RECENSIONI
DEI VISITATORI
DUETS
inviate la vostra
recensione di un disco
di Elton e sarà pubblicata in questa sezione.
non preoccupatevi, non
cerchiamo critici
professionisti, ma le impressioni, positive o negative, dei fans!
di Beppe
(aprile 2007)
Nel 1993 veniva pubblicato, abbastanza a sorpresa, questo
album di duetti, una formula a quanto pare cara ad Elton che l’ha purtroppo utilizzata
con una certa frequenza nel corso della sua carriera.
L’album non era stato preordinato, ma deciso e assemblato
all’ultimo momento come dichiarato da Elton all’epoca, forse prendendo spunto
dal’omonimo album di Frank Sinatra uscito quasi in contemporanea.
I fans in generale non amano molto questo disco che rimane
sempre in secondo piano nella discografia, ma in realtà, visto il tipo di
prodotto, il risultato non è poi così mediocre come come si ritiene.
Il problema principale è nella discontinuità del progetto
che, seppur coordinato da Greg Penny, non è sicuramente molto omogeneo,
abbinato alla scelta di alcune canzoni non particolarmente entusiasmanti.
Il peggio lo abbiamo sicuramente con i due singoli tratti
dall’album.
Il primo, veramente trascurabile, è una versione
particolarmente sdolcinata e soporifera
della canzone True Love di Cole Porter (dalla colonna sonora dl film Alta
Società), in duetto con Kiki Dee, anche lei coinvolta nel progetto.
Altro brano sicuramente da dimenticare, a parte il video molto divertente, è
la versione disco di Don’t Go Breaking My Heart (con i vari remix) cantata con
la drag queen Ru Paul, portata purtroppo anche al festival di San Remo.
Tra le cose migliori troviamo invece soprattutto Teardrops,
bellissimo classico in coppia con la cantante canadese K.D. Lang, portata da
Greg Penny che aveva prodotto il suo ottimo Ingenue, A Woman’s Needs con la
stella del country Tammy Winette ( a mio avviso sarebbe stato un ottimo singolo
per gli USA) e Ain’t Nothing Like The
Real Thing con Marcella Detroit, presente anche nell’album di quest’ultima e
lanciato come suo singolo.
Infine una menzione per The Power, inedito John/Taupin con
Little Richard e per il brano finale, che duetto non è, Duets For One.
In definitiva un album senza infamia e senza lode, da un
disco di duetti non si può pretendere molto di più.
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di The Bridge 2012
Ricordo che Duets, e si era a fine 1993, uscì un po' a sorpresa. L'anno
prima Elton aveva sfornato The One, un album che ottenne un enorme
successo commerciale nonostante non fosse nulla di eccezionale. Poi,
dopo la sbornia, ecco arrivare questa trascurabile raccolta di duetti.
Eppure all'inizio Duets mi piacque... lo trovavo ritmato e orecchiabile,
e molto variegato. Purtroppo, come molti altri lavori eltoniani degli
anni 80 e 90, anche questo Duets non ha saputo resistere a molteplici
ascolti, e inoltre mi appare invecchiato piuttosto male. Di fatto oggi
non lo ascolto più... non che sia improvvisamente diventato brutto,
semplicemente non mi trasmette niente e non provo la benché minima
voglia di ascoltarlo. Ai tempi ricordo che a parte il duetto con Cohen e
quello con la Raitt (che semplicemente non mi destavano il benché
minimo pathos), nonché l'inascoltabile duetto con la Knight, che
solitamente "saltavo" a pié pari , gli altri brani mi riuscissero
abbastanza piacevoli. Il mio preferito era il duetto con Rea, anche se
la canzone non aveva assolutamente niente a che vedere con lo stile
eltoniano. Oggi mi appare alquanto scialba, al pari di tutti gli altri
brani, nessuno dei quali supera la piena sufficienza. Tra i peggiori,
manco a dirlo, i singoli estratti (entrambi nella top 10 inglese): "true
love", glucosio allo stato puro (e dire che la canta con Kiki Dee,
quella di "don't go breaking...") e, appunto, la nuova versione del
vecchio duetto con la Dee del 1976 (altri tempi!), realizzata in
versione dance, cantata con RuPaul e assolutamente detestabile. I brani
portati da altri artisti sono, a parte poche eccezioni, sbiaditi remake
di vecchi successi. Le nuove composizioni, un po' più interessanti
(specie quelle John-Taupin), sono quelle che ancora oggi rendono un
minimo di dignità a questo prodotto chiassosamente commerciale e
modaiolo: voto 5.
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di Stefano Orsenigo 2012
Ho sempre detestato le compilation, quelle ammucchiate di canzoni
accomunate esclusivamente dall’appartenenza alla stessa casa
discografica; col tempo ho iniziato a odiare anche i greatest hits,
ormai li tollero solo se sono (come minimo) doppi e cronologici.
Detto questo, per recensire dettagliatamente Duets
ci vorrebbero fiumi di inchiostro o di pixel e, francamente, non ne
vale la pena: nella discografia di Elton John rappresenta un capitolo
poco rilevante. Non che sia un brutto disco, semplicemente è una
compilation e forse l’unico aspetto interessante nasce dalla sua natura
bizzarra, per usare un eufemismo, in cui musicalmente convive di tutto
un po‘.
Si alternano ritmi dance (la bella Teardrops con k.d.lang) e romanticismi da crooner (True love
con la fida Kiki Dee: ma perché, tra i tanti capolavori di Cole Porter,
scegliere proprio questo non esaltante brano?) e ogni canzone ha una
sua genesi produttiva autonoma. Quasi tutte, inoltre, provengono da
repertori altrui o sono state scritte per l’occasione dagli artisti
ospiti, e tra queste ultime non c‘è nulla di buono.
A ben pensarci,
però, si tratta di una intuizione intelligente: evitare di far scempio
dei successi di Elton, poco adatti a essere eseguiti in coppia (incubo
purtroppo realizzato in seguito dal terribile live One Night Only),
allontanando così quell’odore stantio di decadenza artistica e/o
autocelebrazione di un passato glorioso che spesso emanano gli album di
duetti. Non a caso, i due inediti John/Taupin sono studiati
accuratamente per la doppia voce: l’ottimo rock-funky The power con Little Richard e la più scontata ballatona A woman’s need
con Tammy Wynette, e se avessero applicato tale criterio a tutto il
progetto, sarebbe uscito un album vero e proprio, magari di buon
livello. E anche i pochi remakes sono azzeccati: la Don’t let the sun go down on me dal vivo con George Michael, già uscita come singolo due anni prima, e il remix targato Moroder di Don’t go breaking my heart con la drag-queen RuPaul, ironico ritorno al kitsch sfrenato.
Il meglio arriva alla fine, con due perle estratte dal canzoniere classico americano: Love letters con Bonnie Raitt e Born to lose in un magico incontro con la rochissima voce di Leonard Cohen.
Facilmente stroncabile se lo si considera un album, trattandolo da compilation Duets acquista punti e si lascia ascoltare, talvolta anche con piacere.
Voto 6
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