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recensioni dei fans

RECENSIONI DEI VISITATORI

Goodbye Yellow Brick Road
 

GYBR

inviate la vostra recensione di un disco di Elton e sarà pubblicata in questa sezione.
non preoccupatevi, non cerchiamo critici professionisti, ma le impressioni, positive o negative, dei fans!



di Beppe Bonaventura  (agosto 2011)

Goodbye Yellow Brick Road rappresenta il picco della seconda fase di Elton John, quella della virata verso un pop più commerciale, della superstar mondiale che strapazzava le classifiche di dischi in tutto il mondo.  L'album dello splendido artwork apribile in tre, esplicitamente ispirato nel titolo e nell'immagine di copertina al Mago di Oz di consolidata fama dopo il famosissimo film del 39 con Judy Garland.  Era anche il primo album doppio della sua carriera: alcune voci dicevano che questa scelta fosse stata dettata dall'enorme produzione di canzoni durante la fallimentare trasferta a Montserrat (prima del ritorno allo Chateau di Heroville) , lo stesso Elton, invece,  aveva dichiarato che era un omaggio al doppio album dei Beatles (White Album); più terra a terra, probabilmente la motivazione più semplice era il contratto capestro con la DJM che gli imponeva due album per ogni anno di contratto e che quindi lo obbligava ad uscire con un prodotto del genere proprio entro la fine del 1973.
Ma il il risultato che ne venne fuori fu veramente eccellente con un Elton ancora al top della sua vena compositiva, anche se non sempre supportato dalla produzione di Gus Dudgeon e dai mielosi arrangiamenti orchestrali di Del Newman, il vero punto debole di alcune canzoni.
Il 1973 è uno degli anni cardine del pop rock mondiale e GYBR rappresenta degnamente colui che ha dominato le classifiche di vendita del decennio.
Il gruppo lo asseconda abbastanza bene, nei limiti della loro capacità di musicisti pop non proprio eccelsi ma che in questo caso riescono a compiere bene il loro dovere in alcune delle canzoni che rimarranno immortali nella lunga carriera di Elton.
Alcuni sono veri marchi di fabbrica come la lunga Funeral For A Friend/Love Lies Bleeding con Dave Hentschel al sintetizzatore, Bennie And The Jet, Candle In The Wind (prima si subire il sacrilego rifacimento ad uso funerale), la stessa title track.
Ma le canzoni splendide non si fermano certo qui, al top appartengono di sicuro anche This Song Has No Title, All The Girls Love Alice (uno dei pezzi tirati di Elton migliori in assoluto), Danny Bayley, Sweet Painted Lady, I'Ve Seen That Movie Too, Roy Rogers (di ispirazione dylaniana) e la grande Harmony, il singolo mancato.
Goodbye Yellow Brick Road rimane probabilmente il suo album più universalmente riconosciuto, la strada di mattoni gialli verso il successo universale (o più realisticamente potevano essere lingotti d'oro!), il disco che riscuote più successo anche tra i fans di ogni generazione.
Non è già più certo l'Elton unico dei primi grandi album, ma è l'Elton che è riuscito a sfruttare al massimo il suo talento compositivo per massimizzare  il suo pubblico, senza indulgere eccessivamente, come sarebbe accaduto da lì a poco, verso una produzione troppo scontata e accondiscendente verso il mercato.
E' l'Elton che non si ispira più alla Band o a Van Morrison, ma che ambisce a sostituire in tutto e per tutto i Beatles, dei quali è stato probabilmente l'unico vero erede.
E' il disco che insieme a Honky Chateau me lo ha fatto conoscere, che ho ascoltato migliaia di volte passando dalle audiocassette, ai vinili, ai CD, quando già apprezzavo abbastanza Madman ma non avevo ancora intuito di quanto fosse grande Tumbleweed.
E' il disco da regalare a chi non conosce niente di Elton John, è la sua immagine più consolidata.

GYBR è Elton John.


8,5 su 10


di Stefano Orsenigo      (settembre 2011)

E' difficile descrivere in poche frasi un'opera ricca di spunti di discussione, di richiami estetici, di importanza storica com'è questo disco.
Di certo il 1973 è l'anno d'oro di Elton John, visto che a pochi mesi dal trionfo di Don't Shoot Me... il nostro raddoppia con Goodbye Yellow Brick Road: in tutti i sensi, trattandosi di doppio LP, una scelta che -unita all'opzione di un primo singolo come Saturday night's alright for fighting- lo pone definitamente nell'olimpo del Rock al fianco dei grandi.
Quello che ad oggi resta il suo album di inediti più venduto e celebre è composto da ben 17 brani che ribaltano in positivo il concetto di eclettismo, oltre a unire felicemente quantità e qualità, tanto che l'unico riempitivo (Jamaica Jerk-off) ha un suo perchè: firmato "Reggae Dwight", ci ricorda l'intenzione iniziale di fare un disco giamaicano, poi cestinata (per fortuna?) a favore della vecchia Europa a causa di pesanti problemi tecnici.
In ogni caso Elton si sbizzarrisce in svariate declinazioni del rock, da quello hard della citata Saturday a quello glam e trasgressivo di All the girls love Alice, dal rock'n roll vecchio stile di Your sister can't twist (but she can rock'n roll) al progessive più spettacolare di Funeral for a fiend/Love lies bleeding, il lungo brano-capolavoro introduttivo.
Ovviamente la dimensione privilegiata è la ballad teatrale-malinconica-agrodolce, che qui raggiunge livelli altissimi, sia nei tipici valzer alla Elton -Candle in the wind, la title-track, I've seen that movie too, Sweet painted lady, Harmony- sia in brani dalla struttuta più originale come This song has no title o The ballad of Danny Bailey (1909-34).
In mezzo, ancora lampi di sound americano come Roy Rogers o Social Disease e oggetti anomali come Bennie and The Jets col suo pianoforte aggressivo, Grey seal scritta nel 1970 e qui trasformata in un bizzarro up-tempo, l'aspra ed elettrica Dirty little girl; uno che passa con naturalezza dalla dolcezza struggente di Sweet painted lady alla rabbia sprezzante di questa canzone dev'essere un genio, e anche se quel misogino romantico di Bernie Taupin gli dà l'ispirazione con i suoi testi, la capacità di spaziare tra melodie e interpretazioni così agli antipodi e così efficaci è tutta del cantante.
Se il disco offre una bella carrellata di tante tendenze musicali dei primi anni 70, il risultato non ha nulla di modaiolo o di datato, anzi ad ascoltarlo oggi colpisce per la sua classicità capace di resistere ai tempi e ai mutamenti del gusto; non a caso non si contano i riferimenti a miti del passato, da Marylin Monroe "candela al vento" al cowboy Roy Rogers alla strada di mattoni gialli del Mago di Oz, ai gangster degli anni 30...insomma un'opera sfarzosa e incantevole alla maniera dei migliori film della Hollywood dei bei tempi.
Anche la qualità sonora contribuisce alla riuscita, benchè il livello degli arrangiamenti sia talvolta altalenante: se in Candle in the wind i tocchi di chitarra elettrica e i cori la rendono migliore di qualsiasi esecuzione dal vivo (soprattutto quella da requiem), non si capisce perchè inserire in Bennie and The Jets dei fastdiosi applausi finti al posto di una sezione fiati (forse nessuno si aspettava che il brano sfondasse nelle classifiche R&B, fino ad allora appannaggio di artisti neri); non condotti da Buckmaster, gli arrangiamenti orchstrali sono magnifici quando si fondono col piano nella coda di Danny Bailey o con la chitarra nel bridge di I've seen that movie too, ma in Roy Rogers sono una zavorra che non rende giustizia a un brano ispirato allo stile di Bob Dylan.
Ma si tratta di dettagli in un disco che non dovrebbe mancare nelle collezioni di chi ama il rock, chi ama il pop e chi (come il sottoscritto) li ama entrambi, purchè fatti come li sa fare Elton: col suo stile stile complesso ma orecchiabile, popolare ma raffinato, multiforme ma inconfondibile.

Voto 8/9