tell me what
the papers say .....
da www.kwmusica.kataweb.it
Elton John e Bernie Taupin
una storia infinita
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Esce The Captain And The Kid, un'opera rock che riporta la popstar e il fido paroliere ai fasti degli anni 70. Video
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di Paolo Gallori
Esce oggi il nuovo album di Elton John, The Captain And The
Kid, quarantaquattresimo titolo di una carriera infinita.
Ebbene, la sorpresa è grande e l'ascolto è un tuffo al cuore,
tanto questo lavoro è magicamente vicino all'estetica, alla forza,
all'ispirazione che baciava la popstar nei primi anni Settanta.
Recuperato negli anni Novanta il feeling con Bernie Taupin, Sir
Elton celebra oggi il sodalizio con il paroliere, un'amicizia lunga
praticamente una vita, consegnando alla storia il seguito della
vicenda raccontata nel 1975 in Captain Fantastic And The Brown
Dirt Cowboy.
In quel suo primo album "concettuale" Elton John raccontava al
mondo i tre anni, 1967-1970, che cambiarono la vita di due "pallidi
ragazzini" inglesi, partiti come autori su commissione al soldo
dell'editore Dick James e giunti infine a coronare il loro sogno
americano. "Se c'è un momento in cui l'ascesa di Elton John ebbe
inizio - ricorda Taupin in un'intervista diffusa assieme all'album
dalla Universal - è certamente l'arrivo a Los Angeles nel
1970".
Captain Fantastic And The Brown Dirt Cowboy si concludeva
proprio alla vigilia dello sbarco di Elton John negli Usa, dove il
favore riservato ad album come Tumbleweed Connection e
soprattutto Goodbye Yellow Brick Road, il suo album più
venduto in America, avrebbero garantito alla popstar grandi platee
nei giorni a venire. "Il nuovo disco parte esattamente da lì",
spiega ancora Taupin.
The Captain And The Kid prova dunque a spiegare cosa
accadde dopo quel primo, stordente successo. Impresa non facile:
come infilare in un album i 35 anni che seguirono? "L'album punta
sugli elementi fondamentali della vita - spiega ancora Taupin -.
Parla delle conquiste e dei fallimenti, parla di amore, morte e di
tutte le nostre esperienze. Esperienze che, in realtà, toccano la
vita di tutti".
Per riuscire nell'impresa il paroliere scrive 12 splendidi testi
intrisi di storie, ricordi, sensazioni e citazioni estratte dai
cassetti della memoria. Li consegna quindi a Elton John, che resta
alla larga dagli studi e si chiude in un teatro di Atlanta ("Una
volta si chiamava Centre Stage - racconta Elton - ora è
l'Earthlink") con una band di amici di vecchia data come il
chitarrista Davey Johnstone e il batterista Nigel Olsson, oltre a
Guy Babylon all'organo hammond e al piano elettrico. Nessun
sintetizzatore. "Volevo che il disco fosse registrato in modo
organico - spiega la popstar -, senza tempi prestabiliti e le luci
rosse dalla sala controllo. Non volevo sezioni d'archi e articifici
del genere, solo la band. Ci siamo accomodati sul palco,
l'attrezzatura di fronte ai musicisti. Io scrivevo le musiche, la
band si impossessava delle canzoni, le registravamo...".
La registrazione "organica" dona al nuovo album sonorità
permeate di una sincerità antica, al punto che lo stesso Elton John
sente il dovere di sottolineare come persino le voci eteree che
risuonano nei cori siano quelle dei suoi musicisti e che l'effetto
"angelico" sia stato ottenuto giocando con la velocità del nastro.
Insomma, nel momento in cui anche gli anni Settanta tornano in auge
attraverso il recupero di stilemi hard rock e disco music da parte
di nuove band (last but not least, le Scissor Sisters che
hanno scritto il nuovo singolo con Elton John e lo hanno voluto al
pianoforte), la popstar si riappropria delle sue vecchie armi
vincenti, il rock'n'roll, un pianoforte suonato in modo torrido,
una band capace di cesellare arrangiamenti perfetti per melodie
finalmente convincenti.
Come quella sviluppata da Elton John al pianoforte in
Postcards From Richard Nixon, quasi un'introduzione in cui
si ricorda il primo impatto con Los Angeles dei due "pallidi
ragazzi inglesi". Se i Beatles portarono in America il sorriso
pochi mesi dopo l'assassinio di John Kennedy, Elton John e Bernie
Taupin furono testimoni delle difficoltà di Nixon, dalla brutta
piega presa dalla guerra del Vietnam fino all'uscita di scena in
seguito allo scandalo Watergate. "Io devo andare, voi potete
restare" la divertente cartolina di commiato del presidente.
Già, Elton e Bernie erano lì per restare, gallina dalle uova
d'oro per i manager americani (il boogie Noah's Ark) e
innamorati della New York trasgressiva che di notte si metteva in
coda fuori allo Studio 54 (ancora una grande melodia nella
romantica ballad Wouldn't Have You Any Other Way). Ma la
crisi è dietro l'angolo. Dopo aver raggiunto l'eldorado, la coppia
entra in crisi e si separa prima che la casa bruci (la crepuscolare
Tinderbox).
Elton John è preda della droga e il suo dramma è tutto nei tre
giorni di isolamento casalingo, stretto tra cocaina e vino,
descritto in And The House Fell Down, in cui è geniale il
contrasto tra il divertente, frizzante, veloce swing che sostiene
il brano e la drammatica paranoia descritta nel testo.
L'indifferenza, la cecità, l'insofferenza verso chi in quei momenti
vuole darti dei consigli è il tema che Elton John affronta in I
Must Have Lost It On The Wind, brano vagamente country, e non a
caso: il titolo è un modo di dire dei cowboys che Bernie Taupin
aveva annotato dopo la visione di un film western.
Sono gli anni in cui Elton John stringe un profondo legame con
John Lennon, a sua volta in crisi con Yoko Ono, e che fece la sua
ultima apparizione dal vivo proprio durante un concerto di Elton al
Madison Square Garden di New York. E arriva il tempo della morte,
del dolore e dell'ingiustizia della vita. John Lennon è l'unico
amico scomparso ad essere ricordato con nome e cognome in Blues
Never Fade Away, dove Bernie Taupin ed Elton John utilizzano a
turno una strofa per ricordare le persone a loro care che non ci
sono più: un ristoratore morto di Aids quando il morbo non aveva
ancora neanche un nome, una ragazza giovanissima per un aneurisma
cerebrale, inconfondibile il ritratto di Gianni Versace, il Re Sole
che marchiava con la sua passione mura e vestiti. "La vita sa
essere molto ingiusta - dice oggi Elton John - ed è questa la
ragione per cui io cerco di viverla appieno. Perché non sai quanto
tempo ti resta. E non puoi sceglierlo".
Ed ecco la canzone che racchiude la metafora intorno alla quale
ruota l'intero album: The Bridge, splendida ballad che Elton
John interpreta da solo al pianoforte. "Nel 1975 - racconta ancora
Taupin - Captain Fantastic arrivò direttamente al numero
uno in America, destino che toccò anche ai due dischi che
seguirono. Un giorno eravamo allo stadio dei Dodgers, dove Elton
John avrebbe suonato per due giorni. Ci dicemmo: e adesso dove
andiamo? Situazione terrificante: non potevamo fare di meglio,
l'alternativa era mantenersi su quei livelli o precipitare. The
Bridge parte da quel momento...".
Il ponte è il futuro, l'ignoto, il lungo cammino che attende
Elton John e il suo amico Bernie, nell'arte e nella vita.
"Cominciammo nel 1970 - spiega Elton John -, siamo sopravvissuti
alle mode e alle tendenze senza mai smettere di credere nel potere
della canzone. Il ponte è lungo, noi lo abbiamo attraversato.
Altri non ce l'hanno fatta, perché non avevano talento o perché
hanno smesso di provare a migliorarsi. Mai smettere di credere che
puoi scrivere una canzone migliore... In un certo senso è anche
una canzone religiosa, come una parabola: se vivi cercando sempre
di dare del tuo meglio, ci provi e ci credi, la tua vita sarà
bella".
Dopo il dolore, la riconciliazione. In Old '67 Bernie
Taupin dipinge il rilassato faccia a faccia con Elton John che
portò alla rinascita del loro sodalizio. Un appuntamento nella
casa della popstar nel Sud della Francia, uno sguardo al passato,
ai meravigliosi giorni vissuti all'epoca del primo Captain
Fantastic, il rinnovato impegno a continuare a creare senza
cedere a compromessi mercantilistici. Elton John è splendido al
pianoforte e al canto, la melodia decolla sulle armonie vocali e
sui glissati della chitarra di Davey Johnstone, Bernie Taupin
infila nel testo la celebre linea di Your Song
: "It's a
little bit funny..."
L'epilogo è una divertente e divertita digressione folk per
rivivere la vicenda del Capitano e del Ragazzino tutta di un fiato,
tra trionfi e cadute, le paure, le corse con il diavolo, le
speranze, "aspettando un piano per trasformare te in Brown Dirt
Cowboy e me in Rocket Man...". Davvero toccanti le ultime parole
del testo: "Guardando avanti vedo un chiodo arruginito, vi è
appeso un cartello che dice 'Truth For sale (Qui si vende la
verità)', esattamente quanto abbiamo sempre fatto, nessuna bugia,
solo un'altra storia sul Capitano e il Ragazzino"...
Album splendido, canzoni da ascoltare in sequenza, un corpo
narrativo unico privo di punti deboli. Ideale per farne una vera
opera rock. La prossima storia del Capitano e del Ragazzino?
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BUSCADERO
ELTON JOHN - THE CAPTAIN AND THE
KID - 3,5 STELLE
Elton riprende
l'idea del concept album Captain Fantastic e confeziona un disco come
non ne faceva da anni. Un disco di ballate pianistiche, bello e
godibile, che mischia grandi canzoni ad un suono decisamente asciutto.
Piano in evidenza, come ai bei tempi, ed una manciata di canzoni di
spessore. Bentornato.
ELTON JOHN - THE CAPTAIN
AND THE KID - 3,5 STELLE
Elton
John ha deciso di tornare a fare la persona seria, definitivamente. Se
Songs from the West Coast, 2001, era una solida avvisaglia in questo
senso, Peachtree Road , 2004, pur essendo inferiore al suo
predecessore, aveva confermato la nuova via dell'occhialuto inglese. da
superstar, cioè una volta raggiunta la fama, Elton non si
è peritato di
curare molto la qualità dei suoi dischi e, più o
meno, dalla metà dei
70 al 2001, ha registrato una quantità di dischi inutili,
che però lo
hanno reso stra famoso. Songs from the West coast, seguendo la regola
che la musica di qualità non rende, ha venduto poco.
Peachtree Road un
po' di più (era anche meno bello).
The
Captain and the Kid che è meglio di entrambi, che risultato
commerciale
avrà? Non ci interessa e nemmeno a lui. Elton torna a fare
canzoni
vere, non siamo ai livelli di Honky Chateau o Tumbleweed Connection, ma
poco ci manca. Il piano è in gran spolvero, la voce
c'è sempre, le
canzoni sono di qualità. Elton John e il suo alter ego
Bernie Taupin
hanno ricominciato a produrre assieme, ed il risultato si... sente.
Forse non ci sono canzoni memorabili, ma brani come Postcards from
Richard Nixon, Just Like Noah's Ark, Tinderbox, la curiosa And the
House Fell down, le belle I Must Have Lost in on the Wind, Old '67,
Blues Never fade Away, The Bridge, stanno a dimostrare che Elton
è di
nuovo tra noi. Il suono è poco arrangiato, in alcuni casi
addirittura
scarno, le melodie centrate, l'esecuzione da manuale.
Postcards from
Richard Nixon si apre con un assolo di piano creaivo e molto gradevole:
un inizio che dà subito la misura di quello che
sarà il disco. Just
Noah's Ark contiene persino elementi blues, mentre Wouldn't Have You
Any Other Way è una composizione costruita in modo classico,
pianistica
e decisamente melodica. And The House Fell down mischia arte e
mestiere, melodia classica e sonorità tipiche dei musical di
Broadway,
mentre Blues Never Fade Away è una costruzione pianistica di
grande
spessore dotata di forte apertura melodica. La lenta The Bridge ci
riporta ai primi anni 70, quando il pianoforte era lo strumento guida
(e anche qui domina la canzone come da tempo non succedeva). I Must
Have Lost It on the Wind è forse la gemma del lavoro:
mischia rock e
radici roots, ha una base melodica intensa, si beve dalla prima
all'ultima nota e conferma questo ideale ponte col passato. Anche il
finale The Captain and the Kid rende onore al musicista, più
volte
vituperato, che ha ritrovato finalmente la strada di casa.
Un disco caldo e decisamente godibile che ci riconsegna il migliore
Elton John, sentire per credere.
Paolo Bonfanti
XL
di Gianni Santoro
Elton
John
THE CAPTAIN AND THE KID
Mercury
voto:3 (sufficiente)
CAPITANO, MIO CAPITANO
PERCHE' TRENT'ANNI DOPO ?
Il
capitano è lo stesso di Captain Fantastic and the Brown Dirt
Cowboy,
1975. Elton John e il fido paroliere Bernie Taupin firmano il sequel 30
anni dopo facendo finta di niente. Intanto però Elton forse
ha scritto
tutti i brani che aveva dentro. The Bridge l’aveva scritta.
Old ’67 più
volte. Carino, ma frustante The Captain And The Kid, perché
tanta la
beffa impossibile quella contro il tempo. Meglio avrebbe fatto Elton a
dire di averlo composto nel ’76 e di averlo perso nei
cassetti tra gli
occhiali. Così invece ha un sapore amaro, come vedere la
Loren che
ripete lo spogliarello per Mastroianni in Pret-A-Porter di Robert
Altman dopo averlo consegnato alla storia in Ieri, oggi e domani.
ROCKSTAR
Elton John - The Captain and the Kid - 4 stelle
Il Ritorno del
Capitano.
A
New York City nevica, e Captain fantastic conta gli amanti andati via,
qualcuno lasciando qualcosa altri niente. Riguarda l'inferno della
cocaina, le stanze e chi è caduto troppo giovane. Bilancio
di
mezza età
per captain Elton John che dentro, nonostante l'amarezza, è
rimasto
quello che con il suo compagno di versi, Il Brown Dirt Cowboy (Bernie
Taupin) scriveva nel 1975 la storia del proprio rock'n'roll che si
arrampicava sui tacchi alti fino al cielo delle classifiche USA. Songs
from the West Coast aveva annunciato che i due sarebbero tornati ai
giorni degli occhiali che coloravano il mondo glam. basta mettersi
lì e
suonare il poprio cuore. Ed eccolo, un cuore che si gonfia con le prime
note di pianoforte nei ricordi degli USA di Richard Nixon, Disney e
Steve McQueen di Postcards from Richrad Nixon ed esplode in una pioggia
di coriandoli di emozione con Tinderbox, Blues Never Fade Away, The
Bridge e Old '67. Ed è un sussulto sentire il Capitano
ritmarsi
nella
tossica And the House Fell Down e il suono d'armonica perduta neol
vento di I Must Have Lost It On The Wind. Capisci così che
è arrivato
il momento di raccontare, a chi all'epoca non era nato, la meravigliosa
storia del Capitano Fantastico e dello Sporco Cowboy Marrone.
Sergio G. Lacavalla.
LA STAMPA
L’ALBUM CHE ESCE DOMANI, «THE CAPTAIN AND THE
KID», E’ IL SEGUITO
IDEALE DI «CAPTAIN FANTASTIC»: SUCCESSI, INSUCCESSI
E LA FATICA DI
MANTENERSI AL TOP
Elton John festeggia i sessant’anni e lotta per sopravvivere
al successo
14/9/2006
di Marinella Venegoni
inviata a NEW YORK
Il
25 marzo dell'anno prossimo Elton John compirà 60 anni. Come
per ogni
babyboomer, è arrivato per lui il tempo (ostico) della
riflessione,
della consapevolezza di aver vissuto al massimo, e in più di
esser
stato assai fortunato di suo; ma nel pop ogni anniversario è
destinato
a trasformarsi in una celebrazione fantasmagorica, e in attesa di
chissà quali fuochi d'artificio nel 2007, il vecchio
Reginald ha deciso
di ringraziare la sorte con un disco che in Italia esce domani, The
Captain and the Kid, séguito ideale del primo album che gli
guadagnò
nel 1975 la fama negli Stati Uniti, Captain Fantastic and the Brown
Dirty Cowboy. Presentandolo l'altra sera al Rose Theatre di New York,
ne ha così riassunto il senso: «Captain Fantastic
parlava della lotta
per arrivare, fino al '70; The Captain and the Kid" è sui 36
anni
successivi, e sulla lotta per sopravvivere al successo».
Rispetto
ad altri colleghi illustri della sua generazione, Elton John ha
incassato non scarsi insuccessi, con lunghi e controversi periodi
(seguiti a una produzione di irresistibili canzoni pop) di cui ben poco
vale la pena di esser ricordato; ma qui, in The Captain and the Kid,
l'ispirazione torna intenzionalmente al suo periodo migliore, appunto
fra i Sessanta e i Settanta.
Il rischio, certo, è che si ascolti
Elton John mentre fa il verso al grande Elton John d'epoca: ma nei
dieci brani registrati nell'atmosfera complice di un teatrino affittato
per ottenere un disco autenticamente caldo e immediato, si respira
un'aria da «demo», una forte volontà di
piacere, un'energia che
pensavamo scomparsa, risucchiata per sempre dagli innumerevoli concerti
e marchette (si pensi solo al contratto miliardario in corso con il
Caesar Palace di Las Vegas) che negli ultimi anni gli hanno sottratto
parte dell'originario carisma.
Per quanto bravo sia il paroliere
di sempre Bernie Taupin, era ovviamente impraticabile l'idea di
raccontare davvero 36 anni in 10 canzoni. E così la Regina
Madre del
pop non solo britannico apre pestando su un pianoforte quasi
honky-tonk, per raccontare l'arrivo suo e di Bernie negli Stati Uniti
in piena crisi Vietnam o Watergate, in «Postcards from
Richard Nixon».
E'
l'innamoramento reciproco con l'America, che annusa l'affare: e infatti
Just Like Noah's Ark, evoca in un rock-blues terribilmente datato (e
che usa moltissimo) l'immagine dell'arca di Noè per
raccontare delle
folle di aspiranti agenti che lo circondano a Los Angeles per
strappargli un contratto.
Più oltre l'ispirazione si fa
intimista: Tinderbox è una ballad molto
«eltonesca» che racconta la
pressione della fama, The Bridge parla dell'invecchiamento, And the
House Fell Down è sugli stravizi drogati; uno dei brani
più convincenti
è Blues Never Fade Away, inevitabilmente sulle vittime
dell'Aids.
L'album
è una sorta di rivincita del personaggio di Bernie Taupin,
sempre un
po' in disparte come inevitabilmente capita agli autori del testo. Ha
spiegato Elton John: «Le sue liriche non sono mai sulla mia
vita, così
canto sempre in un territorio neutro. Questa volta, in Wouldn't Have
You Any Other Way, c'è un verso sullo Studio 54, che dice:
"Le auto
nere aspettano perché metto in fila i ragazzi nella notte".
E potrei
essere io che torno al mio albergo con una pletora di ragazzi carini,
oppure potrebbe essere Bernie che va in centro a qualche strip club con
i suoi amici».
Nel finale, in Captain and the Kid, tracciando
una sorta di bilancio virtuoso, Bernie ed Elton finiscono per
assolversi in toto: il ragazzino pazzo è diventato un
«better man», e
il diavolo avrà pure partecipato alla festa, «ma
non ha mai infilato le
nostre scarpe». Il riassunto è di orgogliosa
energia: «Allora indossavo
tacchi di 12 centimetri/ora tu corri verso il tramonto/ma io vado
ancora ai cento all'ora». E mica solo lui, che infatti non
sta mai
fermo, come in preda all'orror vacui. Con la crisi del pop, il
giovanilismo è diventato un esercizio vacuo.
Il
sessantacinquenne Dylan ha debuttato al primo posto nelle classifiche
Usa con il nuovo album, in Italia è primo Freddy Mercury che
è morto da
quel dì. Pure Elton John potrebbe finire per rimettersi
sulla pista
della credibilità alla vigilia dei sessanta, uscendo dal
tunnel del
troppo-ricco, troppo-felice, troppo-ingordo nel quale si è
infilato.
IL GAZZETTINO
Il nuovo cd "The captain & the kid", scritto con Bernie Taupin,
chiude un racconto iniziato 35 anni fa
Elton John, il ritorno
del Capitano
«Abbiamo
ripreso la storia di Captain Fantastic raccontando il seguito fino a
oggi»
di Giò Alajmo
Copertina
seppiata con cowboy e pianoforte, elegante confezione del cd con la
custodia in platica dagli angoli smussati, esce ora il nuovo album di
Elton John. Un piccolo evento, perchè "The Captain &
the Kid"
chiude dopo oltre 30 anni il discorso che il cantante britannico e il
ritrovato paroliere Bernie Taupin aprirono con "Captain Fantastic
&
The brown dirty cowboy". «Il mio manager Merk Mercouriadis -
spiega
Elton - mi ha chiesto un giorno perchè, visto che continuavo
a
raccontargli come io ero diventato "Captain Fantastic" e Bernie il
"Brown dirty cowboy" (lo sporco cowboy marrone) non finivamo quella
storia, cominciata nel 1967, raccontando cos'era successo dal 1970 a
oggi».
L'album, uscito cinque anni dopo la sua scrittura
terminava con la partenza dei due per l'America. Taupin, che ha
riallacciato dopo decenni un rapporto di amicizia e colaborazione con
Elton John, si è lasciato entusiasmare dall'idea e ha
scritto dodici
testi nuovi, dieci dei quali sono diventati il nuovo disco, con la
musica di Elton John, come ai tempi migliori.
«Questo disco -
racconta Taupin - tocca alcuni elementi basilari della vita: parla di
successo, di fallimento, della morte, dell'amore e di tutte quelle cose
che colpiscono tutti. Parliamno di noi, ma alla fine è come
se
parlassimo di tutti».
L'album scritto con lo spirito e il suono
dei tempi migliori, comincia con "Postcards from Richard Nixon",
cioè
l'arrivo in America dove Elton "esplose" nel 1970: «L'America
era dove
avremme sempre voluto andare e dov'è davvero iniziata la
nostra
carriera - spiega Elton -. È stata il nostro più
importante mercato e
tutte le canzoni scritte da "I Wouldn't Have You Any Other Way" che
parla di New York, the drug taking song, "And the House Fell Down", che
parla di droga, la riguardano direttamente. C'è anche una
canzone "Old
'67" sul sud della Francia dove io e Bernie andammo insieme e dove
decidemmo che non avremmo mai fatto album se non fossimo stati davvero
innamorati di quello che stavano facendo, senza la pressione di dover
scrivere a tutti i costi un singolo di successo».
Per registrare
il disco, Elton John ha radunato la sua band in un teatro di Atlanta
rinunciando ad archi e studi di registrazione, per dare al risultato un
senso più immediato e vivo. Ci sono immagini curiose come in
"Postcards" nato dal disappunto di essere sbarcati a Los Angeles per
vedere subito un tipico bus a due piani londinese: «Fu come
arrivare a
Londra dall'Arabia e trovare un cammello», spiega Taupin. Ma
la seconda
impressione fu totalmente diversa. Passeggiare per Sunset Strip li fece
sentire piccoli e provinciali «come se avessimo sempre
vissuto come due
pesciolini in un acquario».
Il rock blues "Just like Noah's ark"
(come l'arca di Noè) racconta poi del viavai di affaristi,
dal promoter
italiano col sigaro ai vari discografici, che cercavano di accaparrarsi
la coppia, mentre "Wouldn't have you in another way" racconta delle
avventure sull'altra costa, nella New York delle luci e delle
discoteche come lo Studio 54, o del Madison Square Garden,
città dove
«ho fatto un sacco di grandi spettacoli, con John Lennon o
Divine che
salivano con me sul palco. È un atto d'amore per New
York», dice Elton
John.
"Tinder Box" racconta la sensazione di essere sempre sulla
strada, come presi in vortice, "And the house fell down" è
l'impatto
con la droga (già raccontato ai tempi di "Honky Chateau" in
"I Think
I'm Going to Kill Myself"), "Blues never fade away" scivola poi nella
malinconica perdita del rapporto di amicizia e nelle ingiustizie della
vita, con un persiero alla morte di Gianni Versace, di Lennon e di
altri amici.
L'album arriva alla fine con "The bridge" e "I must
have lost it on the wind" (devo averlo perso nel vento) brano vagamente
influenzato dal primo Bob Dylan, con un titolo che sarebbe stato
perfettamente in bocca a un vecchio cowboy. "Old '67" precede poi
l'ultimo brano "The Captain and the Kid" che racconta tutta la storia
in una canzone country «un po' alla Simon & Garfunkel
in "The
boxer"», dice Elton e che riprende l'idea musicale dell'album
di 30
anni prima. Un modo per chiudere il cerchio e ritrovare lo spirito
perduto, con il suo sapore di jazz e di blues.
IL TEMPO
Trent’anni di
vita tra successi e droga raccontati assieme a Bernie Taupin
di
STEFANO MANNUCCI
QUALCUNO, prima o poi, doveva pensarci. Abbiamo avuto
padrini, guerre stellari e missioni impossibili in serie: e
innumerevoli inchieste di Kay Scarpetta, Maigret, Montalbano. Ma il
rock sembrava essere relativamente immune dalla tentazione dei
"sequel": nessuno, finora, aveva ipotizzato un «Sgt. Pepper
2», un
«Ritorno di Tommy» o «The dark side of
the moon revisited». A colmare
la lacuna ha pensato Elton John: e a distanza di più di
trent’anni
dall’uscita di «Captain Fantastic and the Brown
Dirt Cowboy» pubblica
«The Captain and The Kid», con una celebrazione
anche live, il 19
settembre al Rose Hall di New York. L’evento è in
effetti di quelli
memorabili: perché l’album del 1975
segnò la svolta nella carriera di
Elton. Per la prima volta nella storia della musica moderna un disco
esordiva direttamente al primo posto di "Billboard", la Bibbia delle
classifiche di vendita americane. Solo nel primo giorno, un milione di
copie dell’lp era andato a ruba, e anche questo era un
record. Mr. John
ne aveva scritto le dieci canzoni in cinque giorni di traversata sulla
nave "S.S. France", dall’Inghilterra a New York, in chiara
overdose di
ispirazione. Di più, quei brani erano il frutto di un
sodalizio con il
suo paroliere, Bernie Taupin, con il quale aveva incamerato
già una
serie di portentosi successi, e che una notte gli aveva "quasi" salvato
la vita: preso dallo sconforto, Elton aveva infilato la testa nel
forno, aperto il gas, ma lasciando comunque aperta la finestra. Un
gesto dimostrativo che sarebbe poi finito in "Someone saved my life
tonight". Bernie era qualcosa di diverso da un collaboratore, era un
amico vero, e tale sarebbe rimasto per quasi quarant’anni,
malgrado
ripetuti stop nell’incontro artistico. Così, quel
primo «Captain» fu
concepito come un’autobiografia per due, destinata a
raccontare gli
esordi (dal ’67 al ’69), fino all’arrivo
in America di un cantautore
più che promettente. Il "Capitano" dagli abiti
improponibili, l’icona
paradossale e trasgressiva era Elton; il "Cowboy" era Bernie, che non
chiedeva altro se non un ranch e un cavallo in California. Uno
"storybook" personale che è rimasta una delle vette assolute
tra i 44
album della discografia eltoniana. Il mezzo miracolo è che
anche il
"sequel" del 2006 è quanto di meglio ci si potesse aspettare
da una
star che ha avuto tutto quel che chiedeva dalla vita, perfino un
matrimonio gay e un contratto da artista stabile a Las Vegas. Ora
minaccia di darsi al rap: intanto "The captain and the kid"
è un’onda
di pop melodico con arrangiamenti che paiono quasi "d’epoca":
nel senso
che Elton canta con una sincerità per lui rara, di questi
tempi, e le
sue dita volano sul piano come ai tempi belli, tra R&B,
honky-tonk,
ballate, rock postribolare. E la band - nella quale compaiono, come tre
decenni fa, gli immarcescibili Davey Johnstone e Nigel Olsson - suona
con lui in presa diretta: gli strumenti piazzati sul palco di un teatro
di Atlanta, venti giorni di registrazione, e spesso "buona la prima".
Dieci canzoni, anche qui: e il tentativo di raccontare una vita, quella
immediatamente successiva all’approdo a Los Angeles, con la
meraviglia
- dicono i due - di «sentirsi come due pesci gettati da una
piccola
vasca in un enorme acquario» già alla prima
passeggiata sul Sunset
Boulevard, con Steve McQueen che passava in spider e Nixon che augurava
"benvenuti qui". Poi il presidente prese commiato per il Watergate, e
John-Taupin restarono nello star-system. Fu a quel punto che
cominciarono i guai: la cocaina a fiumi, i conflitti interpersonali, il
vortice del successo che ti trascina giù per i piedi. Tra
produttori
discografici «che parevano il Joe Pesci mafioso di "Quei
bravi
ragazzi"», e le notti bianche allo Studio 54 di New York, tra
marchettari, Andy Warhol e la créme dei discotecari vip. Poi
ancora,
gli anni del dolore per gli amici morti di Aids o per mano di qualche
folle (la terza parte di "Blues fade away" è dedicata a
Gianni Versace,
ma spunta anche l’amico John Lennon, che aveva fatto la sua
ultima
apparizione in concerto proprio con Elton, nel ’74). E le
riconciliazioni, i ricordi, sino al gran finale di "The captain and the
kid", che nella sua struttura richiama esplicitamente "The boxer" di
Simon & Garfunkel. Passando per la lirica "The Bridge" (il
primo
singolo) dove Elton e Bernie si dicono che quel simbolico ponte della
fortuna è «talmente lungo che qualcuno resta
indietro, ma devi
attraversarlo per sopravvivere. Senza mai smettere di credere che
potrai scrivere un giorno una canzone più bella di quella
che hai
appena composto». Come è accaduto a loro due,
ancora oggi.
IL GIORNALE
Cesare G. Romana.
ELTON JOHN, GRANDE
PIANISTA TRA COUNTRY, SOUL E SUONI COLTI
Echi
western, qualità medio-alta e grandi prestazioni pianistiche
per il
"nuovo" Elton John, ancora una volta affiancato nei testi dall'agile
penna di Bernie Taupin. The Captain and the Kid rispecchia fedelmente
fin dall'iniziale Postcards from Richard Nixon l'americanite tenace del
musicista inglese nonchè il suo amore per rhythm and blues,
gospel,
country corretto da una cultura di base molto europea, non esente da
fruttuosi tributi alla musica colta.
Si parla di New York e San
Francisco, Ohio e Far West, Nixon e Hollywood in questo album assai
poliedrico e tuttavia governato da intima coerenza, mantenuto su regime
qualitativo cui da tempo sir Elton ci aveva disabituato. Che emerge
soprattutto dal pianismo di questo grande intrattenitore: dalle corpose
armonie del primo brano allo scintillio di Noah's Ark con le sue
reminiscenze à la Jerry Lee Lewis e le smaglianti
interferenze
dell'organo Hammond, dagli arpeggi liederistici di Wouldn't Have You
Any Other Way alla fastosa coralità di Tiinderbox. E dai
colori lunari
di And The House Fell Down, in bel contrasto con il piglio vispo del
brano, alla grazia sognante di The Bridge. Splendida come sempre la
band.
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