le recensioni di
Pierluca Turnone (3)
Empty Sky
2008
"Sì Signora, quale è il domani? Qual'é il domani? Sarà lo stesso di
adesso?". Potrebbe aver pensato questo il giovane Elton, nell'accingersi
a registrare i brani che poi avrebbero costituito la sostanza del suo
primo album in studio, Empty Sky. Un disco realizzato con insicurezza e
poca originalità, ma anche con tanta voglia di fare e molte belle
speranze: ricordiamoci anche nei gloriosi Sixties il nostro Reg le aveva
provate tutte, e senza riuscire ad approdare a nulla, né da un punto di
vista prettamente artistico (oggi canzoni come Turn to Me, Annabella
Umberella e Sitting Doing Nothing fanno quasi sorridere paragonate alla
sterminata produzione di Elton, ma già allora saranno sembrate smaccate
canzoncine alla limonata, piacevoli e nulla più) né tanto meno da uno
commerciale (che dire di I Can't Go On Living Without You
all'Eurofestival?). Empty Sky si configura quindi essenzialmente come la
geniale intuizione di Steve Brown, che, comprese le potenzialità di
Elton e Bernie, non si lasciò sfuggire l'opportunità che quei due
costituivano. E fece sua la produzione di tutto il lavoro, il che
avrebbe potuto costituire il primo e ultimo atto della carriera
eltoniana (Western Ford Gateway docet...), ma non ci si poteva aspettare
di più da un budget essenzialmente molto (troppo) limitato. E inoltre, a
parte questi evidenti punti deboli, bisogna riconoscere la validità di
un prodotto che, seppur disomogeneo e un pò scopiazzato, mostra
innegabilmente i segni di quel talento e di quella genialità tipicamente
eltoniani che si sarebbero espressi compiutamente nei dischi
successivi. Pensiamo a quel gran pezzo rock che è la title-track, dalle
venature psichedeliche e dal finale trascinato (coraggiosamente scelta
come brano d'apertura) con la chitarra del buon vecchio Caleb in
evidenza; a Gulliver, altra grande canzone, preludio a certe atmosfere
tumbleweediane, sfociante poi nel curioso (seppur breve) strumentale
jazzato Hay-Chewed; a Hymn 2000, stravagante brano abbastanza atipico
nel panorama eltoniano (mette in evidenza perfino i... fischi di Clive
Franks!); alla freschezza di Sails, interpretata magistralmente. Skyline
Pigeon, poi, costituisce la prima vera, grande ballata del giovane Reg,
composta da quell'anima melodica che egli farà rivivere nelle soffuse
atmosfere di Your Song, I Need You to Turn To, Tiny Dancer, High Flying
Bird, Harmony: il clavicembalo che pervade il pezzo contribuisce ancor
di più alla sua particolarità, conferendogli sfumature e sonorità alle
quali i fans di Elton non sono abituati (così come accade nella
deliziosa, norrena Val-Hala). Anche Lady What's Tomorrow (alla batteria
c'è Nigel, per la prima volta in un disco del futuro Sir!) e Western
Ford Gateway (prima brano di Elton dalle tematiche prettamente
americane) sono brani piacevoli; forse l'unica canzone meno valida è The
Scaffold, comunque decisamente intrigante (l'interpretazione vocale
così soffusa e insicura non fa che accentuare l'aspetto naive che
pervade l'LP). Anche i testi sono fra i più ermetici mai scritti da
Bernie!
Non occorre aggiungere altro: Empty Sky, nonostante il flop
che si rivelò essere sul mercato britannico (anche se in quello
americano, 6 anni dopo, guadagnò una #5), costituisce il primo lavoro
organico di Elton, fondamentale esperimento che avrebbe influenzato
tutta la produzione immediatamente successiva.
Voto: 7
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Tumbleweed Connection
agosto 2008)
Un giorno, girovagando per i negozi in cerca di materiale su Elton
(come al solito), fui attratto da un album che si distingueva da tutti
gli altri, possedeva una copertina strana, color seppia, quasi
insignificante, eppure affascinante, ben più di tante altre più
eccentriche; sembrava quasi dirmi: non guardare l'aspetto, comprami e
guarda il contenuto. Ai miei occhi era l'ostentazione di una
superiorità artistica indiscutibile che trovava sicurezza nella
consapevolezza di una genialità onnipresente, quindi non aveva bisogno
di mascherarsi dietro a pellicce tigrate o occhiali stravaganti.
Quest'album mi sa subito di capolavoro senza averlo mai ascoltato.
Provai a guardarne il retro: non conoscevo nessuna delle canzoni, e
questo mi intriga ancora di più. Così lo comprai e provai subito a
metterlo alla radio. Devo essere sincero: all'epoca non conoscevo
benissimo il nostro eroe, quindi al primo ascolto non mi disse
assolutamente nulla. Il secondo ascolto non sortì l'effetto sperato. E
così per un pò l'album finì, così per dire, in soffitta. Dopo alcuni
mesi, essendomi fatto le ossa con album come Goodbye Yellow Brick Road,
Madman Across The Water e Elton John, rispolvero questo vecchio
gioiello e prendo il treno, destinazione, Vecchio West, da un ben noto
killer.
Parte 'Ballad Of A Well - Known Gun'. Ma sembra diversa
dalla prima volta che la ascoltai. Cavolo, non so proprio cosa mi stia
succedendo. Sento una carica irresistibile che pervade il mio corpo! E'
incredibile! Vien proprio voglia di buttare tutto all'aria e gettarsi a
capofitto nella ballata di questo killer, così turbolenta! Non posso
resistere a questo capolavoro, così lo riascolto meglio provando gli
accordi al pianoforte. Per i successivi 4.58 minuti é rock a tutto
spiano, il vero rock, il più puro, genuino, autentico, con gli
sferzanti accordi di chitarra del buon Caleb Quaye e i potenti cori che
ti smuovono tutto il sistema nervoso in un'ossessività magnetica:
'There Goes The Well-Known Gun, There Goes The Well- Known Gun, There
Goes The Well-Known Gun".
Poi arriva il momento di 'Come Down In
Time': una storia d'amore, triste e angosciata senza però cadere nel
melodrammatico, con la voce calda e sicura di Reginald Dwight a
narrarci gli eventi. Sembra quasi di vedere questo lume di candela,
spento all'improvviso, per correre a salutare l'amata, un'amata che non
arriverà mai e ti lascerà per sempre a contare le stelle nella notte.
L'avventura
in chiave western prosegue con 'Country Comfort': e qui, come in tutto
l'album, si fanno ben sentire gli ariosi arrangiamenti di quel genio di
Paul Buckmaster che abbiamo ritrovato con piacere in 'Songs From The
West Coast', poi il violino di Johnny Van Derek, la chitarra pedal
steel di Gordun Huntely e l'armonica di Ian Duck fanno il resto. Mi
butto sulla poltrona: la melodia mi entra nelle ossa cullandomi e
provocandomi quella sonnolenza tranquilla e un pò accorta tipica di
certi ambienti americani dai grandi esterni. Dopo 5. 06 minuti mi
risveglio con il tipico scontro a fuoco che non poteva mancare in un
album del genere: 'Son Of Your Father', indubbiamente uno dei pezzi
dall'ascolto difficoltoso, movimentato ma non sfrenato, che sembra
descrivere appieno una discussione tra due fratelli (uno dei quali
cieco e con un uncino al posto della mano), discussione che poi
degenera nell'anarchia, cosa assolutamete normale e quasi salutare
nella Vecchia America del XIX secolo.
Il brano seguente, utilizzato
anche nel film di Cameron Crowe 'Elizabethtown', parla chiaramente
della Guerra di Secessione Americana. 'My Father's Gun' é una sorta di
passaggio del testimone, e questa sua caratteristica si intravede
decisamente nell'interpretazione che Elton ne dà: ma proprio perché
egli canta la vita e ne celebra i vari aspetti, la voce ha anche una
punta di malinconia.
Si arriva quindi a quello che per me é uno dei
capolavori dell'album, 'Where To Now, St. Peter?', dalla musicalità
intrigante e dal testo enigmatico. Quest'ultimo unisce elementi
tipicamente western con dilemmi e concezioni tipiche dell'Occidente: in
pratica, affronta il dilemma della nostra ultima e definitiva
destinazione, e la melodia non é meno ricercata, inizia docilmente,
come in un sonno incantato traportato dalla corrente di un fiume, il
fiume della vita, per poi smuoversi non appena si arriva alla
concezione tipicamente puritana della predestinazione. Un brano che per
i miei giusti dura troppo poco.
'Love Song' é un gioiellino scritto
dalla corista Lesley Duncan, che dimostra di avere favella anche nel
comporre armonie tutte sue. Alle mie orecchie suona di una dolcezza
infinita che però non compie l'errore di cadere nel mieloso. Gli
strumenti musicali sono ridotti al minimo mentre le voci di Elton e
Lesley si sposano alla perfezione in questa corroborante atmosfera. Ci
si smuove un pò con 'Amoreena', canzone che parla d'amore, amore
abbastanza movimentato e decisamente ossessivo, di un'ossessività
magnetica, nella quale troviamo inaspettatamente il mitico Dee Murray e
il buon vecchio Nigel Olsson; pezzo decisamente impegnativo all'ascolto
e non compreso dai più, con un ritornello ripetuto all'infinito per
farti entrare definitivamente il nome della ragazza nel cervello.
Geniale.
Punto e a capo. Inizia il capolavoro dell'album. Anche qui
tutto é ridotto al minimo, solo il pianoforte del nostro descrive la
tetra, a tratti squallida ma anche spaventosa scena. La voce é cupa,
tetra e contemporaneamente a tratti squillante. Sembra di vederselo
davanti questo vecchio relitto, testimone di tragedie umane spacciate
per eventi di fondamentale importanza storica, un pò ammattito e un pò
profeta. La scena é semplicemente spaventosa. Il solo immaginare il
cupo e meschino sguardo del vecchio soldato incute timore. Poi egli
sparisce all'improvviso dalla canzone, senza pretendere nulla in
cambio, ci fa solo promettere una cosa, di fregarcene di tutti gli
altri e di conservare nell'immortalità della nostra anima i nostri
ricordi. Una sola considerazione: 'Talking Old Soldiers'. Inutile
aggiungere altro.
Siamo arrivati, purtroppo, al capolinea con la
sobillatrice 'Burn Down The Mission', un vero e proprio gioiellino live
che fortunatamente Elton rispolvera in continuazione. Inizia in maniera
decisamente malinconica, finendo per convincerci ad incendiare la
missione nel caotico finale che unisce tutti gli strumenti possibili ed
immaginabili. E il treno che ci ha portati in questo viaggio nel
Vecchio West e nella nostra anima ci riconduce alla stazione in maniera
spumeggiante, così come quando ci aveva portati da un ben noto killer
all'inizio dell'avventura.
Se poi avete la versione rimasterizzata,
vi suggerisco vivamente di ascoltare 'Into The Old Man's Shoes', un
altro di quei capolavori che Elton sapeva sfornare in quegli anni,
malinconica, preoccupata e consolante al tempo stesso. Concluderete la
vostra epopea con la versione originale di 'Madman Across The Water',
decisamente superiore a quella presente nell'album omonimo, che nei
suoi 8.51 minuti vi coinvolgerà con gli accordi di Mick Ronson uniti in
un'ignota essenza, numerosi come le increspature dell'acqua in
questione.
Che dire di quest'album, alla fine? Assolutamente
nulla. Perché il rock, per dirla come l'introspettivo Bernie Taupin,
non é certo ciò che appare. Bisogna solo provare quest'album. Provarlo
e basta. Ascoltare il pianoforte onnipresente. Assolutamente
sconsigliato a chi ama la musica di artisti usa e getta. Potreste
rovinarvi la giornata. O magari guardare con più attenzione a colui che
fino a un giorno fa giudicavate come una vecchia pop - star in pensione.
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The Union
2010
A breve creerò una pagina sulla Wiki per The Union (e vedrò di
migliorare quella di Russell man mano che ne conoscerò la discografia...
Elton sarà contento, era proprio questo che voleva, e il senso del
disco era proprio quello di dargli la visibilità che merita);
comunque è vero, il pianoforte suona molto più naturale ed autentico
rispetto ad una produzione come quella di Songs from the West Coast. La
registrazione è impeccabile (tutto il contrario di quella di Peachtree e
un pò anche di TC&TK), e trovo azzeccato anche il fatto di non far
risaltare nessuno strumento in particolare (tranne, per ovvie ragioni,
il piano nelle varie intro) rispetto agli altri; ma questo penso sia
anche dovuto ai singoli musicisti, che non risultano mai invasivi pur
possedendo una spiccata personalità ed altissime capacità. Le coriste
sono fenomenali!
Altra cosa che ho notato (una peculiarità nella
sterminata discografia di Elton) è che nessun brano finisce "sfumando"
(è una caratteristica delle produzioni di Burnett?): ognuno ha una
propria linea conclusiva.
Dopo diversi ascolti, mi sento di confermare tra i miei brani preferiti le eltoniane
Gone to Shiloh (splendida ballata rock sulla falsariga concettuale di
Indian e My Father's Gun, probabilmente il miglior pezzo di Elton dal
1976 in poi), Eight Hundred Dollar Shoes, Hey Ahab, Jimmie Roger's Dream
(la versione "riveduta e migliorata" delle varie (e sempre bellissime)
The Trail We Blaze, The Drover's Ballad...), There's No Tomorrow, Monkey
Suit, The Best Part of the Day, When Love Is Dying e Mandalay Again,
oltre alle russelliane If It Wasn't for Bad (forse un tempo un singolo
del genere avrebbe spaccato le classifiche...), A Dream Come True e la
magnifica The Hands of Angels (splendida chiusura, forse al pari di
TC&TK). La voce di Leon, così particolare ed evocativa, mi ha
conquistato !!
L'unica
nota negativa che al momento mi sento di sottolineare è una sottintesa,
generale uniformità di interpretazione delle varie Hey Ahab, Monkey
Suit e My Kind of Hell, che ogni tanto mi ricordano le varie They Call
Her the Cat, Just Like Noah's Ark (ovviamente in maniera molto più
aggressiva e graffiante!)... ma dopo 31 album in studio glielo possiamo
concedere.
Se
dovessi dare un voto a The Union gli darei 8,5 o 9... grandissimo album
che spadroneggia in un contesto musicale tanto misero come quello
odierno! E finalmente riporta Elton alla #3 dopo tanti anni!!!
GRANDE IL NOSTRO SIR !!!!!!
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© badsideofthemoon
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