RECENSIONI
DEI VISITATORI
Reg Strikes Back
inviate la vostra
recensione di un disco
di Elton e sarà pubblicata in questa sezione.
non preoccupatevi, non
cerchiamo critici
professionisti, ma le impressioni, positive o negative, dei fans!
di Stefano Orsenigo (2012)
E’ vero che la voce di Elton John aveva subìto mutamenti ben prima
dell’intervento alle corde vocali del 1987, ma ciò non toglie che un
profano faticherebbe ad associare la stessa persona ascoltando di
seguito un suo disco dei primi 70 e Reg Strikes Back, l'album del
ritorno sulle scene. Quale altro celebre cantante può dire di aver
vissuto un destino analogo? L’unico che mi sovviene è il mio amatissimo
Gino Paoli…
Il fatto che io l’abbia conosciuto con questo lavoro,
tuttavia, cambia la prospettiva: la voce del “mio” Elton è quella di
fine anni 80-primi 90, meno duttile e versatile ma piena, matura,
leggermente nasale, più potente rispetto al tono “da castrato” (Elton
dixit) dei primi tempi.
Anche a livello artistico la riflessione si
fa soggettiva, perché ero un bimbo quando guardavo un programma RAI
pomeridiano per l’infanzia che aveva per sigla il videoclip di Town of plenty
ed ero ipnotizzato da quel buffo ed eccentrico Willy Wonka pianista;
per anni, prima di interessarmi seriamente alla (sua) musica, ho avuto
la ferrea convinzione che quel brano fosse la più irresistibile canzone
pop mai scritta.
Di certo molti fans italiani sono tali grazie a
questo album, che a sorpresa (visto il flop inglese) fu un successone
nel nostro Paese, trainato anche dal secondo singolo A word in Spanish, solare ballata in pieno boom del pop latino. Ancora oggi lo ascolto con piacere benché mi appaia per quello che è: un Leather Jackets
più bello, più ispirato, più brioso, confezionato meglio ma ugualmente
infarcito di suoni elettronici di grana grossa alternati ad inutili
schitarrate, lo stesso difetto che gravava sul più dozzinale Breaking Hearts.
Il pezzo forte è I don’t wanna go on with you like that,
giustamente estratto come primo singolo, con ritornello killer e
martellante incedere di tastiera e batteria: è il pop che sconfigge il
rock ma in questo caso l’arrangiamento danzereccio è l’arma vincente.
Quindi, a parte le già citate, in ordine di gradimento scelgo: Since God invented girls, ultimo di una breve serie di gioiellini adornati dai cori dei Beach Boys; Poor cow, rabbiosa nel tono e nel testo; Mona Lisas and mad hatters (part two),
che in molti considerano un insulto all’originale e invece dimostra la
versatilità di un musicista che passa senza problemi dalla delicatezza
acustica all’energia funky (grande assolo di tromba!); le ballate
elettroniche The camera never lies e Japanese hands e, infine, due canzoncine veloci, una elettrica (Goodbye Marlon Brando) e una acustica (Heavy traffic), troppo easy ma senza infamia.
Pur con tutti i limiti dell’Elton mestierante, mi è impossibile voler male a questo disco.
Voto 6,5
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