ti sarò accanto per sempre… ma ricordati… tu sei Elton
John!”. La figura del poeta si dirada come una nuvola in cielo… “Non
andare via Bernie!” gridi, disperato, ma ti accorgi di parlare al
nulla. Ricordandoti delle ultime parole di Taupin, concludi cantando e
suonando un MUST di ogni tuo concerto, “Don't let the sun go down on
me”. Da brividi. Quando tocchi la nota conclusiva chiudi gli occhi e ti
perdi in un mondo fantastico… ma il fragore degli applausi ti riporta
alla realtà. Sei sul palco, di nuovo, acclamato come un Dio
dell’Olimpo. Saluti tutti, commosso, e vai via, pensando all’imminente
operazione alle corde vocali. La tristezza è grande, il magone di più,
temi di non poter più riprovare simili emozioni.
Non piangere, Reg.
Sii fiero di essere… Elton John.
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