da Hercules Italia n° 29 del dicembre 1994
Quel Bacio: Elton John a Parigi
di Luca Degli Angeli
Novembre: nonostante il Po e le zone alluvionate, 12 pazzi (Vittorio,
Fabiola, Valeria, Andrea, Beppe, Alberto, Massimo, Stefania, Betty,
Simona, Luca ed il sottoscritto) hanno deciso di recarsi in quel di
Parigi per un viaggio di piacere. Prima portata? Un bel concerto di
Elton John che apriva la mini-tourneè europea con Ray Cooper con 6
serate al teatro Le Zenith, una sorta di teatro-tendone iper-moderno con
8.000 posti a sedere, tutti ovviamente esauriti.
Ciò che si dice
sul pubblico parigino è proprio vero, ed Elton sa che Parigi è una
delle sue roccaforti: difficilmente allora un concerto risulta un po’
scontato o fiacco (come spesso può capitare in alcune date per mille
diversi motivi), ma diventa un vero e proprio happening con il
protagonista emozionatissimo ed una cornice enorme di mani che tengono
il tempo (pensate che nel ‘93 accompagnarono addirittura la finale Your
Song per tutta la sua durata!).
I concerti allo Zenith sono
stati, per quanto mi riguarda, il punto più alto di emozioni dopo ben 10
anni di militanza tra i fedelissimi di Elton. Al debutto dell’11
Novembre l’occhialuto cantante riesce persino a sbagliare qualche nota
(durante Funeral For A Friends): ma l’emozione per tutti noi è forte, il
concerto grandioso, è un vero trionfo!
Speciale è indubbiamente
stata la seconda serata quando, un pubblico decisamente migliore
rispetto a quello della “prima”, ha gasato oltre misura Elton e dopo un
“Je t’adore Paris”, quel bacio!! ... quel bacio al pianoforte che cia fa
tutti noi sperare bene per il futuro del nostro eroe.
Ma veniamo
al concerto: quando le luci si spengono e compare da destra un omino
vestito di rosso, l’emozione sale alle stelle. Quando poi posa le mani
sul piano ed inizia le prime note di Your Song ... beh, vi lascio
immaginare! Da quel momento è tutto un rincorrersi di attimi e momenti
della propria vita accompagnati da una dolce Skyline Pigeon, una 60
Years On rivisitata nella parte strumentale, un’acidula I Need You To
Turn To ed una tenerissima The Greatest Discovery.
Intanto i
regali del pubblico ad Elton si sprecano e sul palco vengono lanciati un
giacchettino dai colori stranamente eltoniani, fiori, lettere e altri
bijoux. Elton ringrazia, si inchina, fa le faccette buffe. Ma
l’atmosfera cambia subito, e subito ci si ritrova in uno squallido bar
ad ascoltare vecchi soldati che raccontano dei tempi in cui bevevano 3
volte la birra che riescono a bere oggi. Dove Elton non arriva con la
voce, vista la perdita del falsetto, conpensa con l’interpretazione;
Ticking, non fa eccezione. I Don’t Wanna Go On... riscalda per un attimo
i tasti del pianoforte ma Mona Lisa & Mad Hatters ci riporta nel
dolce amaro.
A questo punto Elton ci regala due canzoni nuove:
Believe, drammatica e con un finale da brivido, e Live Like Horses che
il cantante inglese ha così presentato: “I’ve never sung this song
before and I’ll never do it again”. La canzone, registrata durante le
sessions di Believe probabilmente non vedrà mai la luce perchè al
momento non è stata completata.
Il concerto prosegue poi con la
magica Where To Now St.Peter e decolla con le conosciute Sacrifice, The
One e Last Song, dedicata “al migliore amico che avevo a Parigi: ora che
sono tornato, lui non c’è più!”. Da sottolineare come il palco, modesto
rispetto a quello del tour di The One, sia incorniciato da giochi di
luce che si infrangono su colonne creando un effetto non prevaricante,
ma d’appoggio all’intimità della musica. Molto più vistoso è invece il
kit strumentale di Ray Cooper, che si avvale di tamburi, tamburelli,
congas, vibrafoni e campane.
L’attacco di Funeral For A Friends
apre la seconda parte del concerto e ci fa alzare gli occhi verso una
figura alta, magra e quasi un po’ spettrale che compare timidamente dal
retro del palco. Il pubblico sembra non accorgersene fino allo scoppio
dei tamburi: è Ray Cooper in tutto il suo carisma, che lancia le
bacchette in aria per ruotare i piatti giocando con le luci. Ebbene si,
le leggende sono vere: Ray è grandissimo!!
La bellissima Tonight,
con il suo incedere pianistico, fa scattare in piedi il pubblico del Le
Zenith nella prima di una lunga serie di ovazioni. Ecco poi Better Off
Dead, con Ray Cooper al tamburello, ed una jazzata Idol, che riporta
l’atmosfera in una sfera intima; è solo un attimo: cambia la musica,
cambia il mood. E’ tempo ora di una splendida Levon: inizio lento,
fragore di piatti e tac!! “He shall be Levon” Ta-Ta-Ta-Ta (l’attacco di
percussioni diventato ormai mitico tra noi fans “parigini”), per poi
esplodere in un interminabile solo pianistico.
Di seguito: Elton
che si batte i pugni sul petto (novello Tarzan..), che saltella
goffamente (rischiando di inciampare nei Marshall), che sottolinea con
un balletto (immaginatevelo..) il fragore del battito dei piedi di chi è
dovuto rimanere seduto, che firma autografi dal palco, sorride, stringe
mani: insomma il pubblico è in DELIRIO!! Cosa pensare allora quando
inizia Indian Sunset, travolgente all’inizio per poi assumere un tono
più pacato e poi di nuovo salire di potenza: una canzone epica! Poi I
Think I Gonna Kill Myself con l’assolo tip-tappeggiante tanto caro ai
fans russi del 1979.
E’ tempo di hits: Daniel, Sorry Seems To Be
The Hardest Word, per concludere con Don’t Let The Sun Go Down On Me con
un magnifico sfondo giallo-rosso: wow!!!! Il pubblico desidera che
Elton continui a suonare ed ecco che subito arrivano i bis. Elton ci
regala una canzone che “avevo promesso di non cantare più dal vivo, ma
che il mio amico Sting mi ha incoraggiato a riproporla in questo modo!”:
è Crocodile Rock, lenta, incredibile e con il ritornello ritmato per
far battere le mani; la canzone ci riporta alle piume, agli occhiali, ai
tacchi alti, insomma a “quando il rock era giovane”. Gli anni passano
ma le canzoni restano, così come Bennie And The Jets, nel tripudio
generale, con tutto il repertorio eltoniano di faccette buffe, honky
tonk e boogie-woogie e completato da “dormitina” sotto il piano con mano
destra sul pianoforte a suonare.
La finale Can You Feel The Love
Tonight è l’ultima chicca di un concerto composto dalle NOSTRE canzoni,
ognuna un piccolo quadretto a sè, a incorniciare un frammento della
nostra vita, ognuna un sentimento diverso: gioia, rabbia, dolore,
lacrime, pianto e riso.
Ed poi: il ricordo di una Parigi meno
fredda del solito, un bar con le omelettese e musica araba, caffè
giganti ed annacquati, 3 ore di sonno al giorno, una folle corsa per
raggiungere in tempo Le Zenith, una passeggiata notturna attraverso un
parco futuristico ed un po’ inquietante, una metropolitana presa un po’
troppo in anticipo, la gentilezza del padrone della pensione, Los
Angeles e la Statale di Milano, la strana sfida tra me ed Andrea (persa
purtroppo!), il cappello da Alice Cooper, una Where’s Sarah (She Says)
da un marciapiede bagnato e freddo, i discorsi no-sense
dell’after-concert, una pizza indigeribile, la puzza sotto il naso di
certi francesi, i giovani, i numerosi bon homm, le gente, Notre Dame ed
uno strano dilemma su Angela Landsbury (La Signora in Giallo) e Wilma De
Angelis (!?!?) che ci ha accompagnato per tutto il soggiorno parigino:
insomma 1000 attimi di me, di te, di noi e di voi (sigh, mi sembra
Baglioni!) ....
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