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recensioni dei fans

RECENSIONI DEI VISITATORI

MADE  IN ENGLAND

 Elton John - Made In England

inviate la vostra recensione di un disco di Elton e sarà pubblicata in questa sezione.
non preoccupatevi, non cerchiamo critici professionisti, ma le impressioni, positive o negative, dei fans!

 


di Stefano Orsenigo   2012

Fresco di Oscar, di Grammy, di ingresso nella Rock and Roll Hall of Fame (introdotto da Axl Rose!), di una rinnovata popolarità, che cosa manca all’Elton John del 1995?
Un fidanzato, direte voi maliziosi…errore: a partire da Made In England la voce “David Furnish” inizia a comparire nei sempre più chilometrici ringraziamenti-credits!
Scherzi a parte, l’album in questione riflette la volontà dell’autore di tornare a fare del rock di qualità, nello stile del periodo d’oro, dopo troppi anni di plastica, proseguendo in quel cantautorato riflessivo che in The One era stato parzialmente vanificato dalla produzione. Da dettagli come i titoli delle canzoni formati da una sola parola (ma la copertina è quanto di più anonimo ci sia) si comprende l’ambizione di fare un album e non una semplice raccolta di brani da dare in pasto alle radio e finalmente la produzione si rivela molto adeguata, sia nella strumentazione che nella resa sonora. Onore poi alla scelta come primo singolo di Believe, quanto di più maestoso Elton abbia composto dai tempi di Ain’it gonna be easy, una canzone NON d’amore ma SULL’ amore come sentimento puro e universale, che Bernie evoca in pochi magistrali versi.
Purtroppo, a questo iniziale gioiello fanno seguito la title-track, uno dei suoi rock più piatti e commerciali di sempre, e il lento orchestrale (ma più confidenziale…) House, perfetto per combattere l‘insonnia. Dopo una Believe in minore (Cold), e un rock più decente (Pain), benchè leggermente scopiazzato da hits altrui (Rolling Stones, Duran Duran), Elton resuscita la gloriosa suite orchestrale, peccato che Belfast stia a Tonight come Federico Moccia a Somerset Maugham: ci sono gli archi di Buckmaster ma non la drammaticità di Elton John o la visionarietà di Madman Across the Water. Ma sono assenti anche le influenze del rock americano, quindi è meglio evitare i confronti col passato e assaporare l’album come un esempio di rock sinfonico meno eltoniano e più beatlesiano, o comunque “made in England”, a base di piano, archi e sferzate elettriche, mai abbastanza ruvide. E proprio il mitico George Martin fa capolino nell’arrangiamento del bel (brit)folk Latitude, primo di una serie di brani che, se non altro, risollevano il livello: il piacevole (brit)pop Please, le ballate Man (all’organo hammond) e Blessed (dal sapore latino), la ritmata Lies.
Globalmente, il difetto del disco è nel manico, nell’ispirazione non all‘altezza delle ambizioni, talvolta smarrita in un alone di pesantezza e noia: un parere del tutto personale, però a questo Elton (improbabilmente) elegante e patinato preferisco l’onesta popstar (con tutto il suo carico di kitsch) di 21at33, TLF0 o Reg Strikes Back.

Voto 6+



di The Bridge   2012

Made in England fu il disco che mi fece (parzialmente) ritrovare la fede in Elton dopo un paio di prove (The One, Duets) non proprio esaltanti. Lo acquistai appena uscito, e complice il precedente ascolto live del brano "believe" al primo e unico suo concerto cui ho assistito nell'estate del '94 a Roma. Il brano mi piacque quasi immediatamente, e l'album pure. Non aveva l'ostentato barocchismo di The One, né l'inconsistenza di Duets, e mostrava una certa immediatezza d'ispirazione anche dovuta ad una produzione più leggera e scattante. Detto questo, non mancano assolutamente i brani riflessivi e lenti, che anzi pure qui sono la maggioranza, e torna perfino una sorta di suite pseudosinfonica (Belfast), cosa che Elton non immetteva in un suo prodotto dai tempi di "The Fox". Dopo i primi ripetuti ascolti, però, qualcosa comincia a non quadrare del tutto; la freschezza (apparente) comincia a suonarmi un po' banale, l'aspetto compositivo poco originale e risaputo, e, cosa peggiore, i brani cominciano ad assomigliarsi l'uno all'altro (specie, se ricordo bene, Please e Lies, che al mio orecchio mi paiono variazioni sul medesimo tema). Che Belfast riprendesse laddove Believe finiva ci poteva anche stare, ma ascoltare due brani pseudo identici proprio no, almeno secondo me... E il voto comincia a scendere, così come la frequenza di ascolti, che infine si arresta del tutto: non ascolto (per intero, s'intende) MIE da almeno un decennio. Veniamo ai singoli scelti. La già citata Believe è un ottimo brano, uno dei migliori degli anni 90, capace di non impallidire (almeno) al cospetto delle hits del decennio precedente; la title-track è banalotta ma orecchiabile, mentre la canzone di chiusura (la discreta "blessed") appare un po' latineggiante e melodica ma anche, verso la fine, maledettamente elettronica, con un effetto che al mio orecchio suona fuori posto come bestemmiare in chiesa: perfetto esempio di come sia sempre possibile con qualche trovata maldestra penalizzare un brano buono (benché appartenente al più puro stile melenso dell'EJ anni 90). Tutto il resto dell'album (compresa l'orecchiabile e beatlesiana "latitude") si attesta su livelli discreti e talvolta buoni, con poche cadute, ma anche con ben pochi picchi. L'impressione è che in MIE ci siano tante buone intenzioni, tanto mestiere; per l'ispirazione, quella vera, occorre attendere ancora 6 anni: voto 6+