RECENSIONI
DEI VISITATORI
Leather Jackets
inviate la vostra
recensione di un disco
di Elton e sarà pubblicata in questa sezione.
non preoccupatevi, non
cerchiamo critici
professionisti, ma le impressioni, positive o negative, dei fans!
di Stefano Orsenigo (luglio 2008)
Se qualcuno oggi volesse procurarsi una copia di "Leather Jackets",
album di inediti sfornato da Elton John nel lontano 1986, non lo
troverebbe facilmente in quanto fuori catalogo, mai più ripubblicato nè
rimasterizzato....con un po' di fortuna, cercando tra web e mercatini,
potrebbe imbattersi in qualche copia in vinile o in CD dell'epoca, con
tutte le limitazioni del caso...
Si dice che tutto ciò che è bello
sia raro, ma non il contrario! Eppure...Oddio, facendo parlare i fatti
e le realtà ufficiali quel qualcuno scoprirebbe che tale disco alla sua
uscita non se lo filò nessuno (il picco più alto nella classifica USA??
#91....), che al giorno d'oggi lo stesso autore lo considera il suo
peggior lavoro e che gran parte dei fans condivide il giudizio...e
vabbè, ma ve li immaginate Madonna o Michael Jackson o i Beatles o i
Queen che si ritrovano con un album di inediti totalmente rimosso?
Inconcepibile!
Ecco, in quanto raro e poco noto, questo disco non dev'essere poi COSI' brutto come si dice: ascoltare per credere!
La
copertina, in stile Andy Warhol, promette una buona dose di pop, e
d'altronde siamo all'epoca del massimo splendore di Wham, Duran Duran,
Paul Young e mille altre icone del pop anni '80, anche Elton all'inizio
del decennio ha ridotto il pianoforte in favore di tastiere e synth nei
suoi lavori in studio, sappiamo già insomma che non ci troveremo al
cospetto di un "Honky Chateau"...
Appena messo nel lettore, si
capisce che il difetto non sta nel quadro ma nella cornice: il
produttore, si legge, è il mitico Gus Dudgeon, un nome una
garanzia...ma che combina? Prende un brano rock pieno di energia come
la title-track e lo annega nelle tastiere! E' l'andazzo generale, la
tendenza è quella di prendere delle piacevoli canzoni pop e renderle
fredde, sintetiche, robotizzate, senza vita!
La formula
eltoniana, si sa, alterna brani rock ritmati a ballate pianistiche
lente e intense, infatti subito dopo troviamo la bella Hoop of fire,
che ci riporta alla mente le atmosfere malinconiche e liriche di certi
suoi lavori anni '70, non fosse che dieci anni prima quel brano avrebbe
avuto l'onore di arrangiamenti sontuosi, adesso sono miseri e sciatti...
Don't trust that woman
invece è quasi danzereccia e, per quanto grossolana, resta abbastanza
divertente, certo non meno di tante altre amene canzonette che Elton
sfornava in quegli anni (Wrap her up, Town of plenty,...):
udite udite il testo è firmato da Cher, e qui ci stava bene un duetto,
visto che la diva di "Bang bang" e "Believe", quanto a look eccessivo e
versatilità musicale, è quasi una Elton in gonnella!
Il duetto
arriverà puntuale, ma con la vecchia gloria Cliff Richard, forse in
omaggio ai tempi del piano-bar in cui il giovane Reg Dwight aveva in
repertorio i successi del collega...il brano è Slow rivers,
secondo singolo (inutilmente) estratto, forse la cosa meno storpiata
dalla produzione, forte degli arrangiamenti orchestrali curati
dall'ottimo James Newton Howard, qui in una delle sue ultime
collaborazioni con Elton.
Lo stesso non si può dire di Go it alone,
un brano potenzialmente quasi hard-rock totalmente svilito e castrato
da brutti suoni sintetici...peccato, perchè il ritmo fa battere il
piedino!
Gypsy heart è una ballatona enfatica con cori
gospel, molto "già sentita" ma non brutta nè mediocre, anche se chi
scrive preferisce i toni country di Memory of love, dove
troviamo per l'ultima volta una lirica firmata Gary Osborne: a parte
queste due eccezioni, tutto il resto è opera del fido Bernie Taupin.
Sempre chi scrive è letteralmente pazzo per i due brani successivi: Heartache all over the world,
primo singolo, con quel coretto "girls girls" e tanti synth da
seppellirci una carriera intera, eppure incredibilmente allegra, con un
ritornello che rimane irresistibilmente in testa senza riuscire a
sfrattarlo.
E poi Angeline, dalle vaghe atmosfere rock'n roll
anni '50, altro coretto buffo sovrapposto al rombo di una moto, altro
brano un po' burino eppure davvero simpatico....vi suona metà dei Queen
(John Deacon e Roger Taylor), ma rispetto all'altra loro collaborazione
con Elton (la brutta Too young, sull'album precedente) non c'è neanche da mettere!
Concludono l'album le atmosfere leggere e acustiche di Paris e quelle melodrammatiche di I fall apart, dove il ricorso all'elettronica è decisamente più accorto e minimale.
Una
parolina sulle outtake finite tra le B-sides ma assolutamente
meritevoli, nella speranza che un giorno vengano ripescate dall'oblio: Lord of the flies, Billy and the kids, Highlander, tre gioiellini di cui l'ultimo si inserisce tra le bizzarrie strumentali eltoniane (vedi Hay Chewed o Earn while you learn).
Insomma,
alla fine Leather Jackets non sarà figlio dell'Elton genio di
"Tumbleweed Connection", ma nemmeno di quello tedioso e sdolcinato di
"Aida", Electricity, All that I'm allowed....non vi pare?!
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Revisione 2012
Mia colpa, mia grandissima colpa. Rileggendo quanto scritto in passato,
devo ammettere di essermi lasciato trasportare, per due motivi: ero
schiavo del pregiudizio “disco raro = disco bello” e non davo grande
importanza al lato tecnico (produzione, arrangiamenti) delle canzoni
nel loro giudizio complessivo. E devo ammettere che da questo
punto di vista Leather Jackets è scadentissimo, non tanto per l'uso
dell’elettronica in sé (comunque dozzinale rispetto ad Ice on Fire) ma
per il senso di sciatteria e povertà che affligge anche quei brani dove
il ricorso ai suoni sintetici è più limitato.
Quindi un lavoro mediocre ma non indecente, perché composto da melodie
passabili, senza infamia e senza lode (tranne Hoop of fire, davvero
bella): e sto ancora aspettando la remastered!
Voto 5
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da Madman del 1994
di Andrea Grasso
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di The Bridge 2012
Ammetto che recensire un album come "Leather Jackets" appare assai
facile: poco o nulla si salva di questo prodotto, sia dal lato artistico
che tecnico. C'è solo, soffocata da tonnellate di elettronica, qualche
buona melodia (anche se nulla di eccezionale). Inutile anche una
descrizione puntuale brano per brano: nessun titolo svetta sugli altri,
con l'eccezione, forse, del primo singolo estratto "Heartache all over
the world", che almeno fa battere il piede a ritmo. Per il resto si ha
come l'impressione di ascoltare un assoluto vuoto cosmico... di idee, di
personalità. Forse con una nuova veste, più acustica, la media
dell'album avrebbe potuto sollevarsi e raggiungere la sufficienza
stiracchiata. Qui, invece, siamo davvero dalle parti del pessimo. Per
fortuna, dopo un simile tonfo, Elton avrebbe saputo di nuovo
risollevarsi (Reg avrebbe colpito ancora)... con più idee, più
personalità; e purtroppo mantenendo l'elettronica.
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