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recensioni dei fans

RECENSIONI DEI VISITATORI

THE CAPTAIN & THE KID
 

The Captain & The Kid



inviate la vostra recensione di un disco di Elton e sarà pubblicata in questa sezione.
non preoccupatevi, non cerchiamo critici professionisti, ma le impressioni, positive o negative, dei fans!


di Beppe Bonaventura (2006)

Ed eccomi a commentare l’ennesimo album di Elton!
Diciamo che le premesse non erano molto positive.
E’ vero che veniamo da due album validi come Peachtree Road e soprattutto Songs From The West Coast, ma solo pochi mesi fa c’era stata la mia enorme delusione per Lestat, il primo musical scritto con Bernie, con canzoni poco ispirate, banali e quasi inascoltabili.
Poi, il progetto del nuovo album partiva, secondo me, con il piede sbagliato, nasceva infatti da un idea di Merck Mercuriadis, manager della Sanctuary, era quindi un disco fatto su commissione, come poteva essere ispirato?
Ultima considerazione negativa, Elton dichiarava che voleva autoprodursi come in Peachtree, buon disco che aveva probabilmente il suo tallone di Achille proprio nell’assenza di un produttore di rango, con buone canzoni che alla lunga risultavano tediose.
E invece in questo momento sto ascoltando un bellissimo disco, che surclassa probabilmente tutta la produzione post anni ’70, SFTWC compreso.
Cosa è successo al duo John/Taupin?
Come è possibile che dopo tanti anni di alti e bassi gli ultimi tre album di studio siano ridiventati degli ottimi dischi che reggono benissimo il passo degli anni e delle mode?
Forse la consapevolezza che le cime delle classifiche sono ormai decisamente difficili da raggiungere e che quindi vale la pena di fare album di spessore e di qualità per dimostrare che il vero Elton non è quello di canzoni come Nikita o Sacrifice, o peggio ancora quello del Re Leone, indirizzato a un pubblico di bambinetti.
Se si voleva veramente fare un seguito al grande Captain Fantastic senza perdere la faccia almeno con i fans (con la critica la reputazione se l’era già giocata), bisognava tornare a comporre come una volta, magari in pochi giorni come ai tempi d’oro, senza tanti ripensamenti e sovraproduzioni spesso deleterie.
Lasciando perdere mode, tendenze, ospiti famosi, elettronica a go-go e tutto quello che, nel caso di Elton, serviva solo ad appesantire e a rendere mediocri molte canzoni.
Bastava solo ricordarsi di essere uno dei più grandi compositori dell’epopea d’oro del pop rock e avere un Bernie Taupin in forma come ai bei tempi, con testi veramente efficaci che, parlando delle loro esperienze negli ultimi 30 anni, tralasciano stavolta le spesso ritrite canzoncine d’amore degli ultimi anni, buone per far venire il latte alle ginocchia.
E’ vero che il marchio di fabbrica di Elton per il grande pubblico è Your Song, ma quello che preferisco è invece il compositore di canzoni come Ticking, Talking Old Soldiers e Have Mercy The Criminal, tanto per citarne alcune, dove l’amore si defila per dare spazio a storie più crude e drammatiche.
In Captain And The Kid, come è risaputo, i nuovi testi di Bernie parlano come nel primo Captain, di loro due, dell’arrivo negli Usa, dei successi e degli insuccessi, dei periodi scintillanti e di quelli bui, degli anni che passano, degli amici che spariscono.
E francamente il disco è un grande album, come quasi nessuno compreso il sottoscritto si aspettava, con canzoni mai banali o risapute, con arrangiamenti abbastanza essenziali e mai pesanti (complimenti alla produzione di Elton e Matt Still, promosso a produttore dopo Peachtree), ispirate, che ci fanno ricordare il  perché siamo diventati suoi fans.
Manca anche la melassa di certe canzoncine, altro punto debole del nostro eroe in anni recenti e passati, canzoncine che facevano sempre capolino in quasi tutti i lavori e, che purtroppo (per me!) indirizzavano Elton verso un altro tipo di pubblico.
Ma io voglio credere che Elton si sia ricordato di quello che è stato (e che non gli viene quasi mai riconosciuto) e di dischi meravigliosi come Madman, Tumbleweed e voglia scrollarsi di dosso almeno nei suoi album ufficiali l’immagine ormai compromessa da improbabili duetti e collaborazioni, da cartoni animati e altre amenità del genere.
Colui che aveva scritto e interpretato canzoni come Talking Old Soldiers non poteva finire per essere ricordato per i duetti con i Blue, per il Re Leone o per Sacrifice.
So che con queste dichiarazione mi inimicherò molti dei fans più giovani, ma è quello che penso e, se mi piacevano certi tipi di canzoncine smielate non avrei certo rivolto la mia passione verso Elton.
Le canzoni sono tutte di un buonissimo livello, la più debole e banale (si fa per dire) è naturalmente quella scelta come singolo, The Bridge che, nonostante la strumentazione molto semplice indulge un po’ al risaputo.
A mio parere, non ci sono canzoni memorabili che diventeranno dei classici o particolarmente orecchiabili, ma l’insieme dell’album è superbo, senza cadute di tono, come è giusto che sia nel caso di un album concept come questo.
Però la fortuna di una determinata canzone è legata a tanti fattori e magari sarò smentito clamorosamente e alcune diventeranno degli hit senza tempo.
Difficile scegliere la migliore.
Molto belle sono la malinconica Blues Never Fade Away sui troppi amici persi nel corso degli anni, Old ’67 con reminiscenze in stile Tumbleweed, Postcards From Richard Nixon con un piano preminente che racconta le prime esperienze americane, Wouldn’t Have You Any Other Way (NYC), ennesimo atto d’amore verso New York, la veloce  … And The House Fell Down, dal ritmo veramente accattivante, sul periodo buio della droga.
E, dulcis in fondo, la canzone che chiude il cerchio, Captain And The Kid, che si apre proprio sulle note della prima Captain Fantastic per tirare un bilancio su oltre trent’anni di storia di due persone che incredibilmente, con stili di vita completamente diversi, sono riusciti a tenere in piedi una collaborazione così gloriosa e inusuale.
Elton senza Bernie probabilmente non sarebbe mai arrivato alla fama e al successo, e questo disco ne è un’altra dimostrazione, con un Bernie in stato di grazia anche la musica è ritornata a livelli impensati.
I classici degli anni 70 probabilmente sono un’altra cosa, ma Captain And The Kid è un grande album e un vero disco di Elton John, che sicuramente verrà apprezzato da chi, come me, conosce Elton da tanti anni, e magari dispiacerà un po’ ai fans più giovani che hanno conosciuto un altro musicista.
Un album insperato, impensabile fino a pochi anni fa, probabilmente non venderà, ma chi se frega, godiamocelo prima che Elton ricominci con un duetto con l’ultima boy band in circolazione e con una scaletta live indirizzata a un pubblico che si scioglie alle prime note di Nikita o di Blue Eyes.
Eccellente o 4 stelle (perché 5 le do a Madman e a Tumbleweed!)



di Elton Jr


 Verità in Vendita


Siamo all’epilogo, o forse a un piccolo riassunto per chi si è aggiunto nel corso degli anni senza sapere bene di preciso cosa che è successo quando si è imbattuto in questi 2 il Capitano ( di ventura o di sventura qual si voglia) e il Kid che poi adesso tanto kid non è più nemmeno lui.
Ci sono piccole perle di saggezza da tenere in tasca con questo album, perle che assomigliano spesso a sfere di indovini che più che altro ti fanno vedere il passato e mostrano come tutta la magia dei “venditori di verità” ebbe inizio…in sequenza perfetta, come una narrazione…
Ai tempi del Capitano Fantastico, in America c’era un certo Richard Nixon che quelli come me è già tanto se lo hanno letto sui libri di storia. Beh deve aver fatto un bel casino ai suoi tempi, perché a distanza di anni sono sempre tutti a parlare di lui anche se fanno l’amore con la Lewinsky o la guerra con Saddam. Lo scenario quindi che si apre è quello che si sarebbe immaginato qualsiasi ventenne e non solo, che mette piede sul suolo americano, un presidente che sta nuotando negli scandali, e i due ragazzini spaesati si vedono catapultati in un mondo quasi da favola, dove tra divi e macchine lussuose, l’unico che dall’alto di una statua benedice i passanti, non è un Papa o un Dittatore, ma l’uomo, Walt Disney la cui vita preannuncia quella dei 2 inglesini dagli occhi sgranati. Vita fatta di sogni realizzati e di emozioni regalate al mondo con le proprie creazioni…Dio per l’appunto che crea come un cantautore..
Partendo in quarta con una bellissima porche rossa rubata a Steeve Mc Queen mentre fa il figo con le ragazze, è tempo di mettersi in fila per entrare nel mondo del music business con i ritmi frenetici, gli spintoni e le false promesse che uno che entra nel mondo che ha sempre sognato deve subire e già da qui si scorge un richiamo al primo Captain dove si legge di prendere la nave o la ruota della fortuna l’importante è poter atterrare dall’altra parte.
Qui la nave ha un suono biblico come la torre di babele del 75, ma tutto rimane come sospeso nell’aria e all’improvviso sembra cambiare anche il tempo che da splendente all’arrivo sulla strada dei mattoni gialli, si fa cupo come coperto dallo smog di una grande metropoli. Metropoli amata quasi morbosamente, accarezzata come un porta fortuna, ma allo stesso tempo che porta i segni di quelle che sono state le delusioni, una NYC che si lecca le ferite, da magnifica capitale del mondo, multietnica e ricca di opportunità a città malata, che nasconde sotto un’apparente perfezione un velo di malinconia e di tristezza. E tra neve, buio e smog, i figli di banchieri e di avvocati, a distanza di anni, non sanno ancora se fuori è giorno o notte perché tutto è abbandonato a se stesso, tra mafiosi italiani e locali gay. Ma c’è ancora amore per questo luogo a cui sembra mancare qualcosa.. E’ una sensazione impercettibile che è sempre rimasta, a distanza di 30 anni, negli occhi del Cowboy e nella voce del Capitano, magia, fatta di critica e riconoscenza.
E al cambiamento del tempo, coincide la percezione dell’elevata velocità della poche che ormai non è più quella di Mc Queen visto che arrivando fama e gloria arrivano anche i dollari. Velocità portata all’eccesso come per arrivare a una vetta. Ma più ci si avvicina alla vetta più è facile scendere dall’altra parte, quindi un niente può far scivolare il tutto, ed è come, in mezzo alle scintille del successo, far si che tutto esploda come è già successo ad altr,i che sembra, con la loro voglia di onnipotenza e conoscenza, da Ulisse a Robert Johnson, non abbiano fatto piacere a chi in alto ci sta da sempre…
Ed ecco allora che tutto precipita in un dirupo, con scenari che solo Tim Burton potrebbe descrivere tra ragnatele e volti cupi, resi irriconoscibili da quella sottile polvere bianca che da un certo punto in poi sembra come venire assorbita dal cuore di colui ormai divenuto uomo che ha osato sfidare il cielo scalando l’Olimpo con successi e talento a non finire.. Il tempo non esiste più e tutto è come caduto in un limbo, nell’ attesa di capire cos’altro aspetta quest’ anima dilaniata che nel frattempo si è allontanata dal suo spirito gemello, che nel cuore ha sempre il West. E’ arrivato il momento del bivio, o cercare di risalire dal nulla (cosa che è riuscita ora come non mai), cercare un appiglio nella stessa melma che richiama anche The Westland, con ulteriori immagini che giusto uno come T. S. Eliot aveva già scritto, oppure entrare subito nella gloria degli Dei come Elvis come Morrison, o come lo stesso occhialuto Buddy Holly..
Persone ,si legge nelle strofe successive, che hanno perso la battaglia con il Blues, il destino. Una battaglia come una partita a dadi , come anche una partita a scacchi contro la morte già descritta anch’essa nel Settimo Sigillo…Ed ecco il momento della rivelazione, della risalita, della consapevolezza di essere non tra coloro che se ne sono andati talmente giovani da rimanere immortali come recita Lestat DIE YOUNG LIVE FOREVER, ma tra coloro che hanno vinto la battaglia con il Fato e e adesso ricordano chi, anche se per poco, ha svolto un ruolo importante nella sua vita, e se n’è andato trasmettendo messaggi.
Forse è per questo che il Capitano è cosi fortunato, forse il Capitano insieme al suo Cowboy doveva rimanere per raccontare gesta di uomini per far sognare ancora, forse doveva solo continuare, farsi forza e attraversare il ponte, metafora di transizione tra ieri e domani, un momento in cui si tirano davvero le somme di una vita che ha dato perdite e gloria, fallimenti e successo, ammirazione, invidia, odio, amore…Doveva rischiare perché aveva ancora altro da fare , da raccontare, doveva ancora dire a chi non c’ era come tutto è cominciato e come tutto è arrivato fino a qui, cos’è accaduto in 30 anni che potrebbe cambiare il pensiero e le riflessioni di chi ancora, è un ventenne costruttore di sogni…
Sicuramente raccontare e far capire che il successo non è tutto, soprattutto in questi anni che magari nei gesti non lo dimostra e allora torna indietro cantando d’amore e prendendo spunto da un’artista da lui amato, che in questi giorni combatte per il primo posto in classifica, come lui. E anche se non parla di guerra, adesso in o on the wind non sono più né le candele, né le risposte, ma le domande poste da persone che possono insegnare qualcosa anche se sono semplici amanti. La cosa fondamentale è imparare ad ascoltare e ad essere di nuovo in 2.
In 2 come ai vecchi tempi, il ritrovo, non più in un Pub Londinese, ma magari in una bella villetta a Nizza a richiamare i tempi andati davanti a un buon bicchiere di vino e a una birra analcolica ( lezione imparata..) Ridere della gloria e anche di quello che non è andato bene perché alla fine, adesso come allora “è un po’ strano questo sentimento che ho dentro” Guardarsi negli occhi e vedere oltre a qualche ruga in più, sogni realizzati e prepararsi a scrivere per raccontare tutto questo, per raccontare cosa fa il successo, ma anche cosa è capace di fare un uomo quando sa rialzarsi, quando decide di continuare a lottare, contro tutto, contro tutti, i Gorge Michael e le Madonne e come il suo Cowboy è ancora a ridere con lui. Allora pronti a dire adesso dove siamo..
Cosa abbiamo fatto? Tra città cambiate come quella del ragazzo della via Gluck e uomini migliori, è stato costruito il futuro di due anime gemelle, delle due persone più opposte di questo mondo che si sono unite creando qualcosa di unico (allora dico aveva ragione Platone..basta cercare e avere fortuna). Tra l’amore per il West e per le feste lussuose , sono stati scritti pezzi per far piacere a chi vuole a ogni concerto sentire le solite ballate alla Reginaldo sdolcinato, e nel bene e nel male, tra una Candle in The wind rivisitata su richiesta di Sarah Spencer e un ennesima versione di Your song per il male delle mie orecchie per l’intromissione dell’italiano, ma il bene dei miei occhi, grazie a un altro Capitano, ma quello della nazionale inglese, 2 uomini, uno amante dei cavalli della California e l’altro di quelli di una Ferrari, si sono ritrovati, consapevoli che poteva finire peggio, se il “diavolo” avesse preso il posto di uno di loro. Ma quello che conta è che allora come adesso e si spera anche domani, l’intento è quello di andare avanti e leggere che non è vero che i sogni non si realizzano e non sono tutte bugie quelle che si trovano scritte su una canzone, ma sono favole, che fanno riflettere, imparare e SOGNARE. L’importante è non fermarsi perché quello che uno che fa questo mestiere vuole vendere sono solo VERITA’, anche se romanzate.

Allora Grazie per le Verità che mi Vendete…

di Beppe Donadio

Il Tropico Del Capitano


Adoro l'autoradio. Soprattutto quando l'attinenza tra il viaggio ed un concept album è così evidente.

A volte in auto ci resto un pò di più, fino a che la canzone finisce, perchè mi sembra un peccato parcheggiare e spegnere.
C'è chi la musica la ascolta mentre cucina, chi nel bagno di prima mattina, chi isolato da cuffie in plastica che partono da aggeggi bianchi dall'estetica dannatamente accattivante. Quelli che Forres Gump direbbe provengano dal suo "Negozio di Mele".
Ho consegnato il disco ai meccanismi silenziosi di un'autoradio dal display blu, che in pochi istanti segna "traccia 1".
L'ho fatto con questo pensiero: "The Captain & The Kid" è la fine di un viaggio? Oppure ci sarà un "Elton John" numero due? Un "Tumbleweed Connection" reloaded?
L'importante è non aspettarsi che il seguito sia migliore del primo, perchè non succede mai.
In "Captain & The Kid" non ci sono singoli che fanno la storia del rock. Di singoli così non ce ne sono da molti anni, nella discografia di Elton John.
Ma ci interessa davvero avere "singoli di successo"? Sono indispensabili, oggi?
Non ci sono hits, in "The Captain & The Kid", perchè questo non è un disco pop, con le regole stantie e retrograde del pop, non è un disco con l'adesivo "contiene il grande successo...". "The Captain & The Kid" è un musical, uno spettacolo itinerante. Dieci belle canzoni.
E alla fine un pugno nello stomaco da mettere in discussione quel luogo comune che gli uomini non devono piangere.
In "Postcards From Richard Nixon" c'è la ritmica di "Captain Fantastic & The Brown Dirt Cowboy", traccia numero uno di trent'anni fa, una delle cose più belle mai scritte in epoca di album mangiaclassifiche. "Just Like Noah's Ark" è una "Tulsa Time" riveduta e corretta, con le armonie di "Restless" e le soluzioni di "They Call Her The Cat", la solita canzone-diretto delle dieci e quindici, con la locomotiva tirata da Nigel Olsson (i soliti pochi colpi, essenziali e decisivi). "Tinderbox", più inglese di così si muore, apre a "The House Fell Down", New Orleans nei suoni e tanto pianoforte da mettere sottovuoto e conservare con cura.
Durante il viaggio la notte mi riporta "The Bridge" come non l'avevo vista. E cioè all'interno del lungo piano sequenza di "The Captain & The Kid".
Da sola è come l'unico sopravvissuto ad un disastro aereo. Dispersa.
Dentro al corso della storia di quest'album, invece, "The Bridge" è un salto nel vuoto, così vicina alla solitudine di "Breaking Hearts", gioiello del disco omonimo, in quell'epoca in cui zio Elton scriveva storie di tre minuti, e dentro c'erano emozioni lunghe un'ora.
Da "The Bridge" in poi il film "Captain & The Kid" dà il meglio di sè, fino alla canzone che ti aspetti da vent'anni, quella col rif che resta in testa due giorni, a chiudere un viaggio di 200 chilometri, il mio di questa notte, e quello di Captain Fantastic, iniziato 31 anni fa. Un viaggio che finisce alla tracca dieci, "The Captain & The Kid", con tutti i mandolini migliori di Johnstone che dà il giusto seguito artistico alla prima opera. Un seguito che, quanto a qualità sonora, suona dannatamente bene.
E' su "Captain & The Kid" traccia dieci che il conducente al chilometro 100 lascia andare una lacrima, per questo ciclo che in qualche modo si è chiuso, quello del Capitano e del Cowboy, per questa voglia di hip hop da far cadere le braccia, per questa storia infinita che al di là di ogni sviluppo ci ha reso e ci rende ancora tutti uguali, tutti Capitani o Cowboys, tutti insieme, chi con le cuffie, chi dentro l'auto, chi sprofondato in poltrona, chi nel mezzo di una corsa a piedi, tutti quanti uniti da 10 nuove storie, che, è vero, non sono supernove, ma insieme fanno una dignitosa costellazione, il Tropico del Capitano Fantastico, che adesso è costellazione di doppia bellezza.
E' vero. You can't go back. Non si può tornare indietro.
Ma thanks God the music's still alive.

di Levon

 
"
Nessuna  bugia, solo un’altra favola sul capitano e il ragazzo"


Dopo una giornata comune a tutte le altre passate a studiare in casa perchè il liceo si sa è così, occupa tutto il tempo; mi ritrovo davanti al pc con sottofondo le note del nuovo album del maestro Elton John con l'intensione di fare una recensione,la prima in questo forum...
Innanzitutto vorrei dire che non mi aspettavo quest'opera da Elton che dopo il flop di vendite (e anche di melodie!) di Peachtree Road credevo non potesse più fare.
Detto questo,il nuovo album che racchiude la storia del Capitano Elton e del Cowboy Bernie cominciata con l'uscita nel 1975 di Captain Fantastic And The Brown Dirt Cowboy è secondo me fantastcio e non sfigura dicerto davanti ai suoi classici predecessori degli anni '70.  Il nuovo cd è un misto tra rock e ballate che però non stanca ed è lontano da molodie banali e mielose come sono quelle ante-Songs From The West Coast e per metà di Peachtree Road!

La prima canzone è Postcards From Richard Nixon e subito si capisce che Elton fa sul serio con un intro splendido (alla Emperor's New Clothes ) e un ritmo andante e una melodia veramente perfetta...  ovviamente il testo è del cowboy Bernie che come sempre sa emozionare come pochi fanno nel mondo della musica trattando in questa prima canzone il tema dell'arrivo negli States suo con il compagno di vita Elton.
Il secondo pezzo è Just Like Noah's Ark dove Elton & Band fanno un rock fantastcio stile Restless (soprattutto all'inizio),ritmo accattivante,una canzone cosi non dovrebbe mai mancare in un album che si rispetti!
Segue Wouldn't Have You Any Other Way (NYC) un brano che ovviamente fa capire dal titolo è dedicato a New York quasi per finire il ciclo newyorkese iniziato nel 1972 con Mona Lisas And Mad Hatters da Honky Chateau.  Questa canzone è veramente bellissima anche se non la reputo tra le migliori comunque il sound è ottimo che comunque non rimane in secondo piano con il livello di tutto l'album.
La successiva Tinderbox fa emozionare molto con la voce del Sir Elton bellissima e una melodia tutt'altro che banale mista con qualche rimando al rock soprattutto nel finale...all'inizio non la reputavo così bella,l'avevo un pò sottovalutata ma ora mi accorgo che è una grandissima canzone.
...And The House Fell Down,la canzone seguente, è una di quelle che preferisco con ritmo coinvolgente e con un ritornello che ricorda la frizzante I'm Still Standing del lontano Too Low For Zero (1983).  Qui è rilevante il ruolo del piano, Elton dà spettacolo sopra una melodia appartenente al mondo del jazz.  Il testo è,come si può capire dal titolo sul periodo buio della droga vissuto da Elton & Co..  Insomma una canzone veramente eccezionale, da un pezzo che Elton non ci deliziava con queste cose!
Blues Never Fade Away è il titolo della "song" successiva e secondo me è una di quelle canzoni che fa venire i brividi dall'emozione e solo Elton può fare pezzi così.  Malinconica ed energica,con un finale crescendo,allo stesso tempo con un testo eccezionale sulle scomparse premature di amici durante la carriera musicale del Sir.
Segue il primo singolo The Bridge forse la canzone più debole dell'opera che comunque eseguita live non sembra sfigurare.  Ci manteniamo però sempre in un livello alto con l'accoppiata voce-piano di questa canzone.
La canzone successiva è I Must Have Lost It On The Wind, fantastica con il ritornello che rimane in testa e un ritmo country quasi da Tumbleweed!
La seguente Old '67 è una canzone eccezionale la seconda per mio indice di gradimento..ascoltatela è impossibile rimanerne non colpiti (positivamente ovviamente!).
Siamo alla fine del capolavoro...ed ecco la perla The Captain And The Kid la title track che chiude il ciclo di trent'anni di eccessi e disperazioni,di successi e flop... il ritmo e la melodia si rifanno all'altra title track Captain Fantastic And The Brown Dirt Cowboy unita grande testo che racconta la storia di Elton & Bernie che da semplici persone sono diventate il cowoby e il rocket man proprio come dice la canzone stessa....

Questo è il nuovo capitolo del libro-storia del baronetto inglese della musica insieme al compagno cowboy che i fans e non solo devono ascoltare perchè questa non è una bugia, solo un’altra favola sul capitano e il ragazzo.

di Alexo

One more tale...


Il Capitano ha vagato per gli spazi siderali, il Cowboy ha cavalcato per le lande desolate…ma sono ancora qui. Il loro volto è segnato dal tempo, la vita li ha messi KO troppe volte e anche il diavolo si è unito alle loro feste e tuttavia sono ancora insieme. Ancora dieci canzoni, ancora dieci storie per il Capitano e il Ragazzo. Non sono folli e sconsiderati come un tempo, non vogliono più scalare la cima del mondo ma, seduti su una terrazza, ridono insieme in una notte d’estate pensando ai bei tempi.
Le zeppe sono in soffitta e il Crazy Kid ha messo la testa a posto ma la forza e l’intensità rimangono, anzi sembra che la vita ne abbia affinato la sensibilità tanto che ora arrivano a chiedersi: “Attraversiamo il ponte o ci lasciamo morire?”. Finalmente hanno preso coscienza del tempo che passa, l’orologio non è più chiuso in un cassetto, e sanno che non ha più senso cercare di tornare indietro.
Ma non c’è solo malinconia in queste dieci piccole gemme, c’è un senso agrodolce di accettazione che pervade tutto il lavoro e che fa da leit-motiv ad ogni canzone, come l’ultimo ballo di una serata danzante in cui tutti sono felici per la bella festa ma una lacrima già rovina il trucco di qualche damigella. Una sottile trama unisce ogni canzone alle altre fino a renderle tasselli di un progetto più grande, un unicum musicale e narrativo in cui ogni storia non è che una immagine di una racconto più vasto; come un paesaggio che puoi apprezzare solo se sali in alto su una collina, così questo racconto, che inizia da lontano, lo si può cogliere solo ascoltandolo nell’ampio respiro della sua totalità.
Ironia e sarcasmo, ammirazione e stupore si mescolano nella loro celebrazione dell’arrivo in America; tra Steve MacQeen che sfreccia su una Porche e l’idolatria del dio Disney, Nixon dirà loro di restare e sarà l’inizio del mito. Ma nel loro rapporto di amore-odio con l’America non poteva mancare un delicato intermezzo dedicato a New York in cui , come un innamorato non vede i difetti dell’amata e le giura amore eterno, il Capitano canta che nonostante tutto non la vorrebbe in nessun altro modo.
Piange anche il Capitano mentre vede una foto in una piccola cornice o quando ascolta la risata di un suo vecchio amico confondersi con il vento, e quando chiede al ragazzo:”Come abbiamo fatto ad essere così fortunati?” si ricorda di tutti i demoni che lo hanno vinto e incatenato nel passato, quando rimaneva per tre giorni solo con coca e vino o quando si svegliava nel letto di un amante senza nome.
Sinceri come non mai, al Capitano ed al Ragazzo bastano un piano e qualche chitarra per condurci verso la fine del viaggio, si fermano un momento per ricordare i loro amori seguendo l’eco di un’armonica e ridono pensando a quel vecchio ’67 che ha fatto da spettatore silenzioso all’inizio della loro amicizia…
Quando giunge la fine la voglia di guardare indietro è tanta, in fondo che cosa hanno raccontato se non la vita, l’amore e la morte, l’ambizione e la disfatta….ma adesso sanno che non è giusto, sanno che hanno altre strade da percorrere e che la fine di un viaggio non è che l’inizio di un altro…e li vedi scomparire nel rosso del tramonto mentre gli occhi si riempiono di lacrime…


From the end of the world to your town

Molti lo hanno aspettato…da quando il Capitano ci fece visita dalla fine del mondo, sono passati molti anni, troppi forse…i ragazzi di allora sono uomini oramai e qualcuno se n’è andato con la speranza di rivederlo…i bambini alla finestra che sperano di vedere quel piano volare non ci sono più…forse si è perso nello spazio, forse è morto o forse si è semplicemente dimenticato di noi…qualcuno in verità ad ogni stella cadente spera di cogliere il luccichio di quel piano confondersi nel cielo…invano.
Quella sera non c’era nessuno, una luce blu lampeggiante in lontananza rischiarava il ciglio della strada…si guardava i piedi mentre camminava seguendo i mattoni del marciapiede, nessuna meta, nessuna casa, nessun ragazzo ad aspettarlo. La luce di un lampione, si ferma; alza la testa e si guarda in una vetrina, le lacrime solcano il viso rugoso, “E il mio cappello? I miei occhiali?” sussurra, “Dove sono…chi sono?”. Scoppia a piangere, la vetrina riflette un vecchio elegante con un abito di seta e delle scarpe nuove luccicanti correre sotto i lampioni nell’oscurità. Corse senza sapere dove, tutto era cambiato, corse e basta…arrivato in quella strada sentì di doversi fermare, non sapeva perché ma rimase immobile, poi quei passi…in lontananza un ombra, prima un punto nero che poi prese le sembianze di una figura umana; gli stivali colpivano l’asfalto e l’eco risuonava nelle vie, il cappello basso sulla fronte e un’andatura calma e decisa. Si fermò davanti a lui senza dire niente, rimase così per alcuni interminabili istanti, muto, poi alzò la testa e si levò il cappello…la luce del lampione illuminò due occhi lucidi, un volto segnato dal sole e dal tempo e un uomo che tratteneva a stento l’emozione…”Chi sei?” disse il vecchio, “…dimmelo, per favore…”. Il cowboy non disse niente ma con uno scatto lo abbracciò, “Ti ho aspettato…non sai quanto…ti ho aspettato” singhiozzò il cowboy con gli occhi pieni di lacrime; il sangue si gelò nelle vene “Ragazzo…sei tu? Sei proprio tu?” disse il vecchio e il cowboy fissandolo negli occhi: “Si, sono io…”. “Che cosa mi è successo, non mi riconosco più…non ti riconosco più”, “Il tempo…” disse il cowboy, “vale anche per noi…”. “Ma adesso non conta, adesso siamo insieme…di nuovo” disse il cowboy e prendendolo dal cappello tirò al vecchio un mazzo di vecchi fogli tutti consumati e sgualciti, “Capitano, sono per te…”. Il Capitano guardò i testi scritti su quei pezzi di carta e disse “non so se ne sono più capace…non siamo più gli stessi”, “lo so, siamo cambiati ma siamo sempre noi, questo è il segreto…girati e guarda la”, non chiedetemi come ma un grande piano nero era alle sue spalle, il Capitano si sedette, suonò alcune note e poi incominciò a cantare…
Cantò dei bei tempi, di giorni magici e mitici, cantò dell’America e del sogno americano che andava sgretolandosi, del vortice degli eventi che li travolse, di quando il mondo era ai loro piedi, di quando tutti conoscevano il Capitano Fantastico e il Cowboy Sporco di Terra…cantava la frenesia, gli eccessi, il turbinio della vita, il sesso…ogni parola sembrava legata con un filo invisibile alle altre, tutto scorreva fluido come se il gli anni non fossero passati, come se il tempo non esistesse…ma cantò anche le ombre, i demoni che come un ghigno nel vento attraversarono le loro vite, i sogni infranti, le persone andate…si ricordò di quel bambino e di quella ragazza, il Re Sole e la risata di John…cantarli era come spargere le loro ceneri al vento, era il suo modo per dire loro addio…cantò i loro amori, le persone giuste e sbagliate che incrociarono le vite alle loro…cantò del baratro in cui erano sprofondati e della loro risalita, cantò di tutte le parole perse nel vento…
La voce era calda, il suono limpido e cristallino come uno specchio d’acqua all’alba, il Capitano non stava cantando…era Musica.
Suonò le ultime note, “dobbiamo andare” disse il Cowboy, “lo so…” ; con un fischio chiamò il suo cavallo e salirono in groppa, mentre si allontanavano ad un tratto il Capitano si girò verso di me, che per tutto il tempo me ne ero stato accucciato in quella stradina buia pensando di non essere visto, e mi disse: “nessuna menzogna, è solo un’altra favola…”; non dissi niente per l’emozione, e loro sempre più lontani li sentivi ridere mentre ricordavano la loro giovinezza, quel vecchio ’67 che li ha fatti incontrare…poi le loro parole si confusero con il suono del vento e mi resi conto che quella notte amore e morte, sogni e speranze, amicizia e malinconia avevano danzato per me sulle note di quel pianoforte…
Non ho prove di quello che vi ho raccontato, potete anche non credermi, forse è stato solo un sogno ma di una cosa sono sicuro…li ho visti cavalcare verso il tramonto , The Captain & The Kid
.


di Dixie Frankie

A Captain without Army (A Cowboy without Guns)
Il Destino di un Supereroe

"...dove eravamo rimasti?..."

Si dice che quando la gente si crea dei supereroi, persone comuni ma in grado, nascoste nell'anonimato di una maschera fantastica, di imprese impossibili, fossero esse il salvare il mondo da un'incombente minaccia galattica, o soltanto salvare un gattino da sopra un albero, lo faccia perchè semplicemente ha bisogno di sognare, di immaginare, di lasciarsi avvolgere da spazi aperti e dai confini variabili da persona a persona, larghi indifferentemente dalla fine del mondo alla tua città...
E quanto più dietro queste maschere si nascondono persone semplici, umili, e armate nella vita comune solo delle proprie fragilità e della carica di umanità che si portano dentro, tanto più sono amate, adorate, a volte considerate un simbolo o prese a riferimento per i mille milioni di passi che ognuno di noi deve compiere per il proprio cammino, che esso sia fatto su zeppe da venti centimetri, o in stivaloni impolverati da ranchero stanco...
E non è un caso, se i supereroi più amati della storia siano stati nascosti dietro la timidezza di Clark Kent, dietro l'insicurezza di Peter Parker, e dietro la timidezza e l'insicurezza di Reginald Kennet Dwight da Pinner...
E dire che tutto poteva pensare il piccolo Reg, fuorchè di avere dei superpoteri, quelli stessi che leggeva sugli albi di fumetti nella sua casetta a due piani nella periferia londinese, e su quelli nuovi, più colorati e scintillanti che si trovò a leggere all'improvviso in una stanza all'Holiday Inn, quando Richard Nixon, in gran debito con i suoi per "averne mandati tanti oltreoceano", staccò due biglietti in più per quella grande Disneyland a cielo aperto che era il suo Paese, e che non chiedeva altro che materia prima da tritare negli ingranaggi dello star-system, pensando così di farsi perdonare qualcuno dei suoi tanti peccati mortali...
Non aveva molto, il piccolo Reg, all'infuori di improbabili occhialoni e di una misera valigia di cartone con dentro un lungo pianoforte a coda e tanta, tanta speranza... ma tanto gli bastava... sì, tanto gli bastava, perchè in quell'arca di Noè dalla variopinta umanità in cui era capitato, il bello era che anche uno come lui, poteva diventare una superstar... gli bastava semplicemente piantare i piedi del suo pianoforte in quella terra fertile di suoni e colori, e lasciar germogliare il seme della sua creatività...
Sì, perchè dove gli altri vedevano solo muri grigi, ciminiere e gente che camminava per strada sotto il peso del tempo, lui vedeva tutt'altro... e gli bastava bussare su quel suo pianoforte a coda, per svegliare astronauti e ballerine, gufi e pistoleri, gangster e prostitute che dormivano lì dentro da sempre, e donarli al mondo... e colorarlo, quel mondo, volando su è giù, da est ad ovest, regalando, come ogni bravo supereroe, un'emozione, un sogno in più, o un briciolo di nuova speranza a tutte quelle persone acclamanti che incontrava lungo la sua strada di mattoni gialli... Fino a diventarne l'osannato Capitano... un Capitano senza esercito, se non quello dei cuori di milioni di persone...
Ma a volte il successo è un fragile castello di carte, è una pericolosa santabarbara, è un'effimera casa di paglia... che, se quando sali lungo il tuo ponte ti fa sentire più vivo, più leggero, e sempre più in grado di fare qualsiasi cosa, spesso non ti protegge dagli effetti della caduta... e basta che il lupo dei tuoi demoni interiori inizi a soffiare e sbuffare, perchè tutto ti crolli addosso rovinosamente...
E quel giorno, qualcuno gridò: "Il Capitano è morto!"... non si accorse che semplicemente il Capitano, ormai degradato a sergente, era soltanto scomparso all'orizzonte, iniziando la discesa dell'altra metà del ponte...
Perchè, quando arrivi in cima al ponte, anche se sei un supereroe, non puoi non sentire le vibrazioni sempre più forti delle raffiche di vento, non puoi non vedere molti dei tuoi amici che non ce l'hanno fatta, o che sono caduti ed annaspano invocando aiuto, e tu che non puoi neanche aiutare te stesso, non puoi non sentire il brivido della pioggia che cade, e che cancella via tutti quei colori che avevi donato al mondo, eccetto quello della tristezza...
"...com'era bello, un tempo, e che sensazione un pò buffa, che avevamo dentro... quando semplicemente si era dei ragazzini che scommettevano su sè stessi, con tante speranze, e con i buchi nelle scarpe... ma liberi di essere semplicemente noi, lontano da qui, lontano da ora, dove ululano questi cani della società... oggi più di allora, che anche la città che più ho amato nella mia vita, sembra irriconoscibile..."
E' alla fine del suo ponte, il Capitano, finalmente ritornato Capitano... perchè il suo superpotere più grande, quello che nessuno potrà mai togliergli o negargli, è quello di risorgere, sempre, dalle sue ceneri... e indossare ancora una volta la maschera ed il mantello, e raccontare ancora di Levon e Alvin Tostig, di Susy e di Van Bushell, di Dan Dare e di Mona Lisa, di Harmony e dei mille altri personaggi che vivono dentro il suo lungo pianoforte nero, sempre e per sempre giovani, come se quegli oltre trent'anni non fossero mai passati...
...e il Cowboy, direte voi?
Il Cowboy è l'autore di questa storia, che avete appena letto... perchè il Capitano è semplicemente una maschera, un'invenzione letteraria che non sarebbe mai esistita, se non ci fosse stato quel ragazzino che, isolato dal mondo all'interno della sua sfera galleggiante, non avesse creato questo Fantastico miracolo... lo si può immaginare, questo Cowboy senza pistole, seduto in un saloon assieme a Joe Shuster e Stan Lee, a sorseggiare whisky ed a compiacersi delle imprese dei loro rispettivi supereroi...
..perchè, come egli stesso scrive nell'unico angolino di canzone che forse ha dedicato a sè stesso, da alcuni impari qualcosa, da altri niente, e semmai ci sarà qualcuno che può insegnarti tutto, fai finta di perderlo nel vento..

Alla prossima Cowboy, e grazie... dal ragazzo della 22^ fila... e lunga vita al Capitano...

To Be Continued... (!)


di Old67



“The Captain & The Kid” mi pone di fronte a una domanda. Chi è oggi Elton John? Perché se andiamo a dare un’occhiata ad appena qualche mese fa troviamo ad attenderci minacciosi i demos di Vampire Lestat, forse il capitolo più triste dell’intera carriera di sir Reginald Dwight.
Dr. Elton e Mr. John? Non ci credo. Non credo a una doppia personalità artistica, credo più alla possibilità che la fretta di concepire una musica che non senti tua, che non ti appartiene, finisca inevitabilmente col farti partorire un figlio anch’esso non tuo. Perché i demos a me hanno dato l’impressione di fondo che Elton li abbia scritti di malavoglia, solo per rispondere al bisogno fisiologico di oscurare un po’ col vetrino al cobalto la luce troppo brillante che lo stava accecando mentre componeva “Postcards from Richard Nixon” e “And the house fell down”.
Tant’è. tC&tK è la grande emozione che mi mancava almeno da 5 anni. La mattina in cui l’ho acquistato ricordo che è successa una cosa che lascio ad altri il compito di interpretare. Ero in macchina ed il cielo era di quel plumbeo deprimente che ti fa perdere il senso di tutto. Inserisco il CD nel lettore (non senza aver prima imprecato numerose volte perché non riuscivo ad aprire la custodia… ma a chi è venuto in mente di mettere quella specie di pulsantino malefico?!) e partono le note di Postcards. Il mio livello di attenzione verso il mondo extraeltoniano si abbassa drasticamente e per me non esiste nient’altro di importante, siamo io e lui che ce la raccontiamo come due vecchi amici in un ranch americano con l’erba dalle sfumature ocra, con la sola compagnia di un cowboy silenzioso sullo sfondo. Ma ecco che… We heard Richard Nixon say… WELCOME TO THE USAAAAAA!!!  Proprio in quel momento, con la perfezione che solo il caso può dare (e qui cito Faletti) le nubi sopra di me si squarciano nel punto esatto in cui l’unico raggio di sole del fine settimana le taglia con chirurgica precisione e si fonde là in alto con l’urlo liberatorio, quasi orgasmico, che sale dalle corde vocali dell’Elton che da troppo tempo ormai speravo di poter riascoltare.
Perché quest’album è così. Liberatorio. Ti metti lì e lui ti porta dove la tua mente desidera andare, e non sei tu a dover guidare e a dover decidere che strada fare. Nossignore, il Capitano la sa molto più lunga di te, ti ha già portato in tanti altri posti altrettanto belli e tu l’hai ringraziato per questo. E quando il giro è finito e tu ti chiedi perché non ti porta anche ad attraversare il fiume Tamigi dopo avertelo promesso, ecco che ti accorgi di poter continuare da solo, in volo, perché il ricordo della fresca emozione che lui ti ha appena dato è di per sé una benzina sufficiente a tenerti sospeso per aria un bel po’ di tempo. E a chi non ti capisce, peggio per lui.
Non mi ci è voluto molto per capire che questo disco è il migliore da “A single man”. Il perché è semplice. Lo sento più organico, meglio ragionato e meglio prodotto di Songs from the West Coast, che pure resta sul podio. Sento che lo stesso Elton aveva bisogno di comporlo e di produrselo, non ci sento dento quella smania di fartelo piacere a tutti i costi ma piuttosto il l’appagamento personale di essere riuscito finalmente a rispolverare la lampada del genio. E la sicurezza di riuscire a fartelo arrivare al centro del cuore senza artifici o acrobazie, così, con semplicità.
Aspetto il prossimo capitolo della storia, mio Capitano…

di Lady Samantha


I hope you don't mind...
 Premettendo che non sono abile come molti di voi a scrivere recensioni perché non l’ho mai fatto prima, spero che non vi dispiaccia se al di là di osservazioni tecniche abbia voluto esprimere anche io, come alcuni il mio resoconto, o meglio le mie impressioni relative a Captain & the Kid, che mi ha trasmesso notevole motivazione per provare a buttare giù qualche riga su questa avvincente storia che continua ad affascinarci, e che ebbe inizio molti anni prima che la maggior parte di noi nascesse per riproporsi affinché qualcuno continui a tenerla viva dentro di se.
E se non per il piacere di essere ascoltati, non ritengo opportuno che quel che sento di voler esporre sia motivo di approvazione, perché ognuno di noi vive queste suggestioni in modo diverso, anche se il tema in questione fino ad ora non è stato mai fonte di divario sulle nostre considerazioni.
Sono semplicemente grata di questo nuovo album che si è fatto molto attendere. Introduco brevemente che per me questo è stato un anno molto particolare e intenso, in cui ho sperimentato per la prima volta le sensazioni più brutte, di quelle che ti lasciano vulnerabile e spiazzato per mancanza di stimoli e impulsi ma anche le più belle in assoluto, che mi hanno riscattata da quei momenti che mi avevano tenuta sospesa nella totale inerzia.
Elton da sei anni è una vitalità, una carica, le sue canzoni mi fanno stare bene dentro, e in un mondo come questo in cui la musica è venduta come il pane, ci affidiamo ad essa per saziare il nostro bisogno di condividerne piacere e malinconia.
–Guess there are times when we all need to share a little pain…-
E Captain & the Kid rappresenta per me un traguardo di fine anno, sbocciato in un momento personale in cui avevo bisogno di qualcosa che mi portasse un po’ di fortuna :-)
La sorpresa di queste canzoni, a parte la loro varietà nel ritmo e nella melodia è che hanno una storia meravigliosa da raccontare, quella di due fantastiche persone legate da sempre seppure vivendo i loro ruoli parallelamente: chi cavalcando una sella di cuoio, chi sedendo un cuscino di pelle su banchetto di legno nero laccato dinanzi a un pianoforte, dal quale continuano a diffondersi note accompagnate dal supporto di versi che hanno a loro volta raccontato di altri personaggi che, dalla Lousiana fino al Vicksburg hanno attraversato il Mississippi fino agli aridi paesaggi dell’America del west, in un viaggio che ha proseguito attraversando l’intero paese fino a raggiungere New York, dove qualcosa li ha affascinati più del viaggio di un uomo che mentre spaziava in un razzo tra le stelle del successo salutava Daniel, prima che tante altre persone a lui vicine iniziassero a spegnersi…
Ma ora è tornato per raccontare se stesso con il sostegno essenziale del suo amico, ripercorrendo spazio e tempo del loro percorso.

And it amazes me.

di Giorgia Turnone

40 (+1) ANNI D’ispirazione -
2006: un allungo nella leggenda



Nel 2006, Elton John e il suo collaboratore storico, Bernie Taupin, hanno fatto più di un album che da gioia a loro e a tutti i vecchi fans. No, molto di più.
Nessuno se n’è accorto, ma i due hanno fermato il tempo. Magari saranno stati agevolati dagli anni, ma sissignori hanno fatto proprio questo: non era il 2006, ma un giorno qualsiasi della musica quando era soave, limpida, pulita, “vera”, insomma. Era quel tempo in cui se si dava un’occhiata alle classifiche americane (ma non generalizziamo più di tanto), si notava un solo album. Per settimane. “Captain Fantastic & The Brown Dirt Cowoby”. Solo lui. Era la solitudine dei numeri uno. E nel 2006 è successo qualcosa di meraviglioso, almeno per chi ama la musica e più specificatamente Elton e Bernie.
Elton John e Bernie Taupin avevano già deciso il nome, e questo era già epica. Ricordi d'immagini di un Capitano tutto occhiali e pellicce che cavalcava un pianoforte, sbalordendo tutti e infastidendo parecchi. Ricordi d’immagini di un Cowboy introverso con una colomba sulle sue gambe, che altri non era che la personificazione del suo amore, mentre intorno a lui si staglia un mondo… fantastico. Fantastico come il Capitano, e la favola che stavano vivendo insieme. Il mito vuole che in quel momento i due passarono da storia a leggenda. Anni dopo, 2006, Elton e Bernie sono diventati qualcosa di grosso e la gente che puntualmente segue le loro storie se n'è accorta. Già prima, senza dopo, perchè il tempo era fermo.
Ecco perché questo album ha poco da invidiare ai suoi predecessori. Mai come questa volta il paragone con il primo Elton è vicino. Passi la qualità (sempre altissima), ma le analogie sono tante. Un modo per ricucire quella fama di personaggio da TV, da gossip, da omosessuale impenitente. Sartoria dei sentimenti. Suonano allora a pennello le parole di Taupin.
Non ci sono gli altri. In questo tappeto rosso di emozioni, l'oro, oro puro: le canzoni così belle che le vendite sono state pessime. Sì, non è una contraddizione. Proprio come a dire: "basta così". Per suggerire: "al giorno d’oggi la musica vera non è riconosciuta".
Bè, che John e Taupin siano bionici è comprovato: nonostante i 40 anni di carriera, mantengono al seguito fans da fare invidia a tutti gli pseudo-artisti degli ultimi decenni. A proposito. Quando il tempo si ferma è un déja-vù ed è stato proprio così: "Avevamo pensato ad un sequel di CFABDC", hanno detto gli uomini che non hanno avuto paura delle mode. In rima, per la musica.
La copertina. Diversissima da quella del “genitore”. Sobria, non eccessiva. Niente piume, sfarzi, show. Solo un pianoforte nero da compagnia per John e un cavallo per Taupin. Sì, proprio a dire “siamo già leggenda, non dobbiamo dimostrare più nulla: questo è per i fans”.
Al giorno d’oggi, non si può capire un album così. Non è ai livelli degli anni 70s (quelli sono irraggiungibili… per chiunque), ma un vero e proprio capolavoro degli ultimi 20 anni. Si preparano ponti con l'immortalità per questo disco che se non avesse avuto un precedente così… “fantastic”, sarebbe stato privo di senso per molti.





di The Bridge   2012

Ecco uno dei pochi album (recenti) di Elton che è riuscito a resistere a più ascolti: lo ascolto ancora oggi con molto piacere. In quello che rimane a mio parere il miglior lavoro eltoniano anni 70 esclusi (ed escluso l'ancor superiore e posteriore The Union che interamente eltoniano non è) non c'è nessun brano fuori posto. Tutto suona ben amalgamato, malinconico, struggente. L'ispirazione c'è, l'interpretazione anche. L'album, o meglio il concept-album, si apre con uno dei brani in assoluto migliori dell'intero lavoro: Postcards from R.N., con una intro al piano che supera quella della paragonabile Emperor's new clothes, brano di apertura di Songs from the W.C. In generale questo brano batte quello precedente sotto tutti i punti di vista, con quell'urlo "welcome to the USA" che spazza via ogni grammo di quella noia che in Emperor's ogni tanto affiora. Il secondo brano, la veloce "Noah's Ark", è un buon pezzo ma suona al mio orecchio leggermente caotica e priva di quel "quid" capace di portarla alle altezze della successiva, fantastica "Hey Ahab". Segue il primo lento dell'album, altro ottimo brano cui una seconda parte leggermente meno incisiva impedisce di ambire al primato di "slow track" dell'LP. I due pezzi successivi sono però due autentici capolavori: "Tinderbox", malinconica e allo stesso tempo piena di verve, fa l'occhiolino a tutta la produzione eltoniana senza per questo ne farla rimpiangere né impallidire al confronto: è semplicemente un brano auto-celebrativo che ripercorre i bei tempi andati, un po' come tutto l'album, e lo fa alla grande; insomma, si batte il tempo e si canta, segno di grande leggerezza e immediatezza d'ispirazione. "And the house..." è l'altro grande capolavoro dell'album, un pezzo dal ritmo veloce e frizzante, e dal testo amaro: tutto funziona alla perfezione nel brano forse meno immediato dell'LP, ma sicuramente tra i più ispirati. Il lento successivo è a mio parere il punto più debole dell'album, con troppi richiami alla precedente "American triangle" per via di una certa tortuosità melodica (almeno al mio orecchio) e perfino qualche accenno alla produzione eltoniana anni 90 che fortunatamente appare solo qui. Segue "the bridge", il lento per eccellenza di questo lavoro, a mio parere scelto giustamente come singolo da estrarre dall'album. Come in Tinderbox, anche qui gli accenni alla produzione passata (soprattutto a Your Song e Sorry Seems...) non stonano affatto, ma contribuiscono a dar forza e dolcezza ad un brano che parla di dolore e di ineluttabilità, interpretato alla grande ed estremamente toccante grazie anche alla sua estrema semplicità sia melodica che armonica, ed alla sua scarna essenzialità (quasi tutto piano e voce eccettuata una piccola parte un po' troppo angelica, ma è un peccato che le si può perdonare), a denotare ancora una volta il "tocco" semplice ma intenso di quell'ispirazione che negli anni 90 sembrava essersene andata per sempre. Il country successivo è un brano carino e leggero, ma "Jimmie Rodger's dream" (da The Union) si dimostrerà decisamente superiore. "Old 67" è una ballad ricca di nostalgia assolutamente nella media (davvero ottima) di questo lavoro, ed apre il campo alla conclusiva, riepilogativa title-track, con la sua intro ripresa da "Captain Fantastic..." (il brano). E' un brano che sta sulla scia di "Tinderbox", immediato e fresco, anche se non riesce ad eguagliarne, almeno al mio palato, la forza insieme malinconica e trascinante.

Voto: 7,5




di Stefano Orsenigo   2012

The Captain and The Kid, ovvero la perla nascosta della discografia di Elton John: pubblicizzato a malapena dalla casa discografica, rifiutato dal pubblico (specie in USA, dove Captain Fantastic spopolò), non particolarmente amato da quella critica che aveva osannato Peachtree Road…adorato dal sottoscritto fin dal primo, folgorante ascolto. A distanza di anni, mi è ancora difficile stabilire una preferenza tra questo album e Songs From the West Coast, di certo si tratta due opere non sovrapponibili, benché accomunate da una ritrovata ispirazione: il suono crudo e diretto, magari anche grossolano, mai ammorbidito (archi grandi assenti), oltre alla prevalenza (finalmente!) di brani medio-veloci, ne fa uno dei suoi lavori più rock, con un pianoforte strepitoso e chitarre sferzanti (Davey è sempre meglio nei lavori in studio che dal vivo, ma qui fa davvero un figurone).
Un disco necessario: Captain Fantastic non poteva non avere un seguito, ed ecco di nuovo l’epica del capitano e del cowboy, stavolta alle prese con le gioie di una vorticosa scalata al successo globale e i dolori delle sue conseguenze. L’euforia va a braccetto con la malinconia, l’auto-celebrazione sfuma nel rimpianto per l’innocenza perduta: in questo senso, brani agrodolci come Postcards from Richard Nixon, Tinderbox e Old ‘67 sono perfetti nel racchiudere il senso dell’operazione-nostalgia, ma l’Elton da fazzoletti colpisce ancora con la straziante Blues never fade away, che sta agli anni zero come Candle in the wind stava ai 70 ed Empty garden agli 80.
Dovendo trovare un difetto, a parte la scelta come singolo del brano meno adatto, la semplice ed esangue The bridge, direi che le troppe citazioni e auto-citazioni, peraltro mai pedanti, lo rendono palesemente un disco “già sentito”: c’è Bob Dylan omaggiato in I must have lost it on the wind, il rock'n roll delle origini nella gagliarda Just like Noah’s Ark, la title-track si apre e chiude sulle stesse note del brano che introduceva l'album del 1975…And the house fell down addirittura ricorda vagamente un’oscura B-side di Leather Jackets (Lord of the flies), ma è anche il genere di canzone swingante che attendevo da secoli da Elton, che nel bridge si concede la prima e finora unica “rappata” della carriera.
Con tradizione e creatività, come negli album migliori, il cantautorato ispirato ai generi classici americani come blues e country diviene un pop-rock sfavillante e inimitabile; meno raffinato e purista di The Union, ma più sentito e personale, questo è attualmente il miglior Elton possibile, nella fiduciosa attesa di essere smentito dal The Diving Board prossimo venturo.

Voto 7/8