le recensioni di Beppe (24)
|
Empty Sky
2007
Che
dire di Empty Sky, primo
album realizzato da Elton nel lontano 1969? Che è un bel disco!
Prima di fare tutte le considerazioni del caso riguardo alla
qualità
assoluta del disco, è un prodotto che si ascolta con piacere
nonostante
sia un'opera prima, con tutti i difetti e le manchevolezze che quasi
tutti
i dischi di esordio hanno. Di sicuro non è un album
particolarmente
originale, anzi spesso è scopiazzato dagli altri artisti
dell'epoca,
non contiene capolavori, la produzione (per stessa ammissione di Steve
Brown) è quasi inesistente e si sente che è stato
realizzato
con un budget molto limitato, ma ciò nonostante Elton inizia a
far
vedere quello che è capace di fare. Il disco è
stato prodotto internamente alla Dick James Music, con mucisti e un
produttore
quasi "di fortuna", scegliendo tra le decine di demos realizzati in
quegli
anni le canzoni più valide, quelle non scritte ad uso
prettamente
commerciale da fornire ad altri artisti. Tra i musicisti, oltre
all'inconfondibile
chitarra di Caleb Quaye, troviamo la prima apparizione di Nigel Olsson
in Lady What's Tomorrow, canzone piacevole ma di certo non memorabile.
Le cose migliori, secondo me, sono Empty Sky, Hymn 2000, Sails e
soprattutto
Gulliver, mentre ho sempre trovato abbastanza scontata e sdolcinata
l'unica
canzone di questo album che di solito viene ricordata, Skyline Pigeon.
Lo stesso Elton la considera la sua prima canzone di un certo spessore
ma, che volete che vi dica, a me non è mai piaciuta
particolarmente,
la trovo solo discreta. Pongo invece un gradino sopra tutte la
dimenticata
Gulliver: in questo brano trovo che si intuisca quello che Elton
avrebbe
mostrato da li a poco con i grandi album che sarebbero seguiti.
Comunque,
nel suo insieme, è un disco che ascolto sempre con piacere, il
livello
medio delle canzoni rimane tra il discreto e il buono, senza cadute
particolari.
Gli arrangiamenti, come ho già detto, sono abbastanza grezzi ma
Steve Brown era solo un tecnico del suono che si era improvvisato
produttore
e non si poteva chiedergli un miracolo. Il piano di Elton ancora
non emerge, mentre c'è un uso spropositato di clavicembalo (!)
che
in un disco senza accompagnamenti orchestrali suona veramente strano.
Elton
non ha chiaramente la visione chiara di dove vuole andare a parare,
saccheggia
un po' i generi e gli artisti dell'epoca e probabilmente non vuole
arrischiarsi
di andare in una direzione ben definita; sa che questa potrebbe essere
l'unica occasione per incidere un album suo e vuole fare un prodotto
che
possa andare bene al pubblico di allora, che possa vendere
discretamente
e dargli l'opportunità di proseguire una carriera
autonoma.
Ma, a distanza di tanti anni, per un ascoltatore esterno, penso che non
sia un disco così estraneo alla produzione più classica
che
sarebbe venuta dopo, come è invece è successo per le
opere
prime di altri artisti. In definitiva, Empty Sky rimane un album
più che discreto che ha dalla sua molte attenuanti per le
manchevolezze
che lo affliggono, e che mostra in parte già le capacità
compositive e interpretative del futuro "vero" Elton John.
voto (da 0 a 10): 6,9
|
Elton John
2004
Elton John è il disco di Your Song, quello del successo internazionale dopo anni di
gavetta nel mondo musicale inglese. Il notevole salto qualitativo è
dovuto principalmente al fatto che la Dick James mette a disposizione un
budget consistente per la realizzazione dell'album, e ciò significa
un uon produttore come Gus Dudgeon, un'arrangiatore straordinario
come Paul Buckmaster (ambedue provenienti dallo Space Oddity di Bowie),
i Trident Studios e una schiera di session man da studio di ottimo livello.
Poggiando su queste basi anche le canzoni di Elton e Bernie prendono il
volo, è sicuramente uno dei suoi dischi dove il livello medio delle
canzoni, a prescindere dal resto, è più elevato. Si fa veramente
fatica a dire quali siano i pezzi migliori tra Your Song, The Greatest
Discovery, First Episode at Hienton, I Need You To Turn To e Sixty Years
On senza voler denigrare le altre, forse è solo The Cage ad essere
un gradino sotto. Strano a dirsi, il punto debole (per modo di dire!) dell'album
sono in questo caso gli arrangiamenti orchestrali di Paul Buckmaster; al
contrario dei dischi successivi, qui in alcune occasioni l'atmosfera è
un po' troppo cupa, tetra, esempio per tutti Sixty Years On veramente sminuita
in questa versione. Ma in generale il lavoro di Buckmaster è
sempre grandioso e tutto il resto gira che è una meraviglia, l'Elton
compositore è già entrato in stato di grazia (in contemporanea
aveva già composto anche i pezzi che sarebbero finiti su Tumbleweed
Connection), la produzione molto elaborata di Dudgeon è ottima e,
anche se i suoni del disco non sono propriamente commerciali, le vendite
danno ragione a chi aveva creduto in lui dopo il debutto in sordina di
Empty Sky. In mezzo ai session man troviamo ancora Caleb Quaye e da citare
sono i fantastici cori che avrebbero caratterizzato anche i due album successivi,
con coriste del livello di Lesley Duncan, Madeline Bell e Kay Garner tra
le altre. Di solito, quando vengono citati i top album di Elton, Elton
John ne rimane fuori, ma secondo me solo per il discorso degli arrangiamenti
un po' ostici che facevo prima, perchè a livello compositivo è
una dura lotta con Madman e Tumbleweed per la posizione n°1. Non avendo
suoni particolarmente alla moda allora, dopo tanti anni non risulta per
niente datato, è solo meno immediato rispetto ad altre produzioni.
Sicuramente non può mancare nella discografia essenziale di Elton
che in questi anni è a livelli irripetibili.
voto (da 0 a 10): 8,8
|
Tumbleweed Connection
207
Tumbleweed Connection è a mio avviso, senza ombra di dubbio, la
massima vetta nella discografia di Elton John, insieme al quasi
contemporaneo Madman Across The Water.
L'album non è certamente immediato e di facile ascolto, ma è di una bellezza e un'ispirazione straordinaria.
Registrato contemporaneamente a Elton John, uscito un anno prima
(1969), riflette la passione di Bernie Taupin per l'epopea del vecchio
West, nata probabilmente con la visione dei tanti film western
americani che imperversavano durante la sua gioventù.
Per Elton la fonte di ispirazione musicale fu senza dubbio The Band, gruppo che in quegli anni aveva dato il meglio di se.
L'album segue lo schema consolidato dei primi dischi: produzione
abbastanza complessa di Gus Dudgeon con gli splendidi arrangiamenti
orchestrali di Paul Buckmaster, in questo caso molto meno cupi che in
Elton John e ampio utilizzo di session men, ma in questo caso iniziano
ad avere un certo spazio anche Nigel Olsson, Dee Murray e Caleb Quaye.
Le canzoni, di impostazione southern, sono assolutamente fantastiche e senza tempo,
compresa Love Song, cover della canzone composta da Lesley Duncan,
all'epoca sua corista nei dischi e anche live.
Troviamo alcuni dei migliori brani composti dalla coppia John/Taupin nel corso di tutta la loro carriera.
Al top assoluto Talking Old Soldiers, la perfezione assoluta con Elton
e solamente il suo piano, ineguagliabile, e My Father's Gun
(recentemente ripresa nel film Elizabethtown di Cameron Crowe) con il
suo incedere melanconico e struggente, in mix perfetto tra strumenti,
coro e voce.
Ma tutto l'album rimane su livelli eccelsi che purtroppo non si
sarebbero mai più ripetuti da lì a qualche anno, quando
la scelta di virare verso una musica più commerciale avrebbe
significato il dover rinunciare ad un certo tipo di canzoni.
Pensiamo che da Tumbleweed Connection non fu estratto neanche un
singolo, manovra commercialmente suicida, ma Elton era all'apice della
sua vena creativa e il disco con la sua bellezza travolgente
contribuì ugualmente al suo lancio come come futura rockstar
mondiale.
Burn Down The Mission è diventato un classico del suo repertorio
live, Come Down in Time resta insuperata nella sua semplicità e
dolcezza, Country Comfort è stata incisa da innumerevoli
artisti, Amorena e Where To Now St. Peter sono certamente canzoni che
riescono a fare emozionare gli ascoltatori oggi come allora.
Forse le uniche due canzoni più anonime (si fa per dire,
sarebbero delle gemme in qualsiasi album di Elton) sono Ballad Of A
Well-Known Gun e Son Of Your Father, ma solo perchè non si
prestano ad essere delle hit radiofoniche.
Un album del genere dovrebbe essere nella discografia essenziale di
qualsiasi amante della musica pop rock, non solo tra i fan di Elton,
anche se, come al solito, non ha mai avuto la giusta considerazione
presso la critica, che molto spesso se lo dimentica.
Elton e Bernie erano in uno stato di grazia e non pensavano troppo alle
vendite, l'abbinamento Gus Dudgeon/Paul Buckmaster dava dei risultati
straordinari e il gruppo di musicisti utilizzati, compresi i grandi
cori, era assolutamente perfetto.
Da un mix del genere non poteva che nascere un capolavoro che non dimostra per niente i quasi 40 anni passati da quel 1970.
|
17-11-70
2008
Molti
non ne hanno neanche mai sentito parlare, ma se volete veramente sapere come
era il vero Elton John degli inizi dal vivo (e come purtroppo non lo sarebbe
stato più) dovete assolutamente ascoltare 17-11-70, il suo primo disco live
registrato agli A&R Studios di New York.
Doveva
essere solo un radio show ma il proliferare di bootleg (molto in voga all’epoca)
spinse la casa discografica a pubblicarlo come live ufficiale, naturalmente
eliminando parte della scaletta per andare sulla durata media di un LP.
Ma
anche se incompleto il concerto, tratto dal primo tour USA, è la testimonianza
storica del perché Elton abbia sfondato in USA con le sue fantastiche performance
in trio, con Nigel Olsson alla batteria e Dee Murray al basso.
Dopo alcune non entusiasmanti date
inglesi che non avevano riscosso particolare successo, il trio qui sembra già
perfetto ed amalgamato come se fosse reduce da anni di collaborazione insieme.
Il suono è abbastanza grezzo e per
niente pop, ma pieno di energia in ogni brano, e proprio qui sta il pregio di
questo live, Elton è scatenato al piano senza i tanti orpelli che avremmo
trovato in seguito nelle sue esecuzioni pianistiche, e Nigel e Dee lo seguono
potenti ma anche loro essenziali e pieni di grinta.
Probabilmente tanti fans storceranno un
po' il naso, abituati all'Elton successivo dominatore di tutte le classifiche
di vendita, ma in compenso sono sicuro che tanti non fans e anche molti detrattori di Elton rimarrebbero
piacevolmente sorpresi a sentire un disco live di questo livello.
I brani che troviamo sul disco
provengono in parte dai primi album (Sixty Years On, Take Me To The Pilot, Burn
Down The Mission), troviamo poi una Bad Side Of The Moon che è immeritatamente
un extra track da Elton John, e Can I Put You On appena composta per essere
inserita nel futuro Friends. Il tutto
completato da omaggi a tre dei principali suoi idoli, i Beatles di Get Back, i
Rolling Stones di Honky Tonk Women e l'Elvis di My Baby Left Me, che Elton
avrebbe surclassato da lì a poco nelle classifiche di tutto il mondo.
Purtroppo una Elton John band in trio,
come in occasione di questo primo tour, non sarebbe mai più stata riproposta,
ed è un peccato perché non si sente assolutamente la mancanza di altri
strumenti, neanche di una chitarra; il piano è giustamente il fulcro di tutta
l'esibizione e insieme al basso e alla batteria riesce a “riempire” tutte le
canzoni.
Certo deve essere stato sicuramente uno
shock per il pubblico che aveva precedentemente ascoltato un album addirittura
orchestrale come Elton John trovarsi le stesse canzoni riproposte in maniera
così essenziale.
Chissà, magari un giorno, un album così
ingiustamente sottovalutato ed abbastanza dimenticato come 17-11-70 potrà
vedere riconosciuto il suo indubbio valore intrinseco.
Rimane in ogni caso una testimonianza,
come lo sono per un altro verso gli album di studio pre Honky Chateau, di come
era e come poteva continuare ad essere Elton prima di esplodere come superstar
pop degli anni 70.
Con molti rimpianti da parte di
qualcuno come il sottoscritto.
|
Friends
2012
Friends, a torto o a ragione, viene spesso non considerato nella
discografia ufficiale di Elton John, sia perchè è una colonna sonora,
sia perchè i brani strumentali presenti sul disco erano stati composti da
Paul Buckmaster. Ma, a parer mio, rimane un grande album,
perchè qui troviamo ancora un Elton in stato di grazia, nel momento
d'oro della sua vena artistica. Inquadriamo velocemente il
progetto: Elton e Bernie avevano collaborato distrattamente a questo
disco, dovevano solo fornire alcune canzoni alla Paramount che poi
decise di farne un album vero e proprio, integrato con lo score di Buckmaster. Ma il disco, inciso a cavallo dei primi due
tour americani, venne lanciato sul mercato come il nuovo album di Elton John per
sfruttarne il crescente successo negli Stati Uniti, con una certa
irritazione da parte di Elton e il suo entourage. Vista la
popolarità di Elton ebbe comunque un discreto successo e venne stampato
in ogni parte del mondo; il film è stato abbastanza dimenticato anche
se, alcuni anni dopo lo stesso regista Lewis Gilbert realizzò
addirittura un sequel (Paul & Michelle), senza più le musiche di
Elton, però. Le premesse per un prodotto minore c'erano tutte, ma non dimentichiamoci che era appena uscito Tumbleweed Connection e da lì a poco sarebbe anche arrivato sul mercato Madman Across The Water, ci
trovavamo di fronte a un compositore in stato di grazia che sapeva
esprimere ancora il meglio di sè, prima di finire inglobato nello star
system come icona pop degli anni 70. Quindi tutte la canzoni
contenute in Friends hanno il pregio di una freschezza e di
un'ispirazione degne del periodo d'oro, suonate da quella che avrebbe dovuto essere la futura Elton John Band, se Caleb Quaye non avesse deciso di tentare la fortuna con gli Hookfoot: Dee Murray al basso, Nigel Olsson alla batteria e Caleb
alla chitarra. I testi di Bernie qui diventano molto più semplici e
lineari e la stessa musica sembra molto meno elaborata, ma brani come Season, Friends, Michelle's Song, Can I Put You On e Honey Roll si
impongono per la loro caratura e ripeto "freschezza", qualità che da lì
a poco avrebbe iniziato a scemare a favore della routine, di alto
livello, ma sempre routine. E anche lo score strumentale di Paul Buckmaster, pur essendo finalizzato al film rimane su un grandissimo livello. Friends
rimane quindi un disco fondamentale per ogni vero fan di Elton, anche
se si distacca dal classico album standard. Mentre la versione in
vinile è stata, come già detto, pubblicata in numerosissimi paesi del
mondo, la versione CD è ufficialmente disponibile solo inglobata nella
raccolta Rare Masters dei primi anni 90, probabilmente per motivi di copyright, visto che all'epoca era uscito su etichetta Paramount; in circolazione si trovano alcune versioni in CD che però si rivelano essere dei bootleg.
Per vari motivi, imperdibile.
|
Madman Across The Water
2004
Madman Across The Water è
secondo me l'apice della produzione di Elton, il disco che raggiunge
quasi
la perfezione, per la qualità delle canzoni, la produzione,
gli
arrangiamenti orchestrali, i musicisti che vi suonano e
l'omogeneità
del tutto. Tumbleweed non è qualitativamente molto lontano
ma, se
devo indicare "il disco" di Elton John da portare su un'isola deserta,
Madman è senza ombra di dubbio quello che scelgo senza
esitazioni.
Qui Paul Buckmaster e i suoi arrangiamenti orchestrali sono veramente
ad
un livello irraggiungibile, dopo un paio di album di aggiustamento
riescono
veramente ad accompagnare ed arricchire i brani in maniera perfetta. I
numerosi musicisti impiegati sono tutti di altissimo livello e, insieme
ai contributi della Elton John Band classica (Olsson, Murray, Cooper,
Johnstone),
troviamo musicisti del calibro di Chris Spedding, Herbie Flowers, Rick
Wakeman e B.J. Cole, solo per citarne qualcuno; incredibile, qui,
persino
il modesto Davey Johnstone riesce a brillare (come non gli sarebbe
più
capitato in seguito) nella splendido finale di Holiday Inn. Le canzoni
comprendono alcune tra le più memorabili composizioni del
duo John/Taupin,
è veramente difficile scegliere le migliori. Tiny Dancer,
Levon,
Goodbye, Indian Sunset, Holiday Inn e Madman Across The Water fanno
veramente
parte della produzione migliore, questo è il vero Elton,
sicuramente
meno commerciale rispetto agli album che sarebbero seguiti, ma di un
livello
veramente eccezionale. anche tralasciando i fantastici arrangiamenti di
Buckmaster, basta ascoltare una semplicissima e breve canzone come
Goodbye,
praticamente sconosciuta al grande pubblico, per rendersi conto del
livello
assoluto di questi brani. Elton era veramente al massimo
dell'ispirazione,
componeva e registrava più album in un anno nelle brevi
pause tra
un tour e un altro, e anche le cose meno riuscite erano sicuramente
buone.
Madman fu inciso, per esplicita dichiarazione sua, in brevissimo tempo,
tra un tour e l'altro, sotto pressione, soprattutto per problemi
contrattuali
con la DJM e ciò nonostante il risultato ottenuto
è stato
fantastico. Le critiche, in generale, non furono molto buone (ad
esempio
Indian Sunset fu massacrata!) e le vendite inizialmente abbastanza
limitate,
infatti in Inghilterra non andò oltre il 41° posto.
Naturalmente
la poca considerazione da parte della critica in generale è
rimasta,
come per Tumbleweed, e se c'è da citare dei dischi di Elton
vengono
sempre considerati quelli del periodo successivo come Goodbye Yellow
Brick
Road. Secondo me Madman Across The Water rimane la vetta della
produzione
di Elton che in seguito non si sarebbe mai più ripetuto a
questi
livelli, anche per la svolta per una musica più
"commerciale". Non
gli do 10 perchè il disco perfetto probabilmente non esiste,
ma
Madman è quasi la perfezione, il miglior Elton di sempre!
voto (da 0 a 10): 9,7
|
Honky Chateau
2007
Honky Chateau, pubblicato nel 1972, è stato ‘album della
svolta “commerciale” (in senso buono) di Elton John. Infatti
dopo la serie di album orchestrali, con gli splendidi arrangiamenti di Paul
Buckmaster, si è passati a un classico album pop/rock registrato in Francia negli
studi del castello di Herouville, che avrebbe ispirato anche il titolo del disco.
E un altro cambiamento sostanziale è la presenza costante in
tutti i brani della Elton John band, con Nigel Olsson alla batteria, Dee Murray
al basso e Davey Johnstone alle chitarre (e mandolino) al posto della
moltitudine di session men che avevano contraddistinto i precedenti album,
integrati da una sezione di fiati con dei musicisti francesi e dal violino elettrico di Jean Luc Ponty.
La produzione è sempre di Gus Dudgeon ma il suono risulta
sicuramente diverso, molto più pop, più moderno, con un occhio di riguardo alle
classifiche, anche se non in manierà così sfacciata come sarebbe successo con
il successivo Don’t Shoot Me, uscito
pochi mesi più tardi.
Il risultato è un album molto buono, di grandissimo
successo, anche se effettivamente siamo su un livello inferiore a capolavori
del primo come Tumbleweed Connection e Madman Across The Water, che rimarranno il top
qualitativo nella sua carriera.
L’album contiene anche Rocket Man che si rivelerà come una delle
canzoni simbolo per Elton insieme a Your Song, un suo marchio di fabbrica con i
famosi versi di Bernie “She packed my bags last night, pre flight, zero hour
nine a.m., and I’m gonna be high as a kite by then.”
Altro pezzo notevole è sicuramente la splendida Mona Lisas
And Mad Hatters, brano un po’ anomalo rispetto rispetto agli altri contenuti
nell’album, molto tranquillo con in evidenza, una volta tanto, Davey Johnstone
al mandolino, con il quale si trova sicuramente meglio rispetto alla chitarra
elettrica.
Il violino elettrico di Jean Luc Ponty si esalta nella
bellissima, ma poco considerata, Amy, altra gemma dell’album, una canzone molto
tirata e particolare.
Vengono invece ricordate canzoni come Hercules, abbastanza
banalotta, e due brani come I Think I’m
Gonna Kill Myself e Honky Cat ampiamente sfruttati nei concerti live,
soprattutto quest’ultimo che si presta a virtuosismi pianistici.
Honky Chateau in definitiva è sicuramente un album riuscito,
perfetto nel suo genere, senza particolari punti deboli o particolari vette qualitative, e rappresenta
la svolta nella carriera di Elton verso i successo planetario dei anni successivi.
Un album fondamentale nella sua discografia, come quasi
tutta la produzione degli anni 70, che rimane sempre a un livello nettamente superiore
a quello che seguirà negli anni 80 e 90.
|
Don't Shoot Me, I'm Only The Piano Player
2012
Don't Shoot Me, I'm Only The Piano Player rappresenta il primo colpo al
cuore (in senso negativo però!) per i fans della prima ora, per chi
aveva amato allbum come Madman o Tumbleweed. Dove è finito
il compositore geniale, raffinato ed unico dei primi album in questo
disco che punta solo decisamente al pop di facile ascolto e alle
classifiche di vendita? Siamo lontani mille miglia, sono
passati solo pochi anni ma ci troviamo di fronte ad un artista che ha
deciso evidentemente di puntare quasi esclusivamente al portafoglio e
alla fama, lasciando perdere la sua vera vena compositiva.
Le avvisaglie ci erano già state chiaramente con la pubblicazione di
Honky Chateau, ma la qualità era rimasta molto alta e il sound proposto
era ancora di notevole livello, nulla faceva presagire quello che
sarebbe arrivato da lì a poco. La confezione dell'album,
splendida copertina a parte, dà già l'impressione di quello che sarà il
contenuto, in gran parte composto da canzonette pop piacevoli e nulla
più, come il famoso singolo Crocodile Rock, Elderberry Wine o, ad
esempio, Midnight Creeper, che mai avrebbero trovato posto negli album
precedenti.
Una gemma degna del nome Elton John la troviamo ancora, Have Mercy On
The Criminal, come pure molto buona è Blues For My Baby And Me, ma
risultano anche loro po' annacquate dalla produzione perfettina e
zuccherosa di Gus Dudgeon abbinata al sound creato da Ken
Scott. L'operazione, sotto l'aspetto commerciale, fu un
grande successo e rispose pienamente alle aspettative: grande
esposizione in tutto il mondo ed esplosione anche sul mercato italiano,
ma fu veramente un colpo al cuore per chi seguiva Elton dagli
inizi. L'album in generale è piacevole ma qualitativamente
è un prodotto poco più che discreto, soprattutto se pensiamo al livello
generale dei dischi pubblicati in quegli anni. Ciò
nonostante è probabilmente proprio Don't Shoot Me a creare lo zoccolo
duro dei fans che hanno proiettato Elton a diventare la superstar
per eccelllenza degli anni 70, il suo pop facile ma ben confezionato
era quello che serviva per scalare le classifiche di tutto il mondo e a
dettare legge soprattutto sul mercato statunitense. Sono
passati 40 anni ma ai concerti tutti sono sempre pronti a saltare e a
cantare sulle note del La La La La Laaa di Crocodile Rock a
testimonianza dell'impatto che questo disco ha avuto sul pubblico,
dimostrazione che spesso paga più un approccio di questo genere che la
qualità. A mio parere era e rimane un discreto disco pop,
con un paio di ottime canzoni e poco più, non si merita più di un 6,5.
|
Goodbye Yellow Brick Road
2011
Goodbye Yellow Brick Road rappresenta il picco della seconda fase di
Elton John, quella della virata verso un pop più commerciale, della
superstar mondiale che strapazzava le classifiche di dischi in tutto il
mondo. L'album dello splendido artwork apribile in tre,
esplicitamente
ispirato nel titolo e nell'immagine di copertina al Mago di Oz di
consolidata fama dopo il famosissimo film del 39 con Judy Garland.
Era
anche il primo album doppio della sua carriera: alcune voci dicevano
che questa scelta fosse stata dettata dall'enorme produzione di canzoni
durante la fallimentare trasferta a
Montserrat (prima del ritorno allo Chateau di Heroville) , lo
stesso Elton, invece, aveva dichiarato che era un omaggio al
doppio album dei
Beatles (White Album); più terra a terra, probabilmente la motivazione
più semplice era il contratto capestro con la DJM che gli imponeva
due album per ogni anno di contratto e che quindi lo obbligava ad
uscire con un prodotto del genere proprio entro la fine del 1973.
Ma
il il risultato che ne venne fuori fu veramente eccellente con un Elton
ancora al top della sua vena compositiva, anche se non sempre
supportato dalla produzione di Gus Dudgeon e dai mielosi arrangiamenti
orchestrali di Del Newman, il vero punto debole di alcune canzoni.
Il
1973 è uno degli anni cardine del pop rock mondiale e GYBR rappresenta
degnamente colui che ha dominato le classifiche di vendita del decennio.
Il
gruppo lo asseconda abbastanza bene, nei limiti della loro capacità di
musicisti pop non proprio eccelsi ma che in questo caso riescono a
compiere bene il loro dovere in alcune delle canzoni che rimarranno
immortali nella lunga carriera di Elton.
Alcuni sono veri marchi di
fabbrica come la lunga Funeral For A Friend/Love Lies Bleeding con Dave
Hentschel al sintetizzatore, Bennie And The Jet, Candle In The Wind
(prima si subire il sacrilego rifacimento ad uso funerale), la
stessa title track.
Ma le canzoni splendide non si fermano certo
qui, al top appartengono di sicuro anche This Song Has No Title, All
The Girls Love Alice (uno dei pezzi tirati di Elton migliori in
assoluto), Danny Bayley, Sweet Painted Lady, I'Ve Seen That Movie Too,
Roy Rogers (di ispirazione dylaniana) e la grande Harmony, il singolo
mancato.
Goodbye Yellow Brick Road rimane probabilmente il suo album
più universalmente riconosciuto, la strada di mattoni gialli verso il
successo universale (o più realisticamente potevano essere lingotti
d'oro!), il disco che riscuote più successo anche tra i fans di ogni
generazione.
Non è già più certo l'Elton unico dei primi grandi
album, ma è l'Elton che è riuscito a sfruttare al massimo il suo
talento compositivo per massimizzare il suo pubblico, senza indulgere
eccessivamente, come sarebbe accaduto da lì a poco, verso una
produzione troppo scontata e accondiscendente verso il mercato.
E'
l'Elton che non si ispira più alla Band o a Van Morrison, ma che
ambisce a sostituire in tutto e per tutto i Beatles, dei quali è stato
probabilmente l'unico vero erede.
E' il disco che insieme a Honky
Chateau me lo ha fatto conoscere, che ho ascoltato migliaia di volte
passando dalle audiocassette, ai vinili, ai CD, quando già apprezzavo
abbastanza Madman ma non avevo ancora intuito di quanto fosse grande
Tumbleweed.
E' il disco da regalare a chi non conosce niente di Elton John, è la sua immagine più consolidata.
GYBR è Elton John.
8,5 su 10
|
Rock Of The Westies
2011
Confesso che Rock Of The Westies,
pur provenendo dal periodo d'oro di Elton, l'ho sempre considerato un
disco minore, un prodotto non all'altezza. Sicuramente un
disco forzato dalla DJM, la sua prima casa discografica da cui era
ancora legato da un contratto capestro per due album
all'anno. E' sicuramente un tentativo di svolta dal pop
degli album precedenti verso un suono più rock, ma il risultato mi ha
sempre lasciato abbastanza perplesso, sembra che Elton, ma soprattutto Gus Dudgeon,
il produttore, non sappiano esattamente dove vogliano andare a
parare. Sicuramente la produzione è più rock ma il disco
nel complesso è abbastanza deludente ed è il primo segno tangibile
della fine dell'Elton super ispirato degli anni appena
trascorsi. Infatti, arrangiamenti a parte, il vero punto
debole dell'album sono proprio le canzoni la cui media è veramente
mediocre se viene confrontata a quella dei dischi
precedenti. Veramente, secondo me non c'è alcun pezzo che
meriti di essere ricordato dopo tutti questi anni. Il singolo Island Girl,
n° 1 in USA come pure l'album, parte bene per naufragare con un
ritornello che più banale non si può. Forse gli unici due
pezzi che si elevano un po' sono Feed Me e Hard Luck Story,
ma il resto, nonostante il sound elettrico dovuto principalmente alla
chitarra del grande Caleb Quaye vivacchiano senza brillare
troppo. Anche il secondo singolo, il lento I Feel Like A Bullet (In The Gun Of Robert Ford)
non riesce mai a decollare, ad avere quel qualche cosa in più per
renderlo memorabile. L'album vendette ancora moltissimo, ma
era già chiaro che l'Elton superstar stava iniziando la china
discendente, probabilmente si era reso conto che il suo sound classico
stava passando di moda e aveva cercato una via un po' diversa (ma
neanche tanto) per presentarsi al pubblico. Elton avrebbe
dimostrato, anche negli anni successivi, di trovarsi male tutte le
volte che aveva cercato di seguire il mercato e le mode per
allontanarsi dalla sua produzione tradizionale. In
sostanza, un disco che non mi ha mai convinto a partire dalla qualità
delle canzoni che sembrano veramente poco ispirate.
voto 6,5
|
Victim Of Love
2010
La Follia
Parlare di un disco come Victim Of Love è effettivamente molto difficile, si tende a cancellarlo dalla memoria.
Però, una
cosa c'è da chiedersi? Cosa può aver spinto Elton
John a pubblicare un album del genere?
E' vero che l'epoca d'oro si era conclusa e soprattutto negli Stati
Uniti le vendite erano decisamente calate anche a causa dell'intervista
in cui faceva outing riguardo alla sua omosessualità, ma
avventurarsi in un progetto del genere non aveva alcun senso, era una
follia commerciale.
La Disco Music poi, aveva già esaurito il suo periodo di maggior
successo ed era già in fase decisamente calante, altro motivo
che rende inspiegabile l'operazione Victim Of Love.
Si può solo pensare che Elton abbia deciso questo azzardo autonomamente, di testa sua, forse annebbiato dalla cocaina.
Il fatto che abbia prestato unicamente la sua voce a questo album di
disco music di bassa qualità prodotto da Pete Bellotte non lo
solleva minimamente dal fatto di aver concesso il suo nome al progetto,
a tutti gli effetti rimarrà per sempre un disco ufficiale nella
sua discografia principale.
Il risultato è comunque un mediocre album di disco music che ha
fallito miseramente nei sui scopi, grosso flop nelle vendite e
sconcerto da parte della stragrande maggioranza dei fans e di tutto il
mondo discografico.
Ciliegina della torta è l'inserimento di una avvilente versione
di un classico del rock'n'roll come Johnny B. Goode di Chuck Berry che
grida vendetta, come può essersi ridotto Elton a fare una cosa
del genere?
Un consiglio caloroso rivolto a tutti è quello di evitare l'ascolto e di dimenticarsi veramente della sua esistenza!
|
21 At 33
2010
Penso che Elton e il suo entourage, dopo aver visto i
terrificanti esiti della realizzazione di Victim Of Love, si saranno
detti:" ed ora come si può rimediare a questa tremenda cazzata?"
L'album Victim Of Love aveva ottenuto diversi risultati: l’azzeramento delle
vendite di Elton, già in calo, e della sua residua credibilità, e probabilmente
la fuga di una buona parte dei suoi fans storici, inorriditi da un disco
simile.
Per tentare di rimediare l'unica soluzione era di pubblicare, in breve tempo,
un "vero" album di Elton John, mettendo insieme ciò che di buono era
disponibile al momento.
Si iniziò così ‘ripescando’ Bernie, un gruppo di musicisti validi e qualche
collaborazione di prestigio. Si presume che dietro all'operazione ci fosse
James Newton Howard, allora talentuoso tastierista di Elton e futura star delle
colonne sonore hollywoodiane.
Il risultato è 21 at 33, , il 21°
album di Elton a 33 anni d'età, che è sicuramente un buon album, fin troppo
sottovalutato sia dai fans sia da tutti gli altri.
Non stiamo certo parlando di un capolavoro, ma di un disco ben realizzato e ben
suonato, che rende piena giustizia a un gruppo di canzoni abbastanza valide.
Tra i brani non c'è sicuramente il pezzo memorabile che si stacca nettamente
dagli altri, ma il livello è più che discreto e, soprattutto, sono prodotte e
suonate molto bene, come purtroppo non sarebbe quasi mai più successo nei
successivi due decenni.
In 21 at 33 troviamo anche ben due
collaborazioni con Tom Robinson, reduce dai successi della Tom Robinson band e futuro esponente del movimento gay inglese: Sartorial Eloquence e Never Gonna Fall In Love Again (il terzo
brano frutto della loro collaborazione, Elton's
Song, troverà spazio su The Fox, altro album dalla genesi abbastanza
simile).
E, incredibilmente, da questo album realizzato un po' di fretta, mettendo
insieme i brani come i pezzi di un puzzle raffazzonato, è uscita anche una top
2 della classifica di Billboard di quell'anno, la hit Little Jeanie, canzone piacevole, realizzata con la solita cura.
Forse non vale neanche la pena soffermarsi sulle singole canzoni, quello che
conta è il risultato globale, che è veramente valido e soprattutto
"suona" come un vero disco di Elton John, con veri strumenti e veri
musicisti, prima del triste sopravvento di tutta una strumentazione
elettronica, che non è certo adatta a rendere giustizia alla sua musica.
A sorpresa la produzione di Elton con Clive Franks (e probabilmente James
Newton Howard) è riuscita a combinare le canzoni di diversa origine e i
numerosi musicisti impiegati in maniera quasi perfetta, come forse non
avrebbero fatto produttori ben più collaudati.
Riassumendo: un buon disco dove canzoni discrete vengono proposte nella maniera
migliore, un lavoro poco conosciuto che regge benissimo il passare degli anni.
|
The Fox
2007
The Fox è un album del 1981 che non ha mai goduto di
particolare considerazione ed ha avuto vendite abbastanza scarse ma che io
invece continuo ad apprezzare anche a distanza di anni.
Sono consapevole che gli album degli anni 70 sono un’altra cosa, ma The Fox è un
buon prodotto che da l’impressione di essere stato realizzato con divertimento
e voglia di fare, non certo studiato per andare in classifica.
Di sicuro è poco omogeneo, è più una raccolta varia di
canzoni che un album con una certa direzione, ma il risultato è molto onesto e
piacevole.
Anche la produzione è mista, da Chris Thomas allo stesso
Elton insieme a Clive Franks, come pure i musicisti, a testimoniare il fatto
che i brani provengono da varie sessioni combinate forse in modo casuale per
dare luogo ad un album.
Però, come in 21 at 33, Elton è in forma ed abbastanza
ispirato e le canzoni reggono bene lo scorrere degli anni al contrario di molti
album successivi a questo.
I vari brani magari non sono capolavori ma suonano bene,
senza particolari cadute qualitative, con la canzone omonima, che chiude
l’album, che sembra veramente di altri tempi, ottima.
Quello che è più assurdo è il fatto che una raccolta di
canzoni probabilmente messe insieme abbastanza casualmente danno luogo ad un
signor album che acquista valore proprio nella sua interezza, quasi un album
realizzato con degli scarti.
Ad esempio, i due brani strumentali Carla/ Etude (veramente
notevole) e Fanfare probabilmente provengono dal progetto abortito dell’album
strumentale che Elton avrebbe dovuto produrre insieme al suo tastierista
dell’epoca James Newton-Howard.
E Nobody Wins non è altro che la cover in inglese di una canzone francese
che aveva colpito Elton mentre faceva la spesa in un supermercato della Costa
Azzurra, un brano con una base quasi completamente elettronica, ma realizzata
con classe.
Il miglior album di Elton degli anni 80, la dimostrazione
che anche un progetto casuale e sicuramente poco studiato può reggere il tempo
meglio di album molto più blasonati.
Per me rimane un piccolo classico della sua produzione post periodo d'oro, quasi completamente ignorato da pubblico e critica.
|
Breaking Hearts
2012
Breaking Hearts, pubblicato nel 1984, è la diretta prosecuzione di Too Low For Zero,
uscito con buon sucesso giusto un anno prima. Visto
l'esperimento riuscito di rimettere insieme la vecchia band con Johnstone, Olsson e Murray, perchè non riprovare sempre sotto la guida del solito Chris Thomas?
Il risultato non si differenzia troppo dal suo predecessore, un album
discreto, ben prodotto (!) da Thomas, un buon successo e canzoni non
particolarmente memorabili per rimanere impresse nella memoria
collettiva. Di famoso è rimasto il singolo Sad Songs,
che all'epoca girava parecchio sia sulle radio (anche in Italia) e sui
primi canali di clip musicali, visto il video abbastanza riuscito e per
l'epoca innovativo, che Elton ha riproposto in vari tour nel corso
degli anni. I pezzi migliori, a mio giudizio, rimangono la title
track e Burning Buildings,
che si staccano un po' dalla media non proprio trascendentale degli
altri brani, tra i quali, in senso negativo non posso non segnalare
Passengers, Slow Down Georgie e Li'l Frigerator. Per una
volta che Thomas riesce a dare un bel suono abbastanza pulito,
semplice, alla musica di Elton purtroppo le canzoni non sono
all'altezza, diciamo senza infamia e senza lode. Sotto l'aspetto
tecnico invece l'album si differenzia nettamente da Too Low For Zero:
infatti tanto il suono era confuso e con pochissima dinamica nel disco
precedente (mi chiedo ancora che razza di impianto avessero usato per
ottenero un risultato così modesto), Breaking Hearts suona invece in maniera eccellente dando lustro alla versione CD che si stava affermando proprio in quegli anni.
In definitiva è un album di livello discreto che ci mostra un Elton non
particolarmente ispirato sotto l'aspetto compositivo, ma il risultato è
ben curato e all'epoca non sfigurava troppo in mezzo alle produzioni
internazionali di quegli anni.
Curioso il fatto che Elton abbia dato un momentaneo benservito a Chris Thomas
proprio dopo un lavoro come questo dove aveva dato il meglio di sè per
quanto riguarda la produzione. Nessuno si sarebbe mai aspettato
(ed augurato!) quello che sarebbe venuto dopo con il ritorno di Gus Dudgeon in cabina di regia ...
|
The One
2007
Questo album del
1992 è stato senza dubbio un grosso successo mondiale e
soprattutto in Europa per Elton, un ritorno a grandi vendite e a una
buona accoglienza
da parte della critica, erano gli anni di Versace e della (purtroppo)
tastiera Roland al posto del classico pianoforte a coda lunga..
In realtà, secondo me, si tratta di un album con delle discrete canzoni ma
una non adeguata produzione di Chris Thomas che, dopo alcuni buoni lavori negli
anni 80, stava costantemente peggiorando la qualità delle proprie
collaborazioni con Elton.
L’elettronica di bassa qualità regna abbastanza sovrana
rovinando molti dei brani contenuti nell’album, ma al pubblico dell’epoca questo
fatto non sembrò essere così evidente visti i riscontri che si ebbero.
In una discografia fondamentale di Elton non vi sono canzoni
meritevoli di essere particolarmente ricordate: il livello è più che discreto, non ci sono
particolari cadute qualitative, ma non ci sono neanche brani che mi emozionano più di tanto..
La canzone che da il titolo all’album, primo singolo di buon
successo, poteva avere maggior considerazione con un arrangiamento meno mieloso,
ma non è niente più che discreta e il confronto con gran parte della produzione
di Elton è abbastanza impietoso.
I brani che hanno qualche merito in più sono Emily, Sweat It
Out, che riproposta con una strumentazione meno elettronica farebbe sicuramente
una buona figura, e Simple Life che pure ha una certa carica. (non si poteva
almeno qui utilizzare una vera armonica al posto del synt?).
Mi dicono veramente poco le troppo sopravvalutate The North
e The Last Song e il resto sembra un riempimento di discreto livello per portare
l’album a una certa durata.
Secondo me The One è un disco che porta male gli anni che ha,
se aveva un senso all’epoca (e le vendite sembrerebbero dire di si), non lo ha
quasi per niente a distanza di oltre un decennio, e può essere portato ad esempio dei demeriti di Chris Thomas.
E’ il disco simbolo dell’avvento della malefica tastiera
Roland nella carriera di Elton e anche per questo motivo si può tralasciare
insieme alle percussioni elettroniche che riescono ad appesantire il tutto.
Come non ricordare la piattaforma che elevava Elton e la sua
tastiera durante il tour omonimo, uno dei punti più tristi che ricordo delle sue
esibizioni live.
In una discografia
essenziale di Elton non merita per me
alcuna considerazione, troppo artificioso, però rimane il fatto
che continua ad avere una certa considerazione da parte dei fans.
|
Duets
2007
Nel 1993 veniva pubblicato, abbastanza a sorpresa, questo
album di duetti, una formula a quanto pare cara ad Elton che l’ha purtroppo utilizzata
con una certa frequenza nel corso della sua carriera.
L’album non era stato preordinato, ma deciso e assemblato
all’ultimo momento come dichiarato da Elton all’epoca, forse prendendo spunto
dal’omonimo album di Frank Sinatra uscito quasi in contemporanea.
I fans in generale non amano molto questo disco che rimane
sempre in secondo piano nella discografia, ma in realtà, visto il tipo di
prodotto, il risultato non è poi così mediocre come come si ritiene.
Il problema principale è nella discontinuità del progetto
che, seppur coordinato da Greg Penny, non è sicuramente molto omogeneo,
abbinato alla scelta di alcune canzoni non particolarmente entusiasmanti.
Il peggio lo abbiamo sicuramente con i due singoli tratti
dall’album.
Il primo, veramente trascurabile, è una versione
particolarmente sdolcinata e soporifera
della canzone True Love di Cole Porter (dalla colonna sonora dl film Alta
Società), in duetto con Kiki Dee, anche lei coinvolta nel progetto.
Altro brano sicuramente da dimenticare, a parte il video molto divertente, è
la versione disco di Don’t Go Breaking My Heart (con i vari remix) cantata con
la drag queen Ru Paul, portata purtroppo anche al festival di San Remo.
Tra le cose migliori troviamo invece soprattutto Teardrops,
bellissimo classico in coppia con la cantante canadese K.D. Lang, portata da
Greg Penny che aveva prodotto il suo ottimo Ingenue, A Woman’s Needs con la
stella del country Tammy Winette ( a mio avviso sarebbe stato un ottimo singolo
per gli USA) e Ain’t Nothing Like The
Real Thing con Marcella Detroit, presente anche nell’album di quest’ultima e
lanciato come suo singolo.
Infine una menzione per The Power, inedito John/Taupin con
Little Richard e per il brano finale, che duetto non è, Duets For One.
In definitiva un album senza infamia e senza lode, da un
disco di duetti non si può pretendere molto di più.
|
Aida
2008
Come premessa dovrei dire che se
quest'album non fosse presente nella discografia ufficiale di Elton John, non meriterebbe di perderci
dietro troppo tempo per parlarne.
Il fatto che sia stato pubblicato
anticipatamente, ben prima dell'arrivo del musical sulle scene, ha contribuito
poi a renderlo un flop anche in termini di vendite e di classifiche.
Le canzoni, pop di facile ascolto
realizzato con il collaudato Tim Rice, per l'omonimo musical, vengono qui
interpretate insieme a star di media, piccola e piccolissima grandezza che
sembrano chiamate a raccolta solo per rendere più appetibile, senza troppi risultati, il disco a diverse
generazioni di possibili acquirenti.
I singoli brani, pur con qualche
spunto positivo, non meritano neppure di essere citati insieme ai loro interpreti,
si può accennare solo al soporifero e bruttino singolo Written In The Stars in
duetto con la giovane Lee Ann Rimes (in auge allora negli States e da noi
praticamente sconosciuta) che ha avuto un tiepido successo di programmazione.
La colonna sonora del musical,
pubblicata circa un anno più tardi dal cast che era in scena a Broadway, pur
con tutti i suoi limiti, è indubbiamente su un altro livello, ma questo album,
che risulta ufficialmente nella sua discografia, Elton avrebbe fatto meglio ad
evitarlo.
Sicuramente un disco da tralasciare,
collezionisti incalliti esclusi, sicuramente uno dei punti più bassi della sua produzione
discografica.
Sorte diversa ha avuto il musical
che, pur senza bissare i fasti di The Lion King (scritto sempre in coppia con
Tim Rice) ha avuto un buon riscontro sia con l'iniziale versione americana di
Broadway, rimasta in scena circa cinque anni, sia con le successive produzioni
nelle diverse lingue.
Dell'album è circolata anche una versione dei demo eseguiti da
Elton al piano con un accompagnamento elettronico che ha riscosso un
certo gradimento da parte dei fans ma, a mio parere, le canzoni
rimangono sempre abbastanza insignificanti, giustificate in parte solo
dal fatto di essere destinate ad un musical.
|
One Night Only
2010
One Night Only, la tristezza
Sono incappato in questa pagina e mi sono detto "perchè non scrivo anche io quattro righe su questo disco?"
Non è propriamente una recensione, ma sono alcune considerazioni
su un album che secondo me era meglio che non vedesse mai la luce, per
rispetto di quello che Elton ha saputo esprimere nei suoi concerti dal
vivo.
Avendo visto, nel corso degli ultimi 30 anni, parecchi concerti di
Elton, questo album, che non riesco neanche a riascoltare mi ispira
solo un'enorme tristezza, perchè non rappresenta neanche
minimamente la sua grandezza dal vivo.
Già con il titolo (One Night Only) si parte con il piede
sbagliato visto che i concerti del Madison Square Garden di New York
dal quale è tratto l'album sono due, percui non ha alcun senso;
sarà un particolare irrilevante, ma da l'idea
dell'approssimazione con la quale si è voluto far uscire questo
disco.
Sul palco c'è un'ammucchiata di musicisti che si sovrappongono senza alcuna motivazione, che senso ha tutto ciò?
Una scaletta di soli greatest hits per accontentare il pubblico
più ordinario, infarcita con duetti che nella maggior parte dei
casi sarebbe meglio dimenticare; tra l'altro, quello più
meritevole insieme a Billy Joel, è stato bellamente escluso e lo
possiamo trovare unicamente nelle innumerevoli versioni su DVD arrivate
sul mercato.
Questo album non merita altri commenti, meglio lasciarlo cadere nell'oblio.
Elton, con tutti i suoi difetti, dal vivo rimane un'altra cosa e, tra
l'altro, perchè non ascoltarsi invece un disco splendido come
17/11/70 invece di questo pastrocchio?
|
Songs From The West Coast
2011
Dopo anni bui,
discograficamente parlando,
finalmente il nuovo disco di Elton SONGS FROM THE WEST COAST
è forse
il prodotto che attendevo ormai da anni, e stavo ormai quasi perdendo
la
speranza!
Devo dire, che dopo l’ascolto delle
prime 6 canzoni comparse un paio di mesi fa su un promo, ero abbastanza
deluso; una sola spiccava, Ballad Of The Boy In The Red Shoes, le altre
(Original Sin, Dark Diamond, This Train, Love Her Like Me, I Want Love)
erano carine, ma nulla più.
Ma le rimanenti canzoni mi hanno fanno
ribaltare completamente il giudizio, sembrano arrivare da un altro
pianeta!
Pat Leonard, che già aveva mostrato
le sue indubbie qualità di produttore in Eldorado, ha fatto
il miracolo
ed è riuscito ad estrarre da Elton sicuramente tutta la sua
potenzialità
attuale, bandendo quasi totalmente l’elettronica e agendo con
suoni semplici
e puliti.
Erano almeno una quindicina d’anni
che Elton non realizzava un disco di questo livello e lui stesso, in
una
recente intervista ha finalmente ammesso che gli album degli anni 90
sicuramente
non hanno raggiunto uno standard qualitativo soddisfacente.
Anni di canzoni banali, spesso troppo
melassate, e una produzione, quella di Chris Thomas, infarcita di
sintetizzatori
e suoni artificiosi, che riusciva a distruggere anche i pezzi
più
validi.
Solo il Gus Dudgeon di Leather Jackets
e Ice On Fire era riuscito a fare di peggio.
Suoni probabilmente in linea con le
tendenze musicali del tempo, ma è un dato di fatto che il
livello
qualitativo del pop rock è costantemente in discesa, ormai
tutto
è stato già fatto e rifatto e, non per niente,
chi riesce
ancora dire qualche cosa di interessante, spesso si ricollega al
passato
remoto (anni 60 e 70).
Ed Elton stesso ha sempre dimostrato
di saper dare il peggio di sè quando ha cercato di inseguire
le
tendenze e le mode del momento, facendo l’errore di
dimenticare cosa era
stato negli anni 70, quando aveva saputo imporre la sua
genialità
al di fuori di tutti i filoni e le correnti.
Finalmente, questa è la mia
impressione, ha trovato un produttore di polso, lui stesso pianista e
tastierista,
che sapeva esattamente cosa voleva da Elton e che ha saputo imporsi in
sala di registrazione.
Grande merito anche il ritorno di Paul
Buckmaster, in cinque brani, e soprattutto di Nigel Olsson alla
batteria,
che ha ridato alle canzoni un sound tipico.
Il povero Nigel, dopo il richiamo sul
palco nel 2000, è ritornato dopo lungo tempo anche su disco;
erano
anni che aspettava la chiamata (probabilmente avrebbe lavorato anche
gratis
per essere di nuovo con Elton!) e il suo modo di suonare la batteria
è
uno di marchi di fabbrica degli anni d'oro.
EMPEROR
NEW CLOTHES, incentrata sugli inizi del duo
John Taupin,
con il suo inizio piano e voce, è fantastica, sembra di
ritornare
a Tumbleweed ed anche il proseguo con l’entrata del basso e
della batteria
è assolutamente perfetto: la dimostrazione di come va
prodotto Elton,
con semplicità e senza fronzoli. Vai avanti
così!!!
DARK
DIAMOND, dalle cadenze reggae, è
un po’ fuori atmosfera
con il resto dell’album, è carina e si ricorda
soprattutto per gli
assoli di armonica inconfondibili di Stevie Wonder.
LOOK
MA, NO HANDS è un altro grande
pezzo, bello per la
sua semplicità e fluidità, una canzone fresca
come non ne
scriveva da tempo; questo è il filone da seguire per
realizzare
un album da ricordare.
AMERICAN
TRIANGLE, dedicata alla morte violenta del
giovane gay Matthew
Shepard, inizialmente l'ho trovata troppo rilassata, apparentemente
senza
grinta; ma con il passare degli ascolti si rivela un grandissimo brano,
che personalmente mi provoca una tristezza incredibile.
Una dimostrazione di come, sotto la
guida di Leonard, Elton può realizzare dei pezzi lenti di
grande
livello senza scadere nel risaputo e nella melassa, cosa che in questi
anni ci eravamo quasi dimenticati, a parte la grandissima Believe,
contenuta
in Made In England, album che prometteva grandi aspettative, ma che mi
ha subito deluso dopo pochi ascolti.
ORIGINAL
SIN, testo interessante, ma la melodia
è per i miei
gusti troppo sdolcinata, indirizzata a chi in concerto va in estasi per
Nikita e soprattutto Sacrifice, che non per niente io
detesto!
A moltissimi fan piace moltissimo e anche Elton stesso pare la pensi
allo
stesso modo, ma secondo me proprio qui emergono parte delle pecche
delle
ultime produzioni.
BIRDS,
un altro grande pezzo che riporta indietro all’Elton del
secondo periodo,
nei primi anni ’70, si sente però nel sound la
mancanza di Nigel
alla batteria. Questa è
un’altra vera e caratteristica
canzone di Elton, non i solito prodotti buttati li probabilmente senza
troppo convinzione.
BALLAD
OF THE BOY IN THE RED SHOES, canzone che
tratta ancora il
tema dell’AIDS, ci riporta indietro, come suoni ed atmosfere,
al periodo
di Madman.
Ritroviamo gli archi di Paul Buckmaster,
che è sempre il miglior arrangiatore orchestrale ad operare
nel
mondo del rock e probabilmente avrebbe avuto maggior considerazione se
il suo nome non fosse stato legato al periodo d’oro di Elton.
Bellissima canzone che forse meritava
uno sviluppo temporale maggiore, con un finale più epico.
I
WANT LOVE, il primo singolo, abbastanza
carina, ha un solo
grosso difetto: sembra una produzione di John Lennon, al limite del
plagio;
anche nell’arrangiamento l’intento è
sicuramente quello e non riesco
francamente a capire il perché di questa scelta per niente
originale.
THE
WASTELAND, un rock potente come ormai ce
l’eravamo scordato,
con il grande Billy Preston all’organo, perfetta nel suo
genere; io avrei
solo dato ancora più spazio al piano, per un assolo
più prolungato
ed incisivo, ma è un grande pezzo.
LOVE
HER LIKE ME, carina ben realizzata, richiama
lo Springsteen
di Tunnel Of Love; non aggiunge niente all’album, ma si
lascia ascoltare
con piacere.
MANSFIELD,
una delle tante canzoni in cui Bernie parla dei suoi guai matrimoniali,
ad un primissimo ascolto mi aveva lasciato perplesso, ma ora la
considero
uno dei brani migliori dell’album. Dopo un inizio
un pochino lezioso
diventa bellissima con il gran finale orchestrale di Buckmaster, anche
qui assolutamente perfetto; una canzone che da sola giustifica
l’acquisto
di tutto il CD a mio parere!
THIS
TRAIN DON’T STOP HERE ANYMORE
è un lento che inizialmente sembra un po’ scontato e
che richiama in un paio di passaggi Sweet Painted Lady; è però un
buon
pezzo, che acquista spessore con il passare del tempo.
Le manca qualche cosa per essere una grande canzone, come se Elton non si fosse impegnato più di tanto.
In definitiva il ritorno!
E’ andato ad un passo dal realizzare
un grandissimo album, mancava veramente poco, ma queste potrebbero
essere
le premesse per un ritorno a fasti ormai dimenticati.
E’ la dimostrazione che anche in studio
(dal vivo non ho mai avuto dubbi), dopo anni di oblio poteva ritornare
a realizzare dei grandi prodotti; era già successo ad altri
dinosauri
del rock (esempio per tutti Lou Reed) di riuscire a cancellare anni di
album mediocri o assolutamente insignificanti con una nuova vena di
ispirazione.
Speriamo solo che la pianti di parlare
alla stampa di tante cazzate sulla sua vita privata e non, e si
concentri
di più sulla musica, solo così potrà
sperare di avere
più considerazione dalla critica musicale.
Grazie Pat Leonard, nessuno mi toglie
dalla testa che è lui l’artefice di questa
rinascita discografica
di Elton!
Infine se devo dare una valutazione
gli assegno (come i veri critici!) le stellette: 4 su una scala da 1 a
5
|
Peachtree Road
2003
ELTON GOES COUNTRY
Cosa dire di Peachtree Road, il nuovo
album di Elton, tre anni dopo il grande ritorno discografico con Songs
From The West Coast?
Le premesse, come per il precedente album,
non erano state molto incoraggianti, sembra infatti che Elton si diverta
ad anticipare le canzoni peggiori e a sceglierle come singoli.
Aveva anticipato Freaks In Love, melodrammatica
e insipida canzone, ai concerti con orchestra di New York, aveva scelto
Answer In The Sky come singolo radiofonico per gli Usa, altro brano risaputo
e abbastanza banale.
E soprattutto come singolo mondiale era
stata estratta All That I'm Allowed, canzoncina veramente insulsa, un affronto
per i vecchi fans di Elton come me, cui unico pregio è quello di
entrare in testa dopo il primo ascolto.
E invece si è quasi ripetuto il
miracolo di SFTWC, da non credere, Elton è ritornato ad essere un
grande in sala d'incisione, anche senza l'ausilio di Pat Leonard, che lo
aveva prodotto così bene negli ultimi album.
Si è autoprodotto e, incredibile,
i risultati sono stati ottimi, anche con i pezzi meno riusciti, suoni classici,
pochissima elettronica, atmosfere southern, un disco che fino a poco tempo
fa non avremmo neanche lontanamente sperato di ascoltare.
Un album del genere, se realizzato con
l'ispirazione dei tempi migliori, sarebbe risultato sicuramente un capolavoro,
purtroppo gli anni sono passati e non si può pretendere che Elton
sia al top come negli anni 70, ma il risultato è sicuramente apprezzabile.
Quello che temevo fosse un album molto
commerciale, come lo è All That I'm Allowed, è invece un
album poco commerciale che temo venderà pochino, perchè questo
genere di musica non va molto d'accordo con le classifiche.
Le intenzioni, come la produzione, sono
ottime, peccato che Elton non abbia avuto il coraggio di mettere da parte
i pezzi più scontati così da realizzare un album più
omogeneo, più orientato al country o, se preferite, a suoni southern.
Una mancanza generale che trovo sia un
po' di grinta nell'esecuzione di tutti i brani, mentre i brani migliori
richiamano senza dubbio atmosfere dei primi album.
Riguardo alla produzione, ottima, l'unica
cosa che personalmente non condivido è il relativamente poco piano
presente nel disco, è quasi sempre utilizzato come comprimario,
non come in alcuni brani di SFTWC dove emergeva prepotentemente.
Il punto debole del disco, a parte quelle
poche canzoni di livello nettamente inferiore, è purtroppo l'ispirazione
le canzoni:
WEIGHT OF THE WORLD
8,5
Grandioso inizio, sembra di tornare indietro
di 30 anni, alle atmosfere dei primi album, poi scade un po' nel melenso,
manca di grinta, ma è un ottima canzone.
PORCH SWING IN TUPELO
7,5
Anche qui sembra una canzone dei tempi
migliori, quasi un brano da Tumbleweed, ma manca l'estro dei tempi andati
purtroppo.
ANSWER IN THE SKY
6,5
Un brano come potrebbe scriverne 1000,
carino, ma molto scontato, mi richiama un qualche cosa di ,non è
in linea con lo standard dell'album, alla faccia di Rolling Stone USA che
la considera uno dei top dell'album
TURN THE LIGHTS OUT WHEN YOU LEAVE
7
Dichiaratamente country, senza mezzi termini,
un buon brano senza pregi particolari.
MY ELUSIVE DRUG 8,0
Forse la migliore dell'album, anche se
richiama in alcuni passaggi I've Seen That Movie Too (che la surclassa);
ha ripetto al resto dell'album più energia, ottima canzone, ma non
memorabile.
THEY CALL HER THE CAT
7,0
Rock'n'roll di altri tempi, molto ben
arrangiato, con fiati alla Honky Chateau, anche qui poteva dare più
spazio al piano che invece è sovrastato dagli altri strumenti.
FREAKS OF LOVE 6,0
Altro punto debole dell'album, sembra
una filastrocca blueseggiante, non è brutta, ma abbastanza pallosa.
ALL THAT I'M ALLOWED
5
Canzoncina insulsa scelta anche come singolo,
purtroppo resta in testa dopo pochi ascolti; Peachtree Road non meritava
di contenere una cosa del genere.
I STOP AND BREATHE
7,5
Altra bella canzone, con molti rimandi
al passatto, che, scritta in altri tempi, avrebbe potuto essere indimenticabile,
invece è solo una bella canzone.
TOO MANY TEARS 7
Dopo un intro con il piano alla Where
To Now St. Peter, e le prime strofe cade in un ritornello banale, peccato
perchè aveva la potenzialità di essere un grandissimo brano.
IT'S GETTING DARK IN HERE
8,0
Contrariamente alla precedente dopo un
inizio fiacco dimostra di essere uno dei punti di forza dell'album, grande
ritornello che richiama ancora ai grandi inizi e grandi cori; manca della
solita grinta e un po' di cattiveria, ma è una canzona che cresce
dopo ogni ascolto.
I CAN'T KEEP THIS FROM YOU
7
Canzone carina, ma noiosetta, che però
si inserisce bene nel contesto dell'album, buona.
Considerazioni finali:
Peachtree Road lo trovo un gradino sotto
l'ottimo Songs From The West Coast, dove alcune canzoni (Emperor, Look
Ma, Mansfield) erano veramente ispirate e avevano una marcia in più,
ma è un grande album che l'Elton di alcuni anni fa non sapeva più
realizzare.
Forse piacerà poco a chi ha conosciuto
Elton con gli anni 80 e 90, ma sarà sicuramente apprezzato dai fan
dei 70 che trovano atmosfere e suoni che Elton stava dimenticando.
Ancora non credo che Elton si sia autoprodotto
con questi risultati, se è veramente tutta opera sua perchè
si è lasciato guidare in anni passati da produttori che hanno contribuito
a distruggere i suoi dischi?
Deve essere vero quello che gli ha detto
Pat Leonard. "Non devi cercare di essere qualcun altro quando sei in
sala di incisione, devi essere e suonare come Elton John"
Poteva essere ottimo, ma rimane un grande
disco.
voto complessivo 7,0 - 7,5
RECENSIONE PARTE SECONDA
Sono passati alcuni giorni e parecchi ascolti,
ma il mio giudizio sull'album rimane sostanzialmente lo stesso.
Mancano magari altre considerazioni che
ho tralasciato nella prima parte.
Non ho assolutamente fatto alcun accenno
ai musicisti, che sono poi la sua band attuale, questo perchè mi
sembrano assolutamente irrilevanti riguardo a questo album, non perchè
non suonino molto bene, ma perchè, alla pari del piano di elton,
anche gli altri strumenti non emergono in modo particolare. Non è
una critica negativa, è solo una considerazione, non riuscirei a
riconoscere neanche Nigel se non sapessi che è lui.
La cosa più deludente secondo me
dell'album è l'artwork e il booklet, la copertina la trovo assolutamente
anonima e poco significativa, il booklet è molto scarno ed essenziale,
veramente assurdo che manchino i testi delle canzoni, non ci sono giustificazioni
al riguardo.
Tutto l'insieme risulta non all'altezza
del contenuto musicale.
Considerazione finale riguardo a Peachtree
Road.
Pur con i difetti e le cadute che si ritrova,
Peachtree è il tipo di disco che i vecchi fan di Elton hanno sempre
aspettato (SFTWC a parte) da tanti anni a questa parte, un album realizzato
non per vendere, non per essere in sintonia con le tendenze attuali, ma
per dimostrare di essere ancora il vero Elton John musicista.
E non per questo suona vecchio, anzi,
è solo un po' carente di ispirazione, ma non si può avere
tutto!
Ci sono un po' troppi rimandi a grandi
canzoni del passato che riemergono da ogni angolo per poi sparire improvvisamente
e ritrasformarsi in altri rimandi, probabilmente Elton prima di comporre
ha dato una ripassata alla sua prima produzione per andare sul sicuro.
Gli insoddisfatti probabilmente non ci
sarebbero stati, se nel 2001 non fosse uscito SFTWC, grande album dopo
anni di uscite insoddisfacenti, è il confronto con quest'ultimo
che ha fatto rimanere una certa percentuale di fans delusi da questo lavoro.
Personalmente farei la firma per avere
nei prossimi anni ancora una decina di album di questo genere da parte
di Elton.
Non lo definisco di certo bellissimo,
ma è un album gradevole, di un certo livello, magari un po' soporifero
e un tantino palloso, ma da Elton dopo tutti questi anni di carriera ci
si può, anzi, ci si deve accontentare di prodotti come Peachtree
che riescono a differenziarsi dalla pessima musica che ci viene propinata
ogni giorno dalle radio e dalle tv.
Avrebbe giovato l'inserimento dei tre
B sides (So Sad The Renegade, A Little Peace e Keep It A Mystery) che senza
essere capolavori sono nettamente meglio di Answer, Freaks e soprattutto
di Allowed, ma va bene anche così.
Ai non fans, un ascolto superficiale del
disco potrebbe risultare relativamente noioso, perchè non è
un album propriamente commerciale e deve essere valutato con calma e predisposizione
a questo tipo di canzoni.
Ma dopo un po' di ascolti la noia potrebbe
purtroppo subentrare anche ai fans!
L'importante è che adesso non rovini
l'atmosfera creata con qualche abominevole duetto, tipo quello con i Blue
tanto per intenderci, nell'attesa del prossimo atto che dovrebbe essere
il Billy Elliot da portare in scena a Londra verso maggio.
Ma i fans sono voraci, hanno già
divorato e digerito Peachtree, un album vero e proprio è un'altra
cosa e chissà quanto ci toccherà aspettare per rivivere un'altra
attesa così.
|
The Captain And The Kid
2006
Ed eccomi a commentare l’ennesimo
album di Elton!
Diciamo che le premesse non
erano molto positive.
E’ vero che veniamo da due
album validi come Peachtree Road e soprattutto Songs From The West Coast, ma
solo pochi mesi fa c’era stata la mia enorme delusione per Lestat, il primo
musical scritto con Bernie, con canzoni poco ispirate, banali e quasi
inascoltabili.
Poi, il progetto del nuovo
album partiva, secondo me, con il piede sbagliato, nasceva infatti da un idea
di Merck Mercuriadis, manager della Sanctuary, era quindi un disco fatto su
commissione, come poteva essere ispirato?
Ultima considerazione
negativa, Elton dichiarava che voleva autoprodursi come in Peachtree, buon
disco che aveva probabilmente il suo tallone di Achille proprio nell’assenza di
un produttore di rango, con buone canzoni che alla lunga risultavano tediose.
E invece in questo momento
sto ascoltando un bellissimo disco, che surclassa probabilmente tutta la
produzione post anni ’70, SFTWC compreso.
Cosa è successo al duo
John/Taupin?
Come è possibile che dopo
tanti anni di alti e bassi gli ultimi tre album di studio siano ridiventati
degli ottimi dischi che reggono benissimo il passo degli anni e delle mode?
Forse la consapevolezza che le cime delle classifiche sono ormai decisamente difficili da raggiungere e che
quindi vale la pena di fare album di spessore e di qualità per dimostrare che
il vero Elton non è quello di canzoni come Nikita o Sacrifice, o peggio ancora
quello del Re Leone, indirizzato a un pubblico di bambinetti.
Se si
voleva veramente fare
un seguito al grande Captain Fantastic senza perdere la faccia almeno
con i
fans (con la critica la reputazione se l’era già giocata),
bisognava tornare a
comporre come una volta, magari in pochi giorni come ai tempi
d’oro, senza tanti ripensamenti e sovraproduzioni spesso
deleterie.
Lasciando perdere mode,
tendenze, ospiti famosi, elettronica a go-go e tutto quello che, nel caso di
Elton, serviva solo ad appesantire e a rendere mediocri molte canzoni.
Bastava solo ricordarsi di
essere uno dei più grandi compositori dell’epopea d’oro del pop rock e avere un
Bernie Taupin in forma come ai bei tempi, con testi veramente efficaci che,
parlando delle loro esperienze negli ultimi 30 anni, tralasciano stavolta le
spesso ritrite canzoncine d’amore degli ultimi anni, buone per far venire il latte alle ginocchia.
E’ vero che il marchio di
fabbrica di Elton per il grande pubblico è Your Song, ma quello che preferisco
è invece il compositore di canzoni come Ticking, Talking Old Soldiers e Have
Mercy The Criminal, tanto per citarne alcune, dove l’amore si defila per dare
spazio a storie più crude e drammatiche.
In Captain And The Kid, come
è risaputo, i nuovi testi di Bernie parlano come nel primo Captain, di loro
due, dell’arrivo negli Usa, dei successi e degli insuccessi, dei periodi
scintillanti e di quelli bui, degli anni che passano, degli amici che spariscono.
E francamente il disco è un
grande album, come quasi nessuno compreso il sottoscritto si aspettava, con
canzoni mai banali o risapute, con arrangiamenti abbastanza essenziali e mai
pesanti (complimenti alla produzione di Elton e Matt Still, promosso a
produttore dopo Peachtree), ispirate, che ci fanno ricordare il perché siamo diventati
suoi fans.
Manca anche la melassa di
certe canzoncine, altro punto debole del nostro eroe in anni recenti e passati,
canzoncine che facevano sempre capolino in quasi tutti i lavori e, che
purtroppo (per me!) indirizzavano Elton verso un altro tipo di pubblico.
Ma io voglio credere che
Elton si sia ricordato di quello che è stato (e che non gli viene quasi mai riconosciuto) e di dischi meravigliosi come
Madman, Tumbleweed e voglia scrollarsi di dosso almeno nei suoi album ufficiali
l’immagine ormai compromessa da improbabili duetti e collaborazioni, da cartoni
animati e altre amenità del genere.
Colui che aveva scritto e
interpretato canzoni come Talking Old Soldiers non poteva finire per essere
ricordato per i duetti con i Blue, per il Re Leone o per Sacrifice.
So che con queste
dichiarazione mi inimicherò molti dei fans più giovani, ma è quello che penso
e, se mi piacevano certi tipi di canzoncine smielate non avrei certo rivolto la
mia passione verso Elton.
Le canzoni sono tutte di un
buonissimo livello, la più debole e banale (si fa per dire) è naturalmente
quella scelta come singolo, The Bridge che, nonostante la strumentazione molto
semplice indulge un po’ al risaputo.
A mio parere, non ci sono
canzoni memorabili che diventeranno dei classici o particolarmente orecchiabili,
ma l’insieme dell’album è superbo, senza cadute di tono, come è giusto che sia
nel caso di un album concept come questo.
Però la fortuna di una
determinata canzone è legata a tanti fattori e magari sarò smentito
clamorosamente e alcune diventeranno degli hit senza tempo.
Difficile scegliere la
migliore.
Molto belle sono la
malinconica Blues Never Fade Away sui troppi amici persi nel corso degli anni,
Old ’67 con reminiscenze in stile Tumbleweed, Postcards From Richard Nixon con
un piano preminente che racconta le prime esperienze americane, Wouldn’t Have
You Any Other Way (NYC), ennesimo atto d’amore verso New York, la veloce … And The House Fell Down, dal ritmo
veramente accattivante, sul periodo buio della droga.
E, dulcis in fondo, la
canzone che chiude il cerchio, Captain And The Kid, che si apre proprio sulle
note della prima Captain Fantastic per tirare un bilancio su oltre trent’anni
di storia di due persone che incredibilmente, con stili di vita completamente
diversi, sono riusciti a tenere in piedi una collaborazione così gloriosa e
inusuale.
Elton senza Bernie
probabilmente non sarebbe mai arrivato alla fama e al successo, e questo disco
ne è un’altra dimostrazione, con un Bernie in stato di grazia anche la musica è
ritornata a livelli impensati.
I classici degli anni 70
probabilmente sono un’altra cosa, ma Captain And The Kid è un grande album e un vero disco di Elton John, che
sicuramente verrà apprezzato da chi, come me, conosce Elton da tanti anni, e
magari dispiacerà un po’ ai fans più giovani che hanno conosciuto un altro
musicista.
Un album insperato,
impensabile fino a pochi anni fa, probabilmente non venderà, ma chi se frega,
godiamocelo prima che Elton ricominci con un duetto con l’ultima boy band in
circolazione e con una scaletta live indirizzata a un pubblico che si scioglie
alle prime note di Nikita o di Blue Eyes.
Eccellente o 4 stelle (perché
5 le do a Madman e a Tumbleweed!)
|
The Union
2010
a dream come true ...
Si,
un sogno è diventato realtà, quando nessuno, e io per primo, si
aspettava più un disco del genere, Elton è ritornato con un grande
album.
E un un debutto al terzo posto Billboard, trentaquattro anno dopo Blue Moves ...
E tante recensioni positive come mai è successo in passato, veramente da non credere.
The
Union è stata una sorpresa praticamente per tutti, un omaggio sincero
al coprotagonista dell'album, Leon Russell, ispiratore del primissimo
Elton John alla fine degli anni 60, prodotto magistralmente da T Bone
Burnett, che ha anche portato nel progetto il suo fidato team di
musicisti di altissimo livello, a partire dal chitarrista Marc Ribot.
In
questo album dai suoni prettamente americani, come lo fu per altri
versi Tumbleweed Connection quarant'anni fa, le singole canzoni sono sì
molto buone, ma è l'insieme del progetto ad avere un surplus che lo
porta ad essere sicuramente il miglior disco di Elton a partire dagli
anni 70, il suo periodo d'oro.
Gli arrangiamenti molto elaborati di
Burnett, con il bando assoluto per ogni genere di elettronica,
conferiscono un suono senza tempo, che spazia dal country, al gospel, al
rock e alle ballate, senza però richiamare nessun altro album di Elton
in particolare; il progetto riporta alla mente dischi come Tumblewweed
Connection e Madman Across The Water, per l'utilizzo di strumenti
tradizionali, grandi musicisti e un fantastico coro gospel che in alcune
canzoni è veramente entusiasmante, ma qui non troviamo i maestosi
arrangiamenti orchestrali alla Paul Buckmaster che avevano
caratterizzato quelle produzioni.
Ma anche il paragone con
Tumbleweed, nonostante molte attinenze non regge troppo, la stessa Gone
To Shiloh, splendida, il cui testo riporta direttamente al capolavoro
del 1970, musicalmente si distacca abbastanza nettamente dalle canzoni
di allora.
La caratteristica particolare è senza dubbio la
collaborazione con Leon Russell, il cui piano si intreccia con quello di
Elton in maniera quasi perfetta.
L'album è dichiaratamente un atto
di amore e riconoscenza di Elton nei confronti di Leon, ingiustamente
dimenticato negli ultimi anni dal grande pubblico.
E Leon si è
integrato magnificamente in questo progetto, soprattutto nei brani da
lui composti come Hearts Have Turned to Stone che dal vivo rende
magnificamente con i musicisti che hanno suonato nell'album.
E' un
lavoro che, apparentemente, a un primo ascolto frettoloso può risultare
in parte quasi deludente perchè il suono che Burnett ha creato non è
fatto per stupire immediatamente, ma ad ogni successiva fruizione
cattura inesorabilmente sempre di più, e anche canzoni apparentemente
più banali, come The Best Part Of The Day, rendono al meglio.
La
produzione di Burnett mi sembra che non voglia porre in evidenza i
singoli strumenti (anche i pianoforti di Elton e Russell non sono sempre
in primo piano), ma piuttosto creare un impasto in cui tutto si mescola
meravigliosamente, un po' quello che faceva nel suo campo Phil Spector
con il suo famoso wall of sound con il quale creava un suono unico e
quasi irripetibile.
Sono convinto che il valore di The Union rimarrà
nel tempo e verrà sempre ricordato come il ritorno di Elton ai fasti del
suo periodo d'oro, giusto epilogo di un decennio che aveva già visto
un'inversione di tendenza con tre ottimi album come Songs From The West
Coast, Peachtree Road e The Captain And The Kid.
Intendiamoci, io non
gli do le 5 stelle che gli ha attribuito Rolling Stone Usa, perchè le
canzoni non sono, al livello di Tumbleweed o Madman, ma la straordinaria
produzione di Burnett lo rende un grande album che occupa una
produzione di rilievo nella discografia di Elton, e lo fa giganteggiare
nel desolante panorama musicale odierno.
Probabilmente il suo
difetto, soprattutto per una parte dei fans, è che suona poco come un
"classico" disco di Elton John, non è per niente pop ed è lontano anni
luce dalla sua produzione degli anni 80 e 90, ma è altrettanto vero che
sicuramente tanta gente che non lo considerava più si riavvicinerà
finalmente alla sua musica.
voto 8, 5
canzoni preferite: Gone To Shiloh, Hey Ahab e Hearts Have Turned To Stone
punti
deboli: non ci sono punti deboli, la stessa The Best Part Of The Day
che musicalmente è un po' scontata, qui fa un'ottima figura (pensatela
prodotta da Chris Thomas e inserita in The Big Picture ...)
e pure le
due bonus tracks, Mandalay Again e My Kind Of Hell sono ottime,
percui l'album va ascoltato nella sua interezza, come lo si può trovare
nella Deluxe edition.
|
Gnomeo & Juliet
2011
Che dire di Gnomeo & Juliet,
colonna sonora dell'omonimo (e bruttino) film di animazione sui nani da
giardino, pubblicato nel 2011 dopo una gestazione che sembrava infinita?
E' stata sicuramente studiata per rendere omaggio ad Elton, infatti la vecchia conoscenza James Newton Howard
(storico tastierista negli anni 70/80 della Elton John band) ha
inframmezzato lo score del film di rimandi a tanti successi del passato
e lo ha fatto anche molto bene.
Infatti l'aspetto che ho più apprezzato durante la visione di questo
film abbastanza noioso e non all'altezza degli altri prodotti del
genere degli ultimi anni è stato il lavoro di Newton Howard che ha punteggiato le varie scene con tanti rimandi alla discografia eltoniana.
Però se prendiamo la colonna sonora a sè stante, il risultato è abbastanza misero.
Inseriti alcuni classici reperibili ormai su qualsiasi raccolta (Your Song, Saturday Night's Alright, Don't Go Breaking My Heart, Rocket Man, Bennie And The Jets e Tiny Dancer) le cose più interessanti sono solo i pezzi strumentali di Newton Howard che ormai è diventato un maestro nello scrivere musica da film.
Troviamo poi una terrificante versione di Crocodile Rock in coppia con la povera Nelly Furtado, quasi inascoltabile tanto è brutta.
E dulcis in fondo i due pezzi inediti, scritti appositamente per il film, Hello Hello, canzoncina piacevole (ma nulla più) che nel film risulta in duetto con Lady Gaga, ma sul disco viene cantata dal solo Elton (problemi di copyright?) e la tediosa Love Builds A Garden.
In definitiva è un album che segue la sorte della maggior parte delle
colonne sonore che, abbinate al film hanno una certa validità, ma
ascoltate come prodotto autonomo perdono qualsiasi attrattiva.
Anche perchè con gli inediti non siamo certo al livello di Friends ...
Il film ha avuto un buon successo negli Stati Uniti e praticamente
quasi nullo negli altri paesi e anche la colonna sonora ha avuto
pochissimi riscontri di vendita praticamente ovunque.
|
© badsideofthemoon
|
|