le recensioni di
The Bridge (19)
Caribou
2011
Recensire Caribou contemporaneamente a 21 at 33... ecco quello che sto
provando a fare. E' incredibile come l'ascolto contemporaneo di due
prodotti tutto sommato non così distanti cronologicamente dia risultati
così antitetici. Eppure Caribou è uno degli album eltoniani meno
incisivi degli anni '70, quello più volte criticato. Ma paragonato
all'insipido album del 1980, questo prodotto datato 1974 è un vero
capolavoro. Non gli manca niente, né il singolo tormentone (Don't let
the sun...), né il pezzo impegnato (Ticking), né qualche audace
sperimentazione. Tutto funziona, anche se il meccanismo perfetto del
precedente GYBR (il capolavoro di Elton, nel suo genere) non viene
eguagliato. Ma questo Caribou è il primo disco "americano" di Elton,
quindi una cesura, seppur piccola, doveva pur esserci col più blasonato
(e riuscito) lavoro precedente. Elton è al massimo della tensione
psico-fisica, della fatica, quasi al limite dell'esaurimento: eppure
realizza un album controverso ma notevole. Il fatto che subito dopo
avrebbe realizzato un prodotto superiore (Captain Fantastic) non deve
inficiarne il giudizio... un ottimo lavoro.
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Rock Of The Westies
2012
Rock of the westies rimane, a mio parere, il peggior lavoro di Elton
degli anni 70. E dire che ho provato a farmelo piacere in tutti i modi
possibili: non c'è stato niente da fare. E' e rimane un album mediocre,
con sperimentazioni ardite ma fallimentari (quella voce roca alla Mick
Jagger mi stona proprio di brutto...). Qui Elton dimostra di essere già
al più completo sbando... solo che questo sbando non traspare nell'album
(come invece avverrà l'anno successivo con Blue Moves), ma viene
camuffato in un'improbabile carrozzone hard-rock che con Elton proprio
non ci incastra nulla. Non mancano certo i momenti da salvare, le grandi
intuizioni, le scintille del miglior Elton: ma sono solo scampoli,
frammenti alla deriva in una corrente, la carriera di Elton John, già
avviata ad alta velocità verso un'inarrestabile caduta.
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Blue Moves
2012
Blue Moves è un prodotto strano, disomogeneo; ma anche tremendamente
affascinante. Sprizza disperazione, noia, anche indulgenza. Perfino, a
tratti, arida accademia. Ma è pieno di genialità, sotto tutti i punti
di vista. Elton non avrebbe mai più realizzato un simile miscuglio di
stili con così tanto stile; in seguito solo con The Fox vi si sarebbe
parzialmente avvicinato (A single man è troppo di maniera e 21 at 33 è
semplicemente privo di mordente e personalità). Poi sarebbero arrivati
gli album "alla moda", con esiti a volte ottimi (Too Low for zero), a
volte buoni (Breaking hearts, Reg strikes back, Sleeping with the
past), a volte appena discreti (Jump Up); gli esiti mediocri sono
quelli soliti... Tornando a Blue Moves: un album dalla grande
personalità, pur intriso com'è da tante correnti musicali diverse,
tanti ammiccamenti. Un Elton John inquieto, spaesato, privo di
orientamento: è da sempre nella mia Top 5 eltoniana.
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A Single Man
2012
Recensire A Single Man non è semplice; se il precedente Blue Moves
spiazzava l'ascoltatore con un inquieto miscuglio di stili, qui Elton
cerca di realizzare un prodotto omogeneo e fresco. Ci riesce? Non
direi. Innanzitutto la scelta di non includervi lo sfortunato singolo
"Ego", l'esperimento più innovativo dell'Elton di quel periodo, nuoce
gravemente alla riuscita generale dell'album, che a mio parere avrebbe
avuto bisogno di qualche episodio "sperimentale" in più. I brani veloci
dell'album, tra cui il singolo "part-time love", sono freschi e
gradevoli, ma niente di più. Sui testi del nuovo paroliere meglio
sorvolare. Il brano strumentale nonché singolo più famoso dell'album,
"Song for Guy", è invece un meraviglioso (anche se prolisso) esempio
della grandezza dell'Elton compositore e piano-man; tuttavia anch'esso
appare più come una logica evoluzione dei precedenti "Tonight" o
"Ticking", che come una vera e propria boccata d'aria fresca. Insomma,
è forse il migliore del suo genere, ma non è niente di nuovo.
"Madness", il brano più sperimentale dell'album, alterna alcune parti
ottime (benché poco eltoniane) ad altre banali. Il lungo brano "..
ain't gonna be easy" è denso di atmosfera e rarefatto, ma difficilmente
lo si può annoverare tra i grandi classici senza tempo eltoniani: manca
quel pizzico di freschezza e di originalità che aveva fatto grandi i
brani corrispondenti degli album precedenti (penso, ad esempio, alla
meravigliosa "Someone saved my life tonight", o a "Madman across the
water", altri due lunghi brani densi di atmosfera e, benché
diversissimi tra loro, assolutamente geniali). "Return to paradise" è
un leggero calypso come lo era stata "Island girl" o come lo sarà
"Passengers": tutte canzoncine discrete e nulla più. Poi c'è "Shooting
star", che a me piace. E' un pezzo in stile crooner come lo sarà, più
di trent'anni dopo, "When love is dying". In definitiva ad "A Single
Man" manca qualcosa: non è certo un prodotto originale, e per di più
gli manca l'immediatezza e quel "non so che" della fresca ispirazione
degli album precedenti. Però rimane un prodotto d'obbligo per chi cerca
buona musica, ottimamente suonata e interpretata (magari senza prestare
attenzione alle liriche); senza contare che gli album che lo seguiranno
solo in rarissimi casi riusciranno ad avvicinarsi a questi livelli.
L'epoca d'oro finisce qui.
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21 At 33
2012
21 at 33 è l'album in cui Elton tira le somme di un decennio, gli anni
'70, purtroppo irripetibile. Reduce dal disastroso "Victim of love",
improbabile lavoro in chiave "disco", Elton prova a tornare all'antico
realizzando uno dei suoi album più retrospettivi. Questo, però, non si
traduce in una resa finale paragonabile ai suoi lavori anni 70. Sono
cambiati i tempi, il pubblico; ma soprattutto è cambiato lui. Non c'è
traccia, in 21 at 33, della genialità elargita a piene mani dei suoi
primi lavori; non c'è alcuna sperimentazione convincente in questa
miscellanea di brani carini, curati, ma nulla più. C'è soltanto una
rigida e puntigliosa accademia, una generalizzata paura di sbagliare
che frena le ambizioni di un album realizzato in un periodo cruciale
della carriera di Elton John. Eppure anche qui Elton, a livello
d'interpretazione, fornisce un'ottima prova (anche se non al livello
del precedente A Single Man); tecnicamente le canzoni funzionano, sono
ottimamente suonate. Però manca la personalità, l'incisività. Sotto
questo punto di vista questo lavoro insipido, involuto, fa il paio col
successivo, seppur diversissimo "The big picture": album senza infamia
e senza lode, con alcuni momenti azzeccati che includono perfino "hits"
spaccaclassifica ("Little Jeannie", gradevole canzone d'amore che
ricalca sotto molti aspetti "Daniel", arriverà pur sempre al n. 3 USA),
ma con altrettante ricadute nel già sentito, nel banale. Col successivo
"The fox", che dal punto di vista delle vendite si rivelerà un flop più
consistente, Elton proverà a farsi perdonare questa piccola caduta
nell'ovvio.
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The Fox
2012
Preso oramai nel "vortice del recensore", passo a parlare di "The Fox",
oscuro album del 1981 conosciuto da pochi e ascoltato davvero da
quattro gatti. All'epoca della sua uscita nessuno se lo filò; anzi,
rischiò quasi di non venire nemmeno distribuito: troppo poco
commerciale, si pensava allora, e assolutamente non al passo coi tempi.
Devo dire che, ai primi ascolti, ebbi anch'io più o meno queste
impressioni. A parte l'allegra "Just Like Belgium", carina e
movimentata, nessun'altra canzone mi colpì particolarmente, e questo
strano cd finì quasi nel dimenticatoio (non mi piaceva, ad esempio, il
primo singolo scelto, "Nobody wins", anche perché non mi pareva una
canzone da Elton e non era "di" Elton). Dopo qualche annetto provai,
più per curiosità che altro, ad ascoltarlo di nuovo... bè, mi piacque
molto di più. Anzi, quel suo stile retrò, quel suo continuo sbandamento
su toni molto diversi tra loro, anche l'evidente "stanchezza" di Elton,
che qui traspare quasi in ogni singola nota, me l'ha fatto
assolutamente rivalutare: ecco cos'è, ho pensato: una sorta di piccolo
"Blue Moves". Triste, rassegnato, un piccolo album fatalista: Elton è
perfettamente conscio di essere finito, o meglio, è perfettamente
conscio del fatto che l'Elton anni 70 se n'è andato per sempre. Così
propone suoni nostalgici, accordi in minore, melodie antiche ma non
"vecchie"; e cala anche qualche minuscola gemma: "Elton's Song", per
esempio, o "Chloe"; brani non originalissimi ma la cui interpretazione
ed esecuzione mi appare "sentita", vera, a tratti quasi "tirata via" ma
molto personale. E dire che molti dei brani di "The Fox" provengono
dalle stesse sessioni del precedente "21 at 33": quello sì un album
involuto e impersonale. "Heart in the right place" è un pezzo blues
graffiante e, per il mio palato, assolutamente da rivalutare; eccetto
che per quel maledetto vocoder, o come diavolo si chiama, che rischia
di mandare all'aria tutta la canzone. C'è poi lo strumentale
"Carla-Etude", notevole, che sembra portarci indietro di tre anni, a
quella "Song for Guy" che rappresentava una delle vette del
manieristico "A single man"... di cui "The Fox" in definitiva non
eguaglia l'esito per pochissimo e solo per motivi "cronologici" ed
interpretativi. Comunque, a parte "Too Low for Zero" (che davvero
appartiene ad un altro mondo musicale, a un altro Elton), questo "The
Fox" rimane uno dei suoi album migliori degli anni 80.
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Jump Up!
2012
Di tutti gli album
dell' Elton anni 80, questo "Jump Up!" fu quello che più mi conquistò
al primo ascolto: già questo fatto, a mio parere, ne indica pregi e
difetti.
Infatti è un
prodotto allegro, frizzante, grintoso: tutto l'opposto del quasi
funebre, ma ben più "sentito", immediatamente precedente "The Fox".
Solo che quest'ultimo ha un substrato, ha fondamenta, ha anima. L'album
eltoniano del 1982, invece, scade già al decimo ascolto: comincia ad
apparire banale, scialbo, troppo semplicistico e orecchiabile. Si
avvicina, insomma, a quel "21 at 33" di due anni prima, col quale Elton
comunque un qualche risultato commerciale lo aveva ottenuto. E difatti
con questo "Jump Up!" le vendite cominciano a risollevarsi. Per il
resto l'album indica già precisamente quella che sarà la nuova tendenza
eltoniana degli anni 80: tornare alla ribalta con musica più facile,
più commerciale, più alla moda. Per il momento la direzione è solo
avviata: c'è una buona dose di grinta, ottime interpretazioni e qualche
incursione nel sound alla Sinatra (l'hit single "Blue Eyes", dal testo
idiota e dalle musiche talmente crooner da farmela detestare al
quindicesimo ascolto:paradossalmente il brano di maggior successo di un
album alla moda è proprio uno smaccato rimpasto anni 50). Gli altri
brani sono nel complesso attorno alla sufficienza, anche se è
l'interpretazione robusta di Elton a risollevarli da una certa
mediocrità compositiva: con l'eccezione della splendida "Empty Garden",
omaggio a John Lennon, che riunisce in un amalgama particolare un testo
in stato di grazia di Taupin con una bellissima, commovente melodia di
Elton. Si tratta, probabilmente, dell'unico, vero brano personale
dell'album: non sorprende, quindi, che ne risulti il risultato
migliore. In definitiva, con "Jump Up!" Elton volta definitivamente
pagina ed abbandona l'irrequietezza decisionale ( "e adesso, che
faccio?") del quinquennio precedente. Ora Elton ha deciso la via da
intraprendere; resta da dimostare se questa risulterà, nel lungo
periodo, la scelta giusta. Nel breve, probabilmente, sì.
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Too Low For Zero
2012
Reg colpisce ancora parte 0: ecco cosa rappresenta "Too Low for Zero"
(1983). Di questo album si può scrivere di tutto e obiettare molto: ad
esempio criticare il sound tastieristico ed elettronico scelto da Elton
e dal produttore Chris Thomas... però TL40 funziona; e bene, molto
bene. Nonostante il processo di rivalutazione cui sono sottoposti
ultimamente i dischi eltoniani sfornati durante gli anni magri
(1976-1982), bisogna ammettere che l'album della rinascita commerciale
di Elton, questo, appunto, non sfigura affatto al cospetto di nessuno
di questi titoli. E' più commerciale, certo, più di facile ascolto...
però ha grinta da vendere, ha carattere, e soprattutto ha tante belle
melodie; insomma rappresenta uno degli apici di Elton anche dal punto
di vista compositivo, con brani di ottima fattura e pochi passi falsi.
Forse oggi, dopo che tanta acqua è passata sotto i ponti, è invecchiato
peggio rispetto a un "The Fox", però non sono assolutamente sicuro che
TL40 uscirebbe perdente dal confronto diretto con quest'ultimo disco.
Ritengo superfluo indugiare sui singolo brani, soprattutto per un album
così compatto e ben amalgamato: butto lì solo un accenno sulla
splendida (a mio parere) title-track: musica anni 80, certo, ma anche
interpretata alla grande e con un bellissimo assolo di Elton alla tanto
vituperata tastiera, che qui tutto sommato non stona. Altro breve cenno
per una delle più belle ballate di Elton del decennio (e non solo):
"Cold as Christmas"... Tutto questo per concludere che "Too Low..."
continua a rimanere, a mio parere, il miglior album eltoniano degli
anni 80. E' un peccato che tale vena sia destinata ad esaurirsi nello
spazio di un paio d'anni; poi verrà il dittico del "nulla" (Ice on
Fire, Leather Jackets) all'insegna del sempre peggio, sempre più a
fondo... E infine, ancora una volta, la (parziale) rinascita: Reg
colpisce ancora (1988).
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Breaking Hearts
2012
L'album
eltoniano del 1984, "Breaking Hearts", è un buon esercizio di stile: se
per "organico" non può non essere considerato il seguito ideale del
precedente TL40, questo prodotto fallisce il confronto con l'album del
1983 sotto tutti i punti di vista. A dire il vero, però, forse presenta
un'elettronica meno esuberante e un suono più chiaro e deciso: ma sono
gli unici punti a favore, perché dal punto di vista della qualità delle
canzoni e della personalità dell'interpretazione "Breaking Hearts"
perde il confronto su tutta la linea. L'album è meno compatto del
precedente, più sfilacciato, ma soprattutto gli mancano quelle
particolari atmosfere, quelle correnti sotterranee che l'ascoltatore
poteva percepire nettamente nel disco precedente e che denunciavano la
prepotente personalità (e il grande affiatamento della band) di quello
che rimarrà il prodotto migliore dell'Elton "tastiere ed elettronica".
Insomma: "Breaking Hearts" rimane un prodotto di ottimo mestiere, nel
quale però il manierismo comincia già a fare capolino; pochi brani
svettano rispettano alla media (comunque più che discreta), come
l'ottima "Burning buildings", col suo pathos a tutto tondo ed un "non
so che" di vagamente latineggiante che emerge dal breve passo
strumentale prima del ritornello finale, sorta di embrionale
anticipazione della splendida ballad "A Word in Spanish"; più lenta,
quest'ultima, più calda e ponderata, contenuta in un album (il
successivo "Reg strikes back") che presenterà a mio parere numerose
analogie con questo "Breaking Hearts". L'hit single "Sad Songs" è un
buon brano, che però non aggiunge né toglie nulla alla carriera di
Elton; lo stesso dicasi per l'altro singolo di successo, il vivace
calypso "Passengers", che da sempre divide gli estimatori del
cantautore britannico. Tra i lenti, la title-track proprio non riesce a
convincermi: troppo lamentosa e languida, e forse anche un po'
noiosetta (la ballad sentimentale "Nikita", dell'anno dopo, nonostante
i quintali di elettronica che la sovrastano, è a mio parere di un altro
pianeta); "In Neon" è un brano ottimo al primo ascolto, poi scade
inesorabilmente. Il terzo singolo, l'allegra "Who wears these shoes?",
non mi dispiace, ma neanche mi fa strappare i capelli. In tutto
l'album, a livello interpretativo, Elton mette la solita, notevole
grinta; ma sotto questo punto di vista il più banale e leggero "Jump
Up!" gli è forse superiore (nonostante, o viceversa proprio in virtù
della qualità compositiva ben più debole). Se dovessi dare un voto a
questo prodotto, (e considerando il 10 come voto massimo), oscillerei
tra il 6,5 e il 7 (quest'ultimo sulla fiducia).
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Leather Jackets
2012
Ammetto che recensire un album come "Leather Jackets" appare assai
facile: poco o nulla si salva di questo prodotto, sia dal lato artistico
che tecnico. C'è solo, soffocata da tonnellate di elettronica, qualche
buona melodia (anche se nulla di eccezionale). Inutile anche una
descrizione puntuale brano per brano: nessun titolo svetta sugli altri,
con l'eccezione, forse, del primo singolo estratto "Heartache all over
the world", che almeno fa battere il piede a ritmo. Per il resto si ha
come l'impressione di ascoltare un assoluto vuoto cosmico... di idee, di
personalità. Forse con una nuova veste, più acustica, la media
dell'album avrebbe potuto sollevarsi e raggiungere la sufficienza
stiracchiata. Qui, invece, siamo davvero dalle parti del pessimo. Per
fortuna, dopo un simile tonfo, Elton avrebbe saputo di nuovo
risollevarsi (Reg avrebbe colpito ancora)... con più idee, più
personalità; e purtroppo mantenendo l'elettronica.
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Sleeping With The Past
2012
Ammetto che recensire un album come "Leather Jackets" appare assai
facile: poco o nulla si salva di questo prodotto, sia dal lato artistico
che tecnico. C'è solo, soffocata da tonnellate di elettronica, qualche
buona melodia (anche se nulla di eccezionale). Inutile anche una
descrizione puntuale brano per brano: nessun titolo svetta sugli altri,
con l'eccezione, forse, del primo singolo estratto "Heartache all over
the world", che almeno fa battere il piede a ritmo. Per il resto si ha
come l'impressione di ascoltare un assoluto vuoto cosmico... di idee, di
personalità. Forse con una nuova veste, più acustica, la media
dell'album avrebbe potuto sollevarsi e raggiungere la sufficienza
stiracchiata. Qui, invece, siamo davvero dalle parti del pessimo. Per
fortuna, dopo un simile tonfo, Elton avrebbe saputo di nuovo
risollevarsi (Reg avrebbe colpito ancora)... con più idee, più
personalità; e purtroppo mantenendo l'elettronica.
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The One
2012
The
One, l'album del 1992, arriva in un periodo di piena sbornia eltoniana:
il doppio The very best e il singolo dal vivo con G. Michael "Don't let
the sun..." (inascoltabile al confronto con l'originale) avevano
dominato le classifiche nei due anni precedenti. Elton presenta il
brano omonimo, giustamente il più rappresentativo dell'album, ad una
trasmissione italiana (mi pare di ricordare che fosse i "telegatti" o
roba del genere), e riscuote unanimi consensi. Appena uscito, l'album e
il singolo prendono il volo nelle classifiche di tutta Europa e anche
negli States; questo per sottolineare come The One sia forse l'album
eltoniano di maggior successo da almeno 16 anni (da Blue moves, per
intenderci). Però, personalmente, questo disco non mi ha mai
entusiasmato: lo trovo troppo tronfio e pesante, baroccheggiante e
piuttosto noioso. Gli preferisco i precedenti RSB e SWTP: più ricchi di
brio e con brani più veloci. Il brano omonimo, molto bello, è
penalizzato da effetti sonori risibili che anziché incrementarne il
potenziale, lo appiattiscono. L'altro lento, l'ultima canzone, è buono
ma niente di più. Il duetto con Clapton è insipido, e c'è come la
sensazione di una certa mancanza di ispirazione e di verve, ma
soprattutto di semplicità. Simple life, finta fino all'inverosimile, mi
piace: 6.
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Made In England
2012
Made in England fu il disco che mi fece (parzialmente) ritrovare la
fede in Elton dopo un paio di prove (The One, Duets) non proprio
esaltanti. Lo acquistai appena uscito, e complice il precedente ascolto
live del brano "believe" al primo e unico suo concerto cui ho assistito
nell'estate del '94 a Roma. Il brano mi piacque quasi immediatamente, e
l'album pure. Non aveva l'ostentato barocchismo di The One, né
l'inconsistenza di Duets, e mostrava una certa immediatezza
d'ispirazione anche dovuta ad una produzione più leggera e scattante.
Detto questo, non mancano assolutamente i brani riflessivi e lenti, che
anzi pure qui sono la maggioranza, e torna perfino una sorta di suite
pseudosinfonica (Belfast), cosa che Elton non immetteva in un suo
prodotto dai tempi di "The Fox". Dopo i primi ripetuti ascolti, però,
qualcosa comincia a non quadrare del tutto; la freschezza (apparente)
comincia a suonarmi un po' banale, l'aspetto compositivo poco originale
e risaputo, e, cosa peggiore, i brani cominciano ad assomigliarsi l'uno
all'altro (specie, se ricordo bene, Please e Lies, che al mio orecchio
mi paiono variazioni sul medesimo tema). Che Belfast riprendesse
laddove Believe finiva ci poteva anche stare, ma ascoltare due brani
pseudo identici proprio no, almeno secondo me... E il voto comincia a
scendere, così come la frequenza di ascolti, che infine si arresta del
tutto: non ascolto (per intero, s'intende) MIE da almeno un decennio.
Veniamo ai singoli scelti. La già citata Believe è un ottimo brano, uno
dei migliori degli anni 90, capace di non impallidire (almeno) al
cospetto delle hits del decennio precedente; la title-track è banalotta
ma orecchiabile, mentre la canzone di chiusura (la discreta "blessed")
appare un po' latineggiante e melodica ma anche, verso la fine,
maledettamente elettronica, con un effetto che al mio orecchio suona
fuori posto come bestemmiare in chiesa: perfetto esempio di come sia
sempre possibile con qualche trovata maldestra penalizzare un brano
buono (benché appartenente al più puro stile melenso dell'EJ anni 90).
Tutto il resto dell'album (compresa l'orecchiabile e beatlesiana
"latitude") si attesta su livelli discreti e talvolta buoni, con poche
cadute, ma anche con ben pochi picchi. L'impressione è che in MIE ci
siano tante buone intenzioni, tanto mestiere; per l'ispirazione, quella
vera, occorre attendere ancora 6 anni: voto 6+
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The Big Picture
2012
The Big Picture è l'album eltoniano in assoluto peggiore degli anni
'90; quasi inascoltabile oggi (almeno al mio palato), all'epoca fu un
buon successo (ma non come The One); come per molti album eltoniani
minori, anche questo all'inizio mi piacque... e come quelli, anche
questo cominciò a decadere dopo una ventina di ascolti ripetuti. La
canzone d'apertura, oggi, è forse il brano che detesto di più,
stucchevole e privo di ispirazione: una sorta di Whispers ancora
peggiore del modello. Live like horses sarebbe molto migliore, se non
fosse per le sue straripanti pecche produttive, ma comunque rimane a
diverse lunghezze di distanza dagli altri lenti eltoniani "doc"
(Sacrifice, Nikita ecc.). Anche gli altri brani che seguono, compresa
la "celebre" (?) hit Something about the way... si mantengono sul
livello del puro mestiere, e solo il gusto personale dell'ascoltatore
può far preferire un brano all'altro. Perfino i testi del fido Bernie
Taupin si adeguano a questo pressoché uniforme grigiore, a questa
piattezza compositiva: 5,5.
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Duets
2012
Ricordo che Duets, e si era a fine 1993, uscì un po' a sorpresa. L'anno
prima Elton aveva sfornato The One, un album che ottenne un enorme
successo commerciale nonostante non fosse nulla di eccezionale. Poi,
dopo la sbornia, ecco arrivare questa trascurabile raccolta di duetti.
Eppure all'inizio Duets mi piacque... lo trovavo ritmato e
orecchiabile, e molto variegato. Purtroppo, come molti altri lavori
eltoniani degli anni 80 e 90, anche questo Duets non ha saputo
resistere a molteplici ascolti, e inoltre mi appare invecchiato
piuttosto male. Di fatto oggi non lo ascolto più... non che sia
improvvisamente diventato brutto, semplicemente non mi trasmette niente
e non provo la benché minima voglia di ascoltarlo. Ai tempi ricordo che
a parte il duetto con Cohen e quello con la Raitt (che semplicemente
non mi destavano il benché minimo pathos), nonché l'inascoltabile
duetto con la Knight, che solitamente "saltavo" a pié pari , gli altri
brani mi riuscissero abbastanza piacevoli. Il mio preferito era il
duetto con Rea, anche se la canzone non aveva assolutamente niente a
che vedere con lo stile eltoniano. Oggi mi appare alquanto scialba, al
pari di tutti gli altri brani, nessuno dei quali supera la piena
sufficienza. Tra i peggiori, manco a dirlo, i singoli estratti
(entrambi nella top 10 inglese): "true love", glucosio allo stato puro
(e dire che la canta con Kiki Dee, quella di "don't go breaking...") e,
appunto, la nuova versione del vecchio duetto con la Dee del 1976
(altri tempi!), realizzata in versione dance, cantata con RuPaul e
assolutamente detestabile. I brani portati da altri artisti sono, a
parte poche eccezioni, sbiaditi remake di vecchi successi. Le nuove
composizioni, un po' più interessanti (specie quelle John-Taupin), sono
quelle che ancora oggi rendono un minimo di dignità a questo prodotto
chiassosamente commerciale e modaiolo: voto 5.
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Songs From The West Coast
2012
4
anni dopo il fiacco "The big picture" (il punto più basso dell'EJ anni
90), elton si ripresenta al mondo con un album finalmente ispirato e
convincente. Prodotto straordinariamente omogeneo, non vede nessun
brano spiccare sugli altri, tranne il primo singolo "I want love" e la
ballata "... of the boy in the red shoes", almeno al mio palato. Certo,
il paragone coi dischi degli anni 70 è improponibile, però si torna a
percepire l'Elton che ogni fan avrebbe voluto sentire per tutti gli
anni 80 e 90, e che invece si era inabissato in un lungo letargo...
Davvero un album niente male, anche se a dire il vero gli preferisco i
quasi contemporanei (per l'Elton del 2000, con un album sfornato ogni 4
anni, lo spazio di quasi un decennio significa quasi contemporaneità)
"The captain and the kid" (album meno patinato di questo e più
nostalgico) e "The union"(assai più convincente e ispirato dal punto di
vista compositivo).
Voto: 7+
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Peachtree Road
2012
Non conservo un buon ricordo di Peachtree Road, lanciato (affossato) da
un singolo di rara mediocrità e scialbezza (ok, direte che Heartache
all over the world era peggio: ma almeno era canticchiabile!): dopo
aver sentito All that I’m allowed passai una notte insonne nel timore
che tutto l’album fosse allo stesso livello; fortunatamente, il primo
ascolto del disco mi fece tirare un sospiro di sollievo ma fu
sufficiente per notare una certa disarmonia tra una prima parte quasi
ottima e una seconda (o meglio, una parte centrale) abbastanza modesta.
Troppa ambizione, Sir Elton: è arduo tornare
sui passi di Tumbleweed Connection quando l’ispirazione e la voce (qui
particolarmente fiacca e appesantita) non sono più quelle di un tempo.
Certo, all’inizio ci si esalta grazie a Weight of the world e Porch
swing in Tupelo, col loro impasto di gospel e country, Turn the lights
out when you leave ci fa piangere e sognare gli orizzonti e i cieli
infiniti dell’America rurale, My elusive drug non può non richiamare
alla mente qualcosa di Talking old soldiers, fatte le ovvie
proporzioni; anche la più commerciale Answer in the sky non manca di
interesse, con quell’attacco di violini che ricorda Philadlephia
Freeedom.
Purtroppo, dopo l'intorpidito rock’n roll They
call her the cat, il letale primo singolo e Freaks in love, valzerone
che sembra un’auto-parodia, l’album inizia a soffrire e tutta l’ultima
parte, con l’eccezione di Too many tears, procede per inerzia tra la
monotonia.
Insomma, un disco di buone intenzioni ma dal
risultato altalenante, praticamente un rodaggio per i successivi The
Captain and The Kid e The Union, più ispirati e convincenti nel ritorno
al rock americano. La band, che oltre a Nigel e Davey comprende i
compianti Guy Babylon e Bob Birch, si mostra comunque all’altezza della
situazione ed Elton, qui produttore in solitaria, riesce a creare il
giusto sound (Patrick Leonard, inizialmente coinvolto, probabilmente
non sarebbe stata la scelta più adatta per un lavoro di questo genere),
ma senza un valido sostegno compie qualche passo falso: chi dobbiamo
ringraziare per avere relegato a B-sides gioielli come So sad the
renegade, A little peace, Keep it a mystery, How’s tomorrow?
Sostituendoli alla zavorra, ecco a voi quell’album di alto livello che
Peachtree Road non riesce ad essere.
Voto 6,5
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The Captain & The Kid
2012
Ecco uno dei pochi album (recenti) di Elton che è riuscito a resistere
a più ascolti: lo ascolto ancora oggi con molto piacere. In quello che
rimane a mio parere il miglior lavoro eltoniano anni 70 esclusi (ed
escluso l'ancor superiore e posteriore The Union che interamente
eltoniano non è) non c'è nessun brano fuori posto. Tutto suona ben
amalgamato, malinconico, struggente. L'ispirazione c'è,
l'interpretazione anche. L'album, o meglio il concept-album, si apre
con uno dei brani in assoluto migliori dell'intero lavoro: Postcards
from R.N., con una intro al piano che supera quella della paragonabile
Emperor's new clothes, brano di apertura di Songs from the W.C. In
generale questo brano batte quello precedente sotto tutti i punti di
vista, con quell'urlo "welcome to the USA" che spazza via ogni grammo
di quella noia che in Emperor's ogni tanto affiora. Il secondo brano,
la veloce "Noah's Ark", è un buon pezzo ma suona al mio orecchio
leggermente caotica e priva di quel "quid" capace di portarla alle
altezze della successiva, fantastica "Hey Ahab". Segue il primo lento
dell'album, altro ottimo brano cui una seconda parte leggermente meno
incisiva impedisce di ambire al primato di "slow track" dell'LP. I due
pezzi successivi sono però due autentici capolavori: "Tinderbox",
malinconica e allo stesso tempo piena di verve, fa l'occhiolino a tutta
la produzione eltoniana senza per questo ne farla rimpiangere né
impallidire al confronto: è semplicemente un brano auto-celebrativo che
ripercorre i bei tempi andati, un po' come tutto l'album, e lo fa alla
grande; insomma, si batte il tempo e si canta, segno di grande
leggerezza e immediatezza d'ispirazione. "And the house..." è l'altro
grande capolavoro dell'album, un pezzo dal ritmo veloce e frizzante, e
dal testo amaro: tutto funziona alla perfezione nel brano forse meno
immediato dell'LP, ma sicuramente tra i più ispirati. Il lento
successivo è a mio parere il punto più debole dell'album, con troppi
richiami alla precedente "American triangle" per via di una certa
tortuosità melodica (almeno al mio orecchio) e perfino qualche accenno
alla produzione eltoniana anni 90 che fortunatamente appare solo qui.
Segue "the bridge", il lento per eccellenza di questo lavoro, a mio
parere scelto giustamente come singolo da estrarre dall'album. Come in
Tinderbox, anche qui gli accenni alla produzione passata (soprattutto a
Your Song e Sorry Seems...) non stonano affatto, ma contribuiscono a
dar forza e dolcezza ad un brano che parla di dolore e di
ineluttabilità, interpretato alla grande ed estremamente toccante
grazie anche alla sua estrema semplicità sia melodica che armonica, ed
alla sua scarna essenzialità (quasi tutto piano e voce eccettuata una
piccola parte un po' troppo angelica, ma è un peccato che le si può
perdonare), a denotare ancora una volta il "tocco" semplice ma intenso
di quell'ispirazione che negli anni 90 sembrava essersene andata per
sempre. Il country successivo è un brano carino e leggero, ma "Jimmie
Rodger's dream" (da The Union) si dimostrerà decisamente superiore.
"Old 67" è una ballad ricca di nostalgia assolutamente nella media
(davvero ottima) di questo lavoro, ed apre il campo alla conclusiva,
riepilogativa title-track, con la sua intro ripresa da "Captain
Fantastic..." (il brano). E' un brano che sta sulla scia di
"Tinderbox", immediato e fresco, anche se non riesce ad eguagliarne,
almeno al mio palato, la forza insieme malinconica e trascinante.
Voto: 7,5
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The Diving Board
2013
Premetto
che ormai l'ho ascoltato parecchie volte, quindi credo di essere
abbastanza obiettivo: questo album è un quasi capolavoro, come lo era
stato The Union.
Nel suo insieme scorre
magnificamente, con uno splendido suono (opera del produttore Burnett,
autore davvero di un lavoro fantastico), costituito com'è da così tante
belle canzoni, nessuna delle quali, a mio parere, superflua.
Certo, i gusti sono personali, e
quindi ci sono brani che possono più o meno piacere, visto che vengono
spaziati diversi generi musicali, ma la qualità compositiva resta altissima e l'interpretazione di Elton è notevole quasi dappertutto.
L'album comincia alla grande con la
semplicissima Ocean's away. Inizialmente sottovalutata dal
sottoscritto, devo ammettere che con l'andare degli ascolti è divenuta
uno degli assoluti pezzi forti di TDB: un pezzo che, col suo coniugare
la semplicità dell'incedere di 800$ shoes con le tematiche di Gone to
shiloh, raggiunge un bel 9 in pagella (da brividi la seconda strofa
dopo il ritornello, più volte menzionata anche da altri, che cancella
completamente la prima un po' troppo statica e "legnosa").
I livelli restano altissimi con la
successiva Oscar Wilde, altro brano da 8,5 in pagella, originale e con
un riff al pianoforte strepitoso. Leggero calo, si fa per dire, fino ad
un 8-, per Jubilee, canzone non proprio originalissima ed a mio parere
penalizzata da un ritornello non così eccezionale; da 10 assoluto
invece il suono della chitarra. Blind Tom risale fino ad un 8+,
complice la sua andatura un po' ossessiva e drammatica ed un Elton
fantastico al pianoforte, precipua caratteristica a dire il vero di
tutto l'album. Bello il tocco dato dai violoncelli, nella seconda parte
del brano, che aggiunge al tutto una "tinta" ancora più oscura. Arriva
così il primo minuscolo pezzo strumentale, dal piglio quasi chopiniano;
pur essendo il meno preferito dei tre intermezzi, è di assoluto valore
sia preso di per sé stesso che come funzionalità (deve introdurre la
seconda parte di TDB, più statica e melodica) all'interno dell'album:
voto 8. My Quicksand, criticata dai più, continua a rimanere un brano
controverso che però ha il pregio di crescere con gli ascolti; notevole
il cambio improvviso di tempo a metà canzone, di carattere
squisitamente jazzistico: 8-. Il country che segue (... alone tonight)
è uno dei brani più convenzionali dell'album, molto radiofonico e di
facile ascolto. Gli preferisco decisamente Jimmie Rodgers, da The
Union; presenta però un bridge di carattere quasi "spectoresque" che,
almeno al mio palato, ne incrementa notevolmente il potenziale: 8-
anche qui.
Voyeur, accusata anch'essa
(abbastanza giustamente) di convenzionalità, è uno dei miei brani
preferiti. Inizialmente poco coinvolgente nel ritornello, con gli
ascolti è andata incrementando il suo appeal. Vi si ravvisa una
semplicità di ispirazione perduta da tempo nelle pieghe della troppa
melassa propinata negli anni 80 e 90, ed anche un carattere ad un tempo
"leggero" (nelle strofe) e drammatico (nel ritornello e nel fantastico
finale): 9-
Segue Home again, alla quale a suo
tempo diedi 8; voto che adesso porto ad 8,5. Dirty water è un gospel
senza troppi fronzoli che ha il pregio di vivacizzare una parte a dire
il vero un po' troppo lenta del lavoro (è probabilmente questo l'unico
difetto di TDB): voto 7,5. Il secondo pezzo strumentale mi ricorda
alcune composizioni di Schumann: mi piace davvero tantissimo e non
posso esimermi da dargli 8,5. Waltz è un bel lento con una parte
strumentale notevole; forse un po' troppo "eltoniano" ha nella poca
originalità il suo vero punto debole; bella, invece, l'interpretazione
di Elton in questa sua tipica "love song" che a tratti rammenta
Belfast: voto 8-
Mexican, il brano successivo, è
l'unico vero uptempo di TDB. Non particolarmente eccezionale, ma fresco
e allegro nel suo incedere, si merita un 8 (fantastico, ancora una
volta, il finale). Il sogno n. 3 è un pezzo strumentale fantastico,
meno classicheggiante dei suoi fratelli e più ancorato a stilemi da
musica progressive anni 70, se non addirittura a talune partiture
d'avanguardia composte dai maestri del secolo scorso: 9. Infine arriva
la title-track, il brano al mio orecchio più ostico visto il suo
carattere jazzistico (genere che onestamente non adoro). E invece TDB è
un altro pezzo forte dell'album omonimo, un brano interessante sotto
molti punti di vista (compresa l'interpretazione vocale di Elton);
probabilmente sarà quello che "sfiorirà" meno col passare del tempo: 9-
Menzione speciale per le tre outtakes
dell'album, due delle quali a mio parere "sacrificate" abbastanza
ingiustamente (infatti continuo ad ascoltare TDB in una mia personale
versione completa anche dei 3 "scarti").
5th avenue è un tipico lento
eltoniano, molto orecchiabile ma anche ottimamente composto ed
interpretato, e con un testo davvero notevole: 8+ e a mio parere
singolo mancato dell'album.
Hollywood è l'altra outtake notevole,
di una freschezza che ricorda l'Elton degli anni d'oro (al mio palato è
il brano più anni 70 di TDB, con l'eccezione del Dream n. 3) pur con i
soliti distinguo legati alla voce attuale di Elton: 8
Infine l'ultima outtake, Candlelit,
il brano meno interessante di tutto il lavoro, pur condito con uno
splendido assolo di chitarra: 7-
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