RECENSIONI
DEI VISITATORI
THE CAPTAIN & THE KID
inviate la vostra
recensione di un disco
di Elton e sarà pubblicata in questa sezione.
non preoccupatevi, non
cerchiamo critici
professionisti, ma le impressioni, positive o negative, dei fans!
di Beppe Bonaventura (2006)
Ed eccomi a commentare l’ennesimo
album di Elton!
Diciamo che le premesse non
erano molto positive.
E’ vero che veniamo da due
album validi come Peachtree Road e soprattutto Songs From The West Coast, ma
solo pochi mesi fa c’era stata la mia enorme delusione per Lestat, il primo
musical scritto con Bernie, con canzoni poco ispirate, banali e quasi
inascoltabili.
Poi, il progetto del nuovo
album partiva, secondo me, con il piede sbagliato, nasceva infatti da un idea
di Merck Mercuriadis, manager della Sanctuary, era quindi un disco fatto su
commissione, come poteva essere ispirato?
Ultima considerazione
negativa, Elton dichiarava che voleva autoprodursi come in Peachtree, buon
disco che aveva probabilmente il suo tallone di Achille proprio nell’assenza di
un produttore di rango, con buone canzoni che alla lunga risultavano tediose.
E invece in questo momento
sto ascoltando un bellissimo disco, che surclassa probabilmente tutta la
produzione post anni ’70, SFTWC compreso.
Cosa è successo al duo
John/Taupin?
Come è possibile che dopo
tanti anni di alti e bassi gli ultimi tre album di studio siano ridiventati
degli ottimi dischi che reggono benissimo il passo degli anni e delle mode?
Forse la consapevolezza che le cime delle classifiche sono ormai decisamente difficili da raggiungere e che
quindi vale la pena di fare album di spessore e di qualità per dimostrare che
il vero Elton non è quello di canzoni come Nikita o Sacrifice, o peggio ancora
quello del Re Leone, indirizzato a un pubblico di bambinetti.
Se si
voleva veramente fare
un seguito al grande Captain Fantastic senza perdere la faccia almeno
con i
fans (con la critica la reputazione se l’era già giocata),
bisognava tornare a
comporre come una volta, magari in pochi giorni come ai tempi
d’oro, senza tanti ripensamenti e sovraproduzioni spesso
deleterie.
Lasciando perdere mode,
tendenze, ospiti famosi, elettronica a go-go e tutto quello che, nel caso di
Elton, serviva solo ad appesantire e a rendere mediocri molte canzoni.
Bastava solo ricordarsi di
essere uno dei più grandi compositori dell’epopea d’oro del pop rock e avere un
Bernie Taupin in forma come ai bei tempi, con testi veramente efficaci che,
parlando delle loro esperienze negli ultimi 30 anni, tralasciano stavolta le
spesso ritrite canzoncine d’amore degli ultimi anni, buone per far venire il latte alle ginocchia.
E’ vero che il marchio di
fabbrica di Elton per il grande pubblico è Your Song, ma quello che preferisco
è invece il compositore di canzoni come Ticking, Talking Old Soldiers e Have
Mercy The Criminal, tanto per citarne alcune, dove l’amore si defila per dare
spazio a storie più crude e drammatiche.
In Captain And The Kid, come
è risaputo, i nuovi testi di Bernie parlano come nel primo Captain, di loro
due, dell’arrivo negli Usa, dei successi e degli insuccessi, dei periodi
scintillanti e di quelli bui, degli anni che passano, degli amici che spariscono.
E francamente il disco è un
grande album, come quasi nessuno compreso il sottoscritto si aspettava, con
canzoni mai banali o risapute, con arrangiamenti abbastanza essenziali e mai
pesanti (complimenti alla produzione di Elton e Matt Still, promosso a
produttore dopo Peachtree), ispirate, che ci fanno ricordare il perché siamo diventati
suoi fans.
Manca anche la melassa di
certe canzoncine, altro punto debole del nostro eroe in anni recenti e passati,
canzoncine che facevano sempre capolino in quasi tutti i lavori e, che
purtroppo (per me!) indirizzavano Elton verso un altro tipo di pubblico.
Ma io voglio credere che
Elton si sia ricordato di quello che è stato (e che non gli viene quasi mai riconosciuto) e di dischi meravigliosi come
Madman, Tumbleweed e voglia scrollarsi di dosso almeno nei suoi album ufficiali
l’immagine ormai compromessa da improbabili duetti e collaborazioni, da cartoni
animati e altre amenità del genere.
Colui che aveva scritto e
interpretato canzoni come Talking Old Soldiers non poteva finire per essere
ricordato per i duetti con i Blue, per il Re Leone o per Sacrifice.
So che con queste
dichiarazione mi inimicherò molti dei fans più giovani, ma è quello che penso
e, se mi piacevano certi tipi di canzoncine smielate non avrei certo rivolto la
mia passione verso Elton.
Le canzoni sono tutte di un
buonissimo livello, la più debole e banale (si fa per dire) è naturalmente
quella scelta come singolo, The Bridge che, nonostante la strumentazione molto
semplice indulge un po’ al risaputo.
A mio parere, non ci sono
canzoni memorabili che diventeranno dei classici o particolarmente orecchiabili,
ma l’insieme dell’album è superbo, senza cadute di tono, come è giusto che sia
nel caso di un album concept come questo.
Però la fortuna di una
determinata canzone è legata a tanti fattori e magari sarò smentito
clamorosamente e alcune diventeranno degli hit senza tempo.
Difficile scegliere la
migliore.
Molto belle sono la
malinconica Blues Never Fade Away sui troppi amici persi nel corso degli anni,
Old ’67 con reminiscenze in stile Tumbleweed, Postcards From Richard Nixon con
un piano preminente che racconta le prime esperienze americane, Wouldn’t Have
You Any Other Way (NYC), ennesimo atto d’amore verso New York, la veloce … And The House Fell Down, dal ritmo
veramente accattivante, sul periodo buio della droga.
E, dulcis in fondo, la
canzone che chiude il cerchio, Captain And The Kid, che si apre proprio sulle
note della prima Captain Fantastic per tirare un bilancio su oltre trent’anni
di storia di due persone che incredibilmente, con stili di vita completamente
diversi, sono riusciti a tenere in piedi una collaborazione così gloriosa e
inusuale.
Elton senza Bernie
probabilmente non sarebbe mai arrivato alla fama e al successo, e questo disco
ne è un’altra dimostrazione, con un Bernie in stato di grazia anche la musica è
ritornata a livelli impensati.
I classici degli anni 70
probabilmente sono un’altra cosa, ma Captain And The Kid è un grande album e un vero disco di Elton John, che
sicuramente verrà apprezzato da chi, come me, conosce Elton da tanti anni, e
magari dispiacerà un po’ ai fans più giovani che hanno conosciuto un altro
musicista.
Un album insperato,
impensabile fino a pochi anni fa, probabilmente non venderà, ma chi se frega,
godiamocelo prima che Elton ricominci con un duetto con l’ultima boy band in
circolazione e con una scaletta live indirizzata a un pubblico che si scioglie
alle prime note di Nikita o di Blue Eyes.
Eccellente o 4 stelle (perché
5 le do a Madman e a Tumbleweed!)
|
di Elton Jr
Verità in Vendita
Siamo all’epilogo, o forse a un piccolo riassunto
per chi si è aggiunto nel corso degli anni senza sapere bene di preciso
cosa che è successo quando si è imbattuto in questi 2 il Capitano ( di
ventura o di sventura qual si voglia) e il Kid che poi adesso tanto kid
non è più nemmeno lui.
Ci sono piccole perle di saggezza da tenere
in tasca con questo album, perle che assomigliano spesso a sfere di
indovini che più che altro ti fanno vedere il passato e mostrano come
tutta la magia dei “venditori di verità” ebbe inizio…in sequenza
perfetta, come una narrazione…
Ai tempi del Capitano Fantastico, in
America c’era un certo Richard Nixon che quelli come me è già tanto se
lo hanno letto sui libri di storia. Beh deve aver fatto un bel casino
ai suoi tempi, perché a distanza di anni sono sempre tutti a parlare di
lui anche se fanno l’amore con la Lewinsky o la guerra con Saddam. Lo
scenario quindi che si apre è quello che si sarebbe immaginato
qualsiasi ventenne e non solo, che mette piede sul suolo americano, un
presidente che sta nuotando negli scandali, e i due ragazzini spaesati
si vedono catapultati in un mondo quasi da favola, dove tra divi e
macchine lussuose, l’unico che dall’alto di una statua benedice i
passanti, non è un Papa o un Dittatore, ma l’uomo, Walt Disney la cui
vita preannuncia quella dei 2 inglesini dagli occhi sgranati. Vita
fatta di sogni realizzati e di emozioni regalate al mondo con le
proprie creazioni…Dio per l’appunto che crea come un cantautore..
Partendo
in quarta con una bellissima porche rossa rubata a Steeve Mc Queen
mentre fa il figo con le ragazze, è tempo di mettersi in fila per
entrare nel mondo del music business con i ritmi frenetici, gli
spintoni e le false promesse che uno che entra nel mondo che ha sempre
sognato deve subire e già da qui si scorge un richiamo al primo Captain
dove si legge di prendere la nave o la ruota della fortuna l’importante
è poter atterrare dall’altra parte.
Qui la nave ha un suono biblico
come la torre di babele del 75, ma tutto rimane come sospeso nell’aria
e all’improvviso sembra cambiare anche il tempo che da splendente
all’arrivo sulla strada dei mattoni gialli, si fa cupo come coperto
dallo smog di una grande metropoli. Metropoli amata quasi morbosamente,
accarezzata come un porta fortuna, ma allo stesso tempo che porta i
segni di quelle che sono state le delusioni, una NYC che si lecca le
ferite, da magnifica capitale del mondo, multietnica e ricca di
opportunità a città malata, che nasconde sotto un’apparente perfezione
un velo di malinconia e di tristezza. E tra neve, buio e smog, i figli
di banchieri e di avvocati, a distanza di anni, non sanno ancora se
fuori è giorno o notte perché tutto è abbandonato a se stesso, tra
mafiosi italiani e locali gay. Ma c’è ancora amore per questo luogo a
cui sembra mancare qualcosa.. E’ una sensazione impercettibile che è
sempre rimasta, a distanza di 30 anni, negli occhi del Cowboy e nella
voce del Capitano, magia, fatta di critica e riconoscenza.
E al
cambiamento del tempo, coincide la percezione dell’elevata velocità
della poche che ormai non è più quella di Mc Queen visto che arrivando
fama e gloria arrivano anche i dollari. Velocità portata all’eccesso
come per arrivare a una vetta. Ma più ci si avvicina alla vetta più è
facile scendere dall’altra parte, quindi un niente può far scivolare il
tutto, ed è come, in mezzo alle scintille del successo, far si che
tutto esploda come è già successo ad altr,i che sembra, con la loro
voglia di onnipotenza e conoscenza, da Ulisse a Robert Johnson, non
abbiano fatto piacere a chi in alto ci sta da sempre…
Ed ecco allora
che tutto precipita in un dirupo, con scenari che solo Tim Burton
potrebbe descrivere tra ragnatele e volti cupi, resi irriconoscibili da
quella sottile polvere bianca che da un certo punto in poi sembra come
venire assorbita dal cuore di colui ormai divenuto uomo che ha osato
sfidare il cielo scalando l’Olimpo con successi e talento a non
finire.. Il tempo non esiste più e tutto è come caduto in un limbo,
nell’ attesa di capire cos’altro aspetta quest’ anima dilaniata che nel
frattempo si è allontanata dal suo spirito gemello, che nel cuore ha
sempre il West. E’ arrivato il momento del bivio, o cercare di risalire
dal nulla (cosa che è riuscita ora come non mai), cercare un appiglio
nella stessa melma che richiama anche The Westland, con ulteriori
immagini che giusto uno come T. S. Eliot aveva già scritto, oppure
entrare subito nella gloria degli Dei come Elvis come Morrison, o come
lo stesso occhialuto Buddy Holly..
Persone ,si legge nelle strofe
successive, che hanno perso la battaglia con il Blues, il destino. Una
battaglia come una partita a dadi , come anche una partita a scacchi
contro la morte già descritta anch’essa nel Settimo Sigillo…Ed ecco il
momento della rivelazione, della risalita, della consapevolezza di
essere non tra coloro che se ne sono andati talmente giovani da
rimanere immortali come recita Lestat DIE YOUNG LIVE FOREVER, ma tra
coloro che hanno vinto la battaglia con il Fato e e adesso ricordano
chi, anche se per poco, ha svolto un ruolo importante nella sua vita, e
se n’è andato trasmettendo messaggi.
Forse è per questo che il
Capitano è cosi fortunato, forse il Capitano insieme al suo Cowboy
doveva rimanere per raccontare gesta di uomini per far sognare ancora,
forse doveva solo continuare, farsi forza e attraversare il ponte,
metafora di transizione tra ieri e domani, un momento in cui si tirano
davvero le somme di una vita che ha dato perdite e gloria, fallimenti e
successo, ammirazione, invidia, odio, amore…Doveva rischiare perché
aveva ancora altro da fare , da raccontare, doveva ancora dire a chi
non c’ era come tutto è cominciato e come tutto è arrivato fino a qui,
cos’è accaduto in 30 anni che potrebbe cambiare il pensiero e le
riflessioni di chi ancora, è un ventenne costruttore di sogni…
Sicuramente
raccontare e far capire che il successo non è tutto, soprattutto in
questi anni che magari nei gesti non lo dimostra e allora torna
indietro cantando d’amore e prendendo spunto da un’artista da lui
amato, che in questi giorni combatte per il primo posto in classifica,
come lui. E anche se non parla di guerra, adesso in o on the wind non
sono più né le candele, né le risposte, ma le domande poste da persone
che possono insegnare qualcosa anche se sono semplici amanti. La cosa
fondamentale è imparare ad ascoltare e ad essere di nuovo in 2.
In 2
come ai vecchi tempi, il ritrovo, non più in un Pub Londinese, ma
magari in una bella villetta a Nizza a richiamare i tempi andati
davanti a un buon bicchiere di vino e a una birra analcolica ( lezione
imparata..) Ridere della gloria e anche di quello che non è andato bene
perché alla fine, adesso come allora “è un po’ strano questo sentimento
che ho dentro” Guardarsi negli occhi e vedere oltre a qualche ruga in
più, sogni realizzati e prepararsi a scrivere per raccontare tutto
questo, per raccontare cosa fa il successo, ma anche cosa è capace di
fare un uomo quando sa rialzarsi, quando decide di continuare a
lottare, contro tutto, contro tutti, i Gorge Michael e le Madonne e
come il suo Cowboy è ancora a ridere con lui. Allora pronti a dire
adesso dove siamo..
Cosa abbiamo fatto? Tra città cambiate come
quella del ragazzo della via Gluck e uomini migliori, è stato costruito
il futuro di due anime gemelle, delle due persone più opposte di questo
mondo che si sono unite creando qualcosa di unico (allora dico aveva
ragione Platone..basta cercare e avere fortuna). Tra l’amore per il
West e per le feste lussuose , sono stati scritti pezzi per far piacere
a chi vuole a ogni concerto sentire le solite ballate alla Reginaldo
sdolcinato, e nel bene e nel male, tra una Candle in The wind
rivisitata su richiesta di Sarah Spencer e un ennesima versione di Your
song per il male delle mie orecchie per l’intromissione dell’italiano,
ma il bene dei miei occhi, grazie a un altro Capitano, ma quello della
nazionale inglese, 2 uomini, uno amante dei cavalli della California e
l’altro di quelli di una Ferrari, si sono ritrovati, consapevoli che
poteva finire peggio, se il “diavolo” avesse preso il posto di uno di
loro. Ma quello che conta è che allora come adesso e si spera anche
domani, l’intento è quello di andare avanti e leggere che non è vero
che i sogni non si realizzano e non sono tutte bugie quelle che si
trovano scritte su una canzone, ma sono favole, che fanno riflettere,
imparare e SOGNARE. L’importante è non fermarsi perché quello che uno
che fa questo mestiere vuole vendere sono solo VERITA’, anche se
romanzate.
Allora Grazie per le Verità che mi Vendete…
|
di Beppe Donadio
Il Tropico Del Capitano
Adoro l'autoradio. Soprattutto quando l'attinenza tra il viaggio ed un concept album è così evidente.
A volte in auto ci resto un pò di più, fino a che la
canzone finisce, perchè mi sembra un peccato parcheggiare e
spegnere.
C'è
chi la musica la ascolta mentre cucina, chi nel bagno di prima mattina,
chi isolato da cuffie in plastica che partono da aggeggi bianchi
dall'estetica dannatamente accattivante. Quelli che Forres Gump direbbe
provengano dal suo "Negozio di Mele".
Ho consegnato il disco ai meccanismi silenziosi di un'autoradio dal display blu, che in pochi istanti segna "traccia 1".
L'ho
fatto con questo pensiero: "The Captain & The Kid" è la fine di un
viaggio? Oppure ci sarà un "Elton John" numero due? Un "Tumbleweed
Connection" reloaded?
L'importante è non aspettarsi che il seguito sia migliore del primo, perchè non succede mai.
In
"Captain & The Kid" non ci sono singoli che fanno la storia del
rock. Di singoli così non ce ne sono da molti anni, nella discografia
di Elton John.
Ma ci interessa davvero avere "singoli di successo"? Sono indispensabili, oggi?
Non
ci sono hits, in "The Captain & The Kid", perchè questo non è un
disco pop, con le regole stantie e retrograde del pop, non è un disco
con l'adesivo "contiene il grande successo...". "The Captain & The
Kid" è un musical, uno spettacolo itinerante. Dieci belle canzoni.
E alla fine un pugno nello stomaco da mettere in discussione quel luogo comune che gli uomini non devono piangere.
In
"Postcards From Richard Nixon" c'è la ritmica di "Captain Fantastic
& The Brown Dirt Cowboy", traccia numero uno di trent'anni fa, una
delle cose più belle mai scritte in epoca di album mangiaclassifiche.
"Just Like Noah's Ark" è una "Tulsa Time" riveduta e corretta, con le
armonie di "Restless" e le soluzioni di "They Call Her The Cat", la
solita canzone-diretto delle dieci e quindici, con la locomotiva tirata
da Nigel Olsson (i soliti pochi colpi, essenziali e decisivi).
"Tinderbox", più inglese di così si muore, apre a "The House Fell
Down", New Orleans nei suoni e tanto pianoforte da mettere sottovuoto e
conservare con cura.
Durante il viaggio la notte mi riporta "The
Bridge" come non l'avevo vista. E cioè all'interno del lungo piano
sequenza di "The Captain & The Kid".
Da sola è come l'unico sopravvissuto ad un disastro aereo. Dispersa.
Dentro
al corso della storia di quest'album, invece, "The Bridge" è un salto
nel vuoto, così vicina alla solitudine di "Breaking Hearts", gioiello
del disco omonimo, in quell'epoca in cui zio Elton scriveva storie di
tre minuti, e dentro c'erano emozioni lunghe un'ora.
Da "The Bridge"
in poi il film "Captain & The Kid" dà il meglio di sè, fino alla
canzone che ti aspetti da vent'anni, quella col rif che resta in testa
due giorni, a chiudere un viaggio di 200 chilometri, il mio di questa
notte, e quello di Captain Fantastic, iniziato 31 anni fa. Un viaggio
che finisce alla tracca dieci, "The Captain & The Kid", con tutti i
mandolini migliori di Johnstone che dà il giusto seguito artistico alla
prima opera. Un seguito che, quanto a qualità sonora, suona
dannatamente bene.
E' su "Captain & The Kid" traccia dieci
che il conducente al chilometro 100 lascia andare una lacrima, per
questo ciclo che in qualche modo si è chiuso, quello del Capitano e del
Cowboy, per questa voglia di hip hop da far cadere le braccia, per
questa storia infinita che al di là di ogni sviluppo ci ha reso e ci
rende ancora tutti uguali, tutti Capitani o Cowboys, tutti insieme, chi
con le cuffie, chi dentro l'auto, chi sprofondato in poltrona, chi nel
mezzo di una corsa a piedi, tutti quanti uniti da 10 nuove storie, che,
è vero, non sono supernove, ma insieme fanno una dignitosa
costellazione, il Tropico del Capitano Fantastico, che adesso è
costellazione di doppia bellezza.
E' vero. You can't go back. Non si può tornare indietro.
Ma thanks God the music's still alive.
|
di Levon
" Nessuna bugia, solo un’altra favola sul capitano e il ragazzo"
Dopo
una giornata comune a tutte le altre passate a studiare in casa perchè
il liceo si sa è così, occupa tutto il tempo; mi ritrovo davanti al pc
con sottofondo le note del nuovo album del maestro Elton John con
l'intensione di fare una recensione,la prima in questo forum...
Innanzitutto
vorrei dire che non mi aspettavo quest'opera da Elton che dopo il flop
di vendite (e anche di melodie!) di Peachtree Road credevo non potesse
più fare.
Detto questo,il nuovo album che racchiude la storia del
Capitano Elton e del Cowboy Bernie cominciata con l'uscita nel 1975 di
Captain Fantastic And The Brown Dirt Cowboy è secondo me fantastcio e
non sfigura dicerto davanti ai suoi classici predecessori degli anni
'70. Il nuovo cd è un misto tra rock e ballate che però non stanca ed è
lontano da molodie banali e mielose come sono quelle ante-Songs From
The West Coast e per metà di Peachtree Road!
La prima canzone è
Postcards From Richard Nixon e subito si capisce che Elton fa sul serio
con un intro splendido (alla Emperor's New Clothes ) e un ritmo andante
e una melodia veramente perfetta... ovviamente il testo è del cowboy
Bernie che come sempre sa emozionare come pochi fanno nel mondo della
musica trattando in questa prima canzone il tema dell'arrivo negli
States suo con il compagno di vita Elton.
Il secondo pezzo è Just
Like Noah's Ark dove Elton & Band fanno un rock fantastcio stile
Restless (soprattutto all'inizio),ritmo accattivante,una canzone cosi
non dovrebbe mai mancare in un album che si rispetti!
Segue Wouldn't
Have You Any Other Way (NYC) un brano che ovviamente fa capire dal
titolo è dedicato a New York quasi per finire il ciclo newyorkese
iniziato nel 1972 con Mona Lisas And Mad Hatters da Honky
Chateau. Questa canzone è veramente bellissima anche se non la reputo
tra le migliori comunque il sound è ottimo che comunque non rimane in
secondo piano con il livello di tutto l'album.
La successiva
Tinderbox fa emozionare molto con la voce del Sir Elton bellissima e
una melodia tutt'altro che banale mista con qualche rimando al rock
soprattutto nel finale...all'inizio non la reputavo così bella,l'avevo
un pò sottovalutata ma ora mi accorgo che è una grandissima canzone.
...And
The House Fell Down,la canzone seguente, è una di quelle che preferisco
con ritmo coinvolgente e con un ritornello che ricorda la frizzante I'm
Still Standing del lontano Too Low For Zero (1983). Qui è rilevante il
ruolo del piano, Elton dà spettacolo sopra una melodia appartenente al
mondo del jazz. Il testo è,come si può capire dal titolo sul periodo
buio della droga vissuto da Elton & Co.. Insomma una canzone
veramente eccezionale, da un pezzo che Elton non ci deliziava con queste
cose!
Blues Never Fade Away è il titolo della "song" successiva e
secondo me è una di quelle canzoni che fa venire i brividi
dall'emozione e solo Elton può fare pezzi così. Malinconica ed
energica,con un finale crescendo,allo stesso tempo con un testo
eccezionale sulle scomparse premature di amici durante la carriera
musicale del Sir.
Segue il primo singolo The Bridge forse la canzone
più debole dell'opera che comunque eseguita live non sembra
sfigurare. Ci manteniamo però sempre in un livello alto con l'accoppiata
voce-piano di questa canzone.
La canzone successiva è I Must Have
Lost It On The Wind, fantastica con il ritornello che rimane in testa e
un ritmo country quasi da Tumbleweed!
La seguente Old '67 è una
canzone eccezionale la seconda per mio indice di
gradimento..ascoltatela è impossibile rimanerne non colpiti
(positivamente ovviamente!).
Siamo alla fine del capolavoro...ed
ecco la perla The Captain And The Kid la title track che chiude il
ciclo di trent'anni di eccessi e disperazioni,di successi e flop... il
ritmo e la melodia si rifanno all'altra title track Captain Fantastic
And The Brown Dirt Cowboy unita grande testo che racconta la storia di
Elton & Bernie che da semplici persone sono diventate il cowoby e
il rocket man proprio come dice la canzone stessa....
Questo è
il nuovo capitolo del libro-storia del baronetto inglese della musica
insieme al compagno cowboy che i fans e non solo devono ascoltare
perchè questa non è una bugia, solo un’altra favola sul capitano e il
ragazzo.
|
di Alexo
One more tale...
Il Capitano ha vagato per gli spazi siderali,
il Cowboy ha cavalcato per le lande desolate…ma sono ancora qui. Il
loro volto è segnato dal tempo, la vita li ha messi KO troppe volte e
anche il diavolo si è unito alle loro feste e tuttavia sono ancora
insieme. Ancora dieci canzoni, ancora dieci storie per il Capitano e il
Ragazzo. Non sono folli e sconsiderati come un tempo, non vogliono più
scalare la cima del mondo ma, seduti su una terrazza, ridono insieme in
una notte d’estate pensando ai bei tempi.
Le zeppe sono in soffitta
e il Crazy Kid ha messo la testa a posto ma la forza e l’intensità
rimangono, anzi sembra che la vita ne abbia affinato la sensibilità
tanto che ora arrivano a chiedersi: “Attraversiamo il ponte o ci
lasciamo morire?”. Finalmente hanno preso coscienza del tempo che
passa, l’orologio non è più chiuso in un cassetto, e sanno che non ha
più senso cercare di tornare indietro.
Ma non c’è solo malinconia in
queste dieci piccole gemme, c’è un senso agrodolce di accettazione che
pervade tutto il lavoro e che fa da leit-motiv ad ogni canzone, come
l’ultimo ballo di una serata danzante in cui tutti sono felici per la
bella festa ma una lacrima già rovina il trucco di qualche damigella.
Una sottile trama unisce ogni canzone alle altre fino a renderle
tasselli di un progetto più grande, un unicum musicale e narrativo in
cui ogni storia non è che una immagine di una racconto più vasto; come
un paesaggio che puoi apprezzare solo se sali in alto su una collina,
così questo racconto, che inizia da lontano, lo si può cogliere solo
ascoltandolo nell’ampio respiro della sua totalità.
Ironia e
sarcasmo, ammirazione e stupore si mescolano nella loro celebrazione
dell’arrivo in America; tra Steve MacQeen che sfreccia su una Porche e
l’idolatria del dio Disney, Nixon dirà loro di restare e sarà l’inizio
del mito. Ma nel loro rapporto di amore-odio con l’America non poteva
mancare un delicato intermezzo dedicato a New York in cui , come un
innamorato non vede i difetti dell’amata e le giura amore eterno, il
Capitano canta che nonostante tutto non la vorrebbe in nessun altro
modo.
Piange anche il Capitano mentre vede una foto in una piccola
cornice o quando ascolta la risata di un suo vecchio amico confondersi
con il vento, e quando chiede al ragazzo:”Come abbiamo fatto ad essere
così fortunati?” si ricorda di tutti i demoni che lo hanno vinto e
incatenato nel passato, quando rimaneva per tre giorni solo con coca e
vino o quando si svegliava nel letto di un amante senza nome.
Sinceri
come non mai, al Capitano ed al Ragazzo bastano un piano e qualche
chitarra per condurci verso la fine del viaggio, si fermano un momento
per ricordare i loro amori seguendo l’eco di un’armonica e ridono
pensando a quel vecchio ’67 che ha fatto da spettatore silenzioso
all’inizio della loro amicizia…
Quando giunge la fine la voglia di
guardare indietro è tanta, in fondo che cosa hanno raccontato se non la
vita, l’amore e la morte, l’ambizione e la disfatta….ma adesso sanno
che non è giusto, sanno che hanno altre strade da percorrere e che la
fine di un viaggio non è che l’inizio di un altro…e li vedi scomparire
nel rosso del tramonto mentre gli occhi si riempiono di lacrime…
From the end of the world to your town
Molti
lo hanno aspettato…da quando il Capitano ci fece visita dalla fine del
mondo, sono passati molti anni, troppi forse…i ragazzi di allora sono
uomini oramai e qualcuno se n’è andato con la speranza di rivederlo…i
bambini alla finestra che sperano di vedere quel piano volare non ci
sono più…forse si è perso nello spazio, forse è morto o forse si è
semplicemente dimenticato di noi…qualcuno in verità ad ogni stella
cadente spera di cogliere il luccichio di quel piano confondersi nel
cielo…invano.
Quella sera non c’era nessuno, una luce blu
lampeggiante in lontananza rischiarava il ciglio della strada…si
guardava i piedi mentre camminava seguendo i mattoni del marciapiede,
nessuna meta, nessuna casa, nessun ragazzo ad aspettarlo. La luce di un
lampione, si ferma; alza la testa e si guarda in una vetrina, le
lacrime solcano il viso rugoso, “E il mio cappello? I miei occhiali?”
sussurra, “Dove sono…chi sono?”. Scoppia a piangere, la vetrina
riflette un vecchio elegante con un abito di seta e delle scarpe nuove
luccicanti correre sotto i lampioni nell’oscurità. Corse senza sapere
dove, tutto era cambiato, corse e basta…arrivato in quella strada sentì
di doversi fermare, non sapeva perché ma rimase immobile, poi quei
passi…in lontananza un ombra, prima un punto nero che poi prese le
sembianze di una figura umana; gli stivali colpivano l’asfalto e l’eco
risuonava nelle vie, il cappello basso sulla fronte e un’andatura calma
e decisa. Si fermò davanti a lui senza dire niente, rimase così per
alcuni interminabili istanti, muto, poi alzò la testa e si levò il
cappello…la luce del lampione illuminò due occhi lucidi, un volto
segnato dal sole e dal tempo e un uomo che tratteneva a stento
l’emozione…”Chi sei?” disse il vecchio, “…dimmelo, per favore…”. Il
cowboy non disse niente ma con uno scatto lo abbracciò, “Ti ho
aspettato…non sai quanto…ti ho aspettato” singhiozzò il cowboy con gli
occhi pieni di lacrime; il sangue si gelò nelle vene “Ragazzo…sei tu?
Sei proprio tu?” disse il vecchio e il cowboy fissandolo negli occhi:
“Si, sono io…”. “Che cosa mi è successo, non mi riconosco più…non ti
riconosco più”, “Il tempo…” disse il cowboy, “vale anche per noi…”. “Ma
adesso non conta, adesso siamo insieme…di nuovo” disse il cowboy e
prendendolo dal cappello tirò al vecchio un mazzo di vecchi fogli tutti
consumati e sgualciti, “Capitano, sono per te…”. Il Capitano guardò i
testi scritti su quei pezzi di carta e disse “non so se ne sono più
capace…non siamo più gli stessi”, “lo so, siamo cambiati ma siamo
sempre noi, questo è il segreto…girati e guarda la”, non chiedetemi
come ma un grande piano nero era alle sue spalle, il Capitano si
sedette, suonò alcune note e poi incominciò a cantare…
Cantò dei bei
tempi, di giorni magici e mitici, cantò dell’America e del sogno
americano che andava sgretolandosi, del vortice degli eventi che li
travolse, di quando il mondo era ai loro piedi, di quando tutti
conoscevano il Capitano Fantastico e il Cowboy Sporco di Terra…cantava
la frenesia, gli eccessi, il turbinio della vita, il sesso…ogni parola
sembrava legata con un filo invisibile alle altre, tutto scorreva
fluido come se il gli anni non fossero passati, come se il tempo non
esistesse…ma cantò anche le ombre, i demoni che come un ghigno nel
vento attraversarono le loro vite, i sogni infranti, le persone
andate…si ricordò di quel bambino e di quella ragazza, il Re Sole e la
risata di John…cantarli era come spargere le loro ceneri al vento, era
il suo modo per dire loro addio…cantò i loro amori, le persone giuste e
sbagliate che incrociarono le vite alle loro…cantò del baratro in cui
erano sprofondati e della loro risalita, cantò di tutte le parole perse
nel vento…
La voce era
calda, il suono limpido e cristallino come uno specchio d’acqua
all’alba, il Capitano non stava cantando…era Musica.
Suonò
le ultime note, “dobbiamo andare” disse il Cowboy, “lo so…” ; con un
fischio chiamò il suo cavallo e salirono in groppa, mentre si
allontanavano ad un tratto il Capitano si girò verso di me, che per
tutto il tempo me ne ero stato accucciato in quella stradina buia
pensando di non essere visto, e mi disse: “nessuna menzogna, è solo
un’altra favola…”; non dissi niente per l’emozione, e loro sempre più
lontani li sentivi ridere mentre ricordavano la loro giovinezza, quel
vecchio ’67 che li ha fatti incontrare…poi le loro parole si confusero
con il suono del vento e mi resi conto che quella notte amore e morte,
sogni e speranze, amicizia e malinconia avevano danzato per me sulle
note di quel pianoforte…
Non ho prove di quello che vi ho
raccontato, potete anche non credermi, forse è stato solo un sogno ma
di una cosa sono sicuro…li ho visti cavalcare verso il tramonto , The
Captain & The Kid
.
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di Dixie Frankie
A Captain without Army (A Cowboy without Guns)
Il Destino di un Supereroe
"...dove eravamo rimasti?..."
Si
dice che quando la gente si crea dei supereroi, persone comuni ma in
grado, nascoste nell'anonimato di una maschera fantastica, di imprese
impossibili, fossero esse il salvare il mondo da un'incombente minaccia
galattica, o soltanto salvare un gattino da sopra un albero, lo faccia
perchè semplicemente ha bisogno di sognare, di immaginare, di lasciarsi
avvolgere da spazi aperti e dai confini variabili da persona a persona,
larghi indifferentemente dalla fine del mondo alla tua città...
E
quanto più dietro queste maschere si nascondono persone semplici,
umili, e armate nella vita comune solo delle proprie fragilità e della
carica di umanità che si portano dentro, tanto più sono amate, adorate,
a volte considerate un simbolo o prese a riferimento per i mille
milioni di passi che ognuno di noi deve compiere per il proprio
cammino, che esso sia fatto su zeppe da venti centimetri, o in
stivaloni impolverati da ranchero stanco...
E non è un caso, se
i supereroi più amati della storia siano stati nascosti dietro la
timidezza di Clark Kent, dietro l'insicurezza di Peter Parker, e dietro
la timidezza e l'insicurezza di Reginald Kennet Dwight da Pinner...
E
dire che tutto poteva pensare il piccolo Reg, fuorchè di avere dei
superpoteri, quelli stessi che leggeva sugli albi di fumetti nella sua
casetta a due piani nella periferia londinese, e su quelli nuovi, più
colorati e scintillanti che si trovò a leggere all'improvviso in una
stanza all'Holiday Inn, quando Richard Nixon, in gran debito con i suoi
per "averne mandati tanti oltreoceano", staccò due biglietti in più per
quella grande Disneyland a cielo aperto che era il suo Paese, e che non
chiedeva altro che materia prima da tritare negli ingranaggi dello
star-system, pensando così di farsi perdonare qualcuno dei suoi tanti
peccati mortali...
Non aveva molto, il piccolo Reg, all'infuori
di improbabili occhialoni e di una misera valigia di cartone con dentro
un lungo pianoforte a coda e tanta, tanta speranza... ma tanto gli
bastava... sì, tanto gli bastava, perchè in quell'arca di Noè dalla
variopinta umanità in cui era capitato, il bello era che anche uno come
lui, poteva diventare una superstar... gli bastava semplicemente
piantare i piedi del suo pianoforte in quella terra fertile di suoni e
colori, e lasciar germogliare il seme della sua creatività...
Sì,
perchè dove gli altri vedevano solo muri grigi, ciminiere e gente che
camminava per strada sotto il peso del tempo, lui vedeva tutt'altro...
e gli bastava bussare su quel suo pianoforte a coda, per svegliare
astronauti e ballerine, gufi e pistoleri, gangster e prostitute che
dormivano lì dentro da sempre, e donarli al mondo... e colorarlo, quel
mondo, volando su è giù, da est ad ovest, regalando, come ogni bravo
supereroe, un'emozione, un sogno in più, o un briciolo di nuova
speranza a tutte quelle persone acclamanti che incontrava lungo la sua
strada di mattoni gialli... Fino a diventarne l'osannato Capitano... un
Capitano senza esercito, se non quello dei cuori di milioni di
persone...
Ma a volte il successo è un fragile castello di
carte, è una pericolosa santabarbara, è un'effimera casa di paglia...
che, se quando sali lungo il tuo ponte ti fa sentire più vivo, più
leggero, e sempre più in grado di fare qualsiasi cosa, spesso non ti
protegge dagli effetti della caduta... e basta che il lupo dei tuoi
demoni interiori inizi a soffiare e sbuffare, perchè tutto ti crolli
addosso rovinosamente...
E quel giorno, qualcuno gridò: "Il
Capitano è morto!"... non si accorse che semplicemente il Capitano,
ormai degradato a sergente, era soltanto scomparso all'orizzonte,
iniziando la discesa dell'altra metà del ponte...
Perchè, quando
arrivi in cima al ponte, anche se sei un supereroe, non puoi non
sentire le vibrazioni sempre più forti delle raffiche di vento, non
puoi non vedere molti dei tuoi amici che non ce l'hanno fatta, o che
sono caduti ed annaspano invocando aiuto, e tu che non puoi neanche
aiutare te stesso, non puoi non sentire il brivido della pioggia che
cade, e che cancella via tutti quei colori che avevi donato al mondo,
eccetto quello della tristezza...
"...com'era bello, un tempo, e
che sensazione un pò buffa, che avevamo dentro... quando semplicemente
si era dei ragazzini che scommettevano su sè stessi, con tante
speranze, e con i buchi nelle scarpe... ma liberi di essere
semplicemente noi, lontano da qui, lontano da ora, dove ululano questi
cani della società... oggi più di allora, che anche la città che più ho
amato nella mia vita, sembra irriconoscibile..."
E' alla fine
del suo ponte, il Capitano, finalmente ritornato Capitano... perchè il
suo superpotere più grande, quello che nessuno potrà mai togliergli o
negargli, è quello di risorgere, sempre, dalle sue ceneri... e
indossare ancora una volta la maschera ed il mantello, e raccontare
ancora di Levon e Alvin Tostig, di Susy e di Van Bushell, di Dan Dare e
di Mona Lisa, di Harmony e dei mille altri personaggi che vivono dentro
il suo lungo pianoforte nero, sempre e per sempre giovani, come se
quegli oltre trent'anni non fossero mai passati...
...e il Cowboy, direte voi?
Il
Cowboy è l'autore di questa storia, che avete appena letto... perchè il
Capitano è semplicemente una maschera, un'invenzione letteraria che non
sarebbe mai esistita, se non ci fosse stato quel ragazzino che, isolato
dal mondo all'interno della sua sfera galleggiante, non avesse creato
questo Fantastico miracolo... lo si può immaginare, questo Cowboy senza
pistole, seduto in un saloon assieme a Joe Shuster e Stan Lee, a
sorseggiare whisky ed a compiacersi delle imprese dei loro rispettivi
supereroi...
..perchè,
come egli stesso scrive nell'unico angolino di canzone che forse ha
dedicato a sè stesso, da alcuni impari qualcosa, da altri niente, e
semmai ci sarà qualcuno che può insegnarti tutto, fai finta di perderlo
nel vento..
Alla prossima Cowboy, e grazie... dal ragazzo della 22^ fila... e lunga vita al Capitano...
To Be Continued... (!)
|
di Old67
“The Captain & The Kid” mi pone di fronte a una domanda. Chi è oggi
Elton John? Perché se andiamo a dare un’occhiata ad appena qualche mese
fa troviamo ad attenderci minacciosi i demos di Vampire Lestat, forse
il capitolo più triste dell’intera carriera di sir Reginald Dwight.
Dr.
Elton e Mr. John? Non ci credo. Non credo a una doppia personalità
artistica, credo più alla possibilità che la fretta di concepire una
musica che non senti tua, che non ti appartiene, finisca
inevitabilmente col farti partorire un figlio anch’esso non tuo. Perché
i demos a me hanno dato l’impressione di fondo che Elton li abbia
scritti di malavoglia, solo per rispondere al bisogno fisiologico di
oscurare un po’ col vetrino al cobalto la luce troppo brillante che lo
stava accecando mentre componeva “Postcards from Richard Nixon” e “And
the house fell down”.
Tant’è. tC&tK è la grande emozione che mi
mancava almeno da 5 anni. La mattina in cui l’ho acquistato ricordo che
è successa una cosa che lascio ad altri il compito di interpretare. Ero
in macchina ed il cielo era di quel plumbeo deprimente che ti fa
perdere il senso di tutto. Inserisco il CD nel lettore (non senza aver
prima imprecato numerose volte perché non riuscivo ad aprire la
custodia… ma a chi è venuto in mente di mettere quella specie di
pulsantino malefico?!) e partono le note di Postcards. Il mio livello
di attenzione verso il mondo extraeltoniano si abbassa drasticamente e
per me non esiste nient’altro di importante, siamo io e lui che ce la
raccontiamo come due vecchi amici in un ranch americano con l’erba
dalle sfumature ocra, con la sola compagnia di un cowboy silenzioso
sullo sfondo. Ma ecco che… We heard Richard Nixon say… WELCOME TO THE
USAAAAAA!!! Proprio in quel momento, con la perfezione che solo il caso
può dare (e qui cito Faletti) le nubi sopra di me si squarciano nel
punto esatto in cui l’unico raggio di sole del fine settimana le taglia
con chirurgica precisione e si fonde là in alto con l’urlo liberatorio,
quasi orgasmico, che sale dalle corde vocali dell’Elton che da troppo
tempo ormai speravo di poter riascoltare.
Perché quest’album è così.
Liberatorio. Ti metti lì e lui ti porta dove la tua mente desidera
andare, e non sei tu a dover guidare e a dover decidere che strada
fare. Nossignore, il Capitano la sa molto più lunga di te, ti ha già
portato in tanti altri posti altrettanto belli e tu l’hai ringraziato
per questo. E quando il giro è finito e tu ti chiedi perché non ti
porta anche ad attraversare il fiume Tamigi dopo avertelo promesso,
ecco che ti accorgi di poter continuare da solo, in volo, perché il
ricordo della fresca emozione che lui ti ha appena dato è di per sé una
benzina sufficiente a tenerti sospeso per aria un bel po’ di tempo. E a
chi non ti capisce, peggio per lui.
Non mi ci è voluto molto per
capire che questo disco è il migliore da “A single man”. Il perché è
semplice. Lo sento più organico, meglio ragionato e meglio prodotto di
Songs from the West Coast, che pure resta sul podio. Sento che lo
stesso Elton aveva bisogno di comporlo e di produrselo, non ci sento
dento quella smania di fartelo piacere a tutti i costi ma piuttosto il
l’appagamento personale di essere riuscito finalmente a rispolverare la
lampada del genio. E la sicurezza di riuscire a fartelo arrivare al
centro del cuore senza artifici o acrobazie, così, con semplicità.
Aspetto il prossimo capitolo della storia, mio Capitano…
|
di Lady Samantha
I hope you don't mind...
Premettendo che non sono abile come molti di voi a scrivere recensioni
perché non l’ho mai fatto prima, spero che non vi dispiaccia se al di
là di osservazioni tecniche abbia voluto esprimere anche io, come
alcuni il mio resoconto, o meglio le mie impressioni relative a Captain
& the Kid, che mi ha trasmesso notevole motivazione per provare a
buttare giù qualche riga su questa avvincente storia che continua ad
affascinarci, e che ebbe inizio molti anni prima che la maggior parte
di noi nascesse per riproporsi affinché qualcuno continui a tenerla
viva dentro di se.
E se non per il piacere di essere ascoltati,
non ritengo opportuno che quel che sento di voler esporre sia motivo di
approvazione, perché ognuno di noi vive queste suggestioni in modo
diverso, anche se il tema in questione fino ad ora non è stato mai
fonte di divario sulle nostre considerazioni.
Sono semplicemente
grata di questo nuovo album che si è fatto molto attendere. Introduco
brevemente che per me questo è stato un anno molto particolare e
intenso, in cui ho sperimentato per la prima volta le sensazioni più
brutte, di quelle che ti lasciano vulnerabile e spiazzato per mancanza
di stimoli e impulsi ma anche le più belle in assoluto, che mi hanno
riscattata da quei momenti che mi avevano tenuta sospesa nella totale
inerzia.
Elton da sei anni è una vitalità, una carica, le sue
canzoni mi fanno stare bene dentro, e in un mondo come questo in cui la
musica è venduta come il pane, ci affidiamo ad essa per saziare il
nostro bisogno di condividerne piacere e malinconia.
–Guess there are times when we all need to share a little pain…-
E
Captain & the Kid rappresenta per me un traguardo di fine anno,
sbocciato in un momento personale in cui avevo bisogno di qualcosa che
mi portasse un po’ di fortuna :-)
La sorpresa di queste canzoni,
a parte la loro varietà nel ritmo e nella melodia è che hanno una
storia meravigliosa da raccontare, quella di due fantastiche persone
legate da sempre seppure vivendo i loro ruoli parallelamente: chi
cavalcando una sella di cuoio, chi sedendo un cuscino di pelle su
banchetto di legno nero laccato dinanzi a un pianoforte, dal quale
continuano a diffondersi note accompagnate dal supporto di versi che
hanno a loro volta raccontato di altri personaggi che, dalla Lousiana
fino al Vicksburg hanno attraversato il Mississippi fino agli aridi
paesaggi dell’America del west, in un viaggio che ha proseguito
attraversando l’intero paese fino a raggiungere New York, dove qualcosa
li ha affascinati più del viaggio di un uomo che mentre spaziava in un
razzo tra le stelle del successo salutava Daniel, prima che tante altre
persone a lui vicine iniziassero a spegnersi…
Ma ora è tornato per
raccontare se stesso con il sostegno essenziale del suo amico,
ripercorrendo spazio e tempo del loro percorso.
And it amazes me.
|
di Giorgia Turnone
40 (+1) ANNI D’ispirazione -
2006: un allungo nella leggenda
Nel
2006, Elton John e il suo collaboratore storico, Bernie Taupin, hanno
fatto più di un album che da gioia a loro e a tutti i vecchi fans. No,
molto di più.
Nessuno se n’è accorto, ma i due hanno fermato il
tempo. Magari saranno stati agevolati dagli anni, ma sissignori hanno
fatto proprio questo: non era il 2006, ma un giorno qualsiasi della
musica quando era soave, limpida, pulita, “vera”, insomma. Era quel
tempo in cui se si dava un’occhiata alle classifiche americane (ma non
generalizziamo più di tanto), si notava un solo album. Per settimane.
“Captain Fantastic & The Brown Dirt Cowoby”. Solo lui. Era la
solitudine dei numeri uno. E nel 2006 è successo qualcosa di
meraviglioso, almeno per chi ama la musica e più specificatamente Elton
e Bernie.
Elton John e Bernie Taupin avevano già deciso il nome, e
questo era già epica. Ricordi d'immagini di un Capitano tutto occhiali
e pellicce che cavalcava un pianoforte, sbalordendo tutti e
infastidendo parecchi. Ricordi d’immagini di un Cowboy introverso con
una colomba sulle sue gambe, che altri non era che la personificazione
del suo amore, mentre intorno a lui si staglia un mondo… fantastico.
Fantastico come il Capitano, e la favola che stavano vivendo insieme.
Il mito vuole che in quel momento i due passarono da storia a leggenda.
Anni dopo, 2006, Elton e Bernie sono diventati qualcosa di grosso e la
gente che puntualmente segue le loro storie se n'è accorta. Già prima,
senza dopo, perchè il tempo era fermo.
Ecco perché questo album ha
poco da invidiare ai suoi predecessori. Mai come questa volta il
paragone con il primo Elton è vicino. Passi la qualità (sempre
altissima), ma le analogie sono tante. Un modo per ricucire quella fama
di personaggio da TV, da gossip, da omosessuale impenitente. Sartoria
dei sentimenti. Suonano allora a pennello le parole di Taupin.
Non
ci sono gli altri. In questo tappeto rosso di emozioni, l'oro, oro
puro: le canzoni così belle che le vendite sono state pessime. Sì, non
è una contraddizione. Proprio come a dire: "basta così". Per suggerire:
"al giorno d’oggi la musica vera non è riconosciuta".
Bè, che John e
Taupin siano bionici è comprovato: nonostante i 40 anni di carriera,
mantengono al seguito fans da fare invidia a tutti gli pseudo-artisti
degli ultimi decenni. A proposito. Quando il tempo si ferma è un
déja-vù ed è stato proprio così: "Avevamo pensato ad un sequel di
CFABDC", hanno detto gli uomini che non hanno avuto paura delle mode.
In rima, per la musica.
La copertina. Diversissima da quella del
“genitore”. Sobria, non eccessiva. Niente piume, sfarzi, show. Solo un
pianoforte nero da compagnia per John e un cavallo per Taupin. Sì,
proprio a dire “siamo già leggenda, non dobbiamo dimostrare più nulla:
questo è per i fans”.
Al giorno d’oggi, non si può capire un album
così. Non è ai livelli degli anni 70s (quelli sono irraggiungibili… per
chiunque), ma un vero e proprio capolavoro degli ultimi 20 anni. Si
preparano ponti con l'immortalità per questo disco che se non avesse
avuto un precedente così… “fantastic”, sarebbe stato privo di senso per
molti.
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di The Bridge 2012
Ecco uno dei pochi
album (recenti) di Elton che è riuscito a resistere a più ascolti: lo
ascolto ancora oggi con molto piacere. In quello che rimane a mio
parere il miglior lavoro eltoniano anni 70 esclusi (ed escluso l'ancor
superiore e posteriore The Union che interamente eltoniano non è) non
c'è nessun brano fuori posto. Tutto suona ben amalgamato, malinconico,
struggente. L'ispirazione c'è, l'interpretazione anche. L'album, o
meglio il concept-album, si apre con uno dei brani in assoluto migliori
dell'intero lavoro: Postcards from R.N., con una intro al piano che
supera quella della paragonabile Emperor's new clothes, brano di
apertura di Songs from the W.C. In generale questo brano batte quello
precedente sotto tutti i punti di vista, con quell'urlo "welcome to the
USA" che spazza via ogni grammo di quella noia che in Emperor's ogni
tanto affiora. Il secondo brano, la veloce "Noah's Ark", è un buon
pezzo ma suona al mio orecchio leggermente caotica e priva di quel
"quid" capace di portarla alle altezze della successiva, fantastica
"Hey Ahab". Segue il primo lento dell'album, altro ottimo brano cui una
seconda parte leggermente meno incisiva impedisce di ambire al primato
di "slow track" dell'LP. I due pezzi successivi sono però due autentici
capolavori: "Tinderbox", malinconica e allo stesso tempo piena di
verve, fa l'occhiolino a tutta la produzione eltoniana senza per questo
ne farla rimpiangere né impallidire al confronto: è semplicemente un
brano auto-celebrativo che ripercorre i bei tempi andati, un po' come
tutto l'album, e lo fa alla grande; insomma, si batte il tempo e si
canta, segno di grande leggerezza e immediatezza d'ispirazione. "And
the house..." è l'altro grande capolavoro dell'album, un pezzo dal
ritmo veloce e frizzante, e dal testo amaro: tutto funziona alla
perfezione nel brano forse meno immediato dell'LP, ma sicuramente tra i
più ispirati. Il lento successivo è a mio parere il punto più debole
dell'album, con troppi richiami alla precedente "American triangle" per
via di una certa tortuosità melodica (almeno al mio orecchio) e perfino
qualche accenno alla produzione eltoniana anni 90 che fortunatamente
appare solo qui. Segue "the bridge", il lento per eccellenza di questo
lavoro, a mio parere scelto giustamente come singolo da estrarre
dall'album. Come in Tinderbox, anche qui gli accenni alla produzione
passata (soprattutto a Your Song e Sorry Seems...) non stonano affatto,
ma contribuiscono a dar forza e dolcezza ad un brano che parla di
dolore e di ineluttabilità, interpretato alla grande ed estremamente
toccante grazie anche alla sua estrema semplicità sia melodica che
armonica, ed alla sua scarna essenzialità (quasi tutto piano e voce
eccettuata una piccola parte un po' troppo angelica, ma è un peccato
che le si può perdonare), a denotare ancora una volta il "tocco"
semplice ma intenso di quell'ispirazione che negli anni 90 sembrava
essersene andata per sempre. Il country successivo è un brano carino e
leggero, ma "Jimmie Rodger's dream" (da The Union) si dimostrerà
decisamente superiore. "Old 67" è una ballad ricca di nostalgia
assolutamente nella media (davvero ottima) di questo lavoro, ed apre il
campo alla conclusiva, riepilogativa title-track, con la sua intro
ripresa da "Captain Fantastic..." (il brano). E' un brano che sta sulla
scia di "Tinderbox", immediato e fresco, anche se non riesce ad
eguagliarne, almeno al mio palato, la forza insieme malinconica e
trascinante.
Voto: 7,5
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di Stefano Orsenigo 2012
The Captain and The Kid, ovvero la perla nascosta della discografia di
Elton John: pubblicizzato a malapena dalla casa discografica, rifiutato
dal pubblico (specie in USA, dove Captain Fantastic spopolò), non
particolarmente amato da quella critica che aveva osannato Peachtree
Road…adorato dal sottoscritto fin dal primo, folgorante ascolto. A
distanza di anni, mi è ancora difficile stabilire una preferenza tra
questo album e Songs From the West Coast, di certo si tratta due opere
non sovrapponibili, benché accomunate da una ritrovata ispirazione: il
suono crudo e diretto, magari anche grossolano, mai ammorbidito (archi
grandi assenti), oltre alla prevalenza (finalmente!) di brani
medio-veloci, ne fa uno dei suoi lavori più rock, con un pianoforte
strepitoso e chitarre sferzanti (Davey è sempre meglio nei lavori in
studio che dal vivo, ma qui fa davvero un figurone).
Un disco necessario: Captain Fantastic non poteva non avere un seguito,
ed ecco di nuovo l’epica del capitano e del cowboy, stavolta alle prese
con le gioie di una vorticosa scalata al successo globale e i dolori
delle sue conseguenze. L’euforia va a braccetto con la malinconia,
l’auto-celebrazione sfuma nel rimpianto per l’innocenza perduta: in
questo senso, brani agrodolci come Postcards from Richard Nixon,
Tinderbox e Old ‘67 sono perfetti nel racchiudere il senso
dell’operazione-nostalgia, ma l’Elton da fazzoletti colpisce ancora con
la straziante Blues never fade away, che sta agli anni zero come Candle
in the wind stava ai 70 ed Empty garden agli 80.
Dovendo trovare un difetto, a parte la scelta come singolo del brano
meno adatto, la semplice ed esangue The bridge, direi che le troppe
citazioni e auto-citazioni, peraltro mai pedanti, lo rendono
palesemente un disco “già sentito”: c’è Bob Dylan omaggiato in I must
have lost it on the wind, il rock'n roll delle origini nella gagliarda
Just like Noah’s Ark, la title-track si apre e chiude sulle stesse note
del brano che introduceva l'album del 1975…And the house fell down
addirittura ricorda vagamente un’oscura B-side di Leather Jackets (Lord
of the flies), ma è anche il genere di canzone swingante che attendevo
da secoli da Elton, che nel bridge si concede la prima e finora unica
“rappata” della carriera.
Con tradizione e creatività, come negli album migliori, il cantautorato
ispirato ai generi classici americani come blues e country diviene un
pop-rock sfavillante e inimitabile; meno raffinato e purista di The
Union, ma più sentito e personale, questo è attualmente il miglior
Elton possibile, nella fiduciosa attesa di essere smentito dal The
Diving Board prossimo venturo.
Voto 7/8
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