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recensioni dei fans

RECENSIONI DEI VISITATORI

A SINGLE MAN
 

A Single Man

inviate la vostra recensione di un disco di Elton e sarà pubblicata in questa sezione.
non preoccupatevi, non cerchiamo critici professionisti, ma le impressioni, positive o negative, dei fans!



Gianni Cortina  (ottobre 2004)


Stamani mattina, mentre ero in viaggio per VERONA, mi sono deciso a riascoltare dopo un sacco di tempo (più di quattro mesi) l’Album “A SINGLE MAN”.


Mi sono disteso con la poltroncina sino a toccare il sedile anteriore ... sembrava che preparassi strategicamente l’auto per far le cose serie con qualche bella e avvenente signorina ...

E invece guidava soltanto il mio amministratore!!!!!!!!!!!!!!!

Mi sono come “assorto”, nell’ ascoltare il dolce susseguirsi delle prime due melodie.

Se chiudo gli occhi mi sembra di vedere paesi lontani, paesaggi bellissimi sullo sfondo di uno scenario da vacanza ai tropici ...

Il pianoforte in SHINE ON TROUGH lentamente va avanti, e avanza……..come a voler chiudere il prima possibile quest’introduzione così maledettamente inquietante quanto magica.Ecco che esce , come una lacrima dagli occhi, la voce di Elton: intona dei versi così struggenti, così romantici e così magici che fino alla fine della canzone ho avuto la sensazione che i miei brividi non se ne sarebbero andati mai più.

Adesso inizia la splendida RETURN TO PARADISE.  Quel mandolino così tremendamente esotico mi catapulta immediatamente in un velleitario paese lontano…  ….Io sulla battigia cammino mano nella mano con una ragazza del posto, Elton, leggermente defilato al piano che ci intona questa bellissima melodia: un sogno vero e proprio!!!!!

Mi desto quasi di scatto: è ora della super arrangiatissima e bellissima I DON’T CARE. La tentazione è forte quando senti un ritornello del genere: chi se ne frega di tutto, al diavolo il lavoro e la vita di tutti i giorni!!! Andiamocene via, lontano, in un posto dove possiamo ballare al ritmo di questa incalzante melodia che ti mette una tale energia addosso che potresti sentirti in cima al mondo a dettare le nuove regole di un fantomatico nuovo mondo!!!

E poi arriva il momento di BIG DIPPER, canzone senza freno che fa precipitare la mia fantasia in un idilliaco giardino pieno di gente nera che suonando questa allegra melodia mi prende per la mano e mi porta ai confini con la realtà: in un mondo libero, di uomini e donne liberi, vestiti con stracci, ma entusiasticamente felici della loro povertà ...

La lunghezza di IT AIN’T GONNA BE EASY, mi riporta subito alla realtà: e quell’inizio così estremo, così silenzioso e malinconico mi fa pensare che colui che suona, in fondo, è una persona sola e triste, cui neanche quel grande talento che sappiamo ha risparmiato dolorose sofferenze. E l’ascoltare questo pezzo così lungo quanto angoscioso, ci fa capire il suo stato d’animo: è lui che si abbandona a questa tristezza, è lui che sembra voler piangere.

Questo mio strato di profonda malinconia, viene però rimosso completamente, dalla elettrizzante e colorata

PART TIME LOVE. L’energia di questo pezzo mi investe in maniera così travolgente che a fatica riesco a stare disteso sul sedile: così lo alzo su, e come un matto da legare mi metto ad ancheggiare e a smanaccare fino allo spasimo, sotto lo sguardo allibito del mio contabile!!Adesso entriamo in VERONA, c’è molta gente e le mie convulsioni non passano inosservate, così ad ogni signora a passeggio che incrociamo, apro il finestrino e con una mano al cuore accenno a cantare insieme a ELTON!!!!Scena buffissima, con io che subito destato dai cori di GEORGIA, mi ricompongo, mi sistemo e (uffah!!), scendo perché siamo arrivati a destinazione ...

Dopo due ore passate tra incartamenti , bilanci, prime note e paperoni veri e presunti, me ne ritorno in auto letteralmente esausto!!

Così, lascio che sia di nuovo il mio fedele compagno di viaggio a guidare …

Accendo di nuovo il Compact ed ecco finalmente quello che ci voleva dopo una mattinata ultrastressante come questa:
SHOOTING STAR!!!  Piano, piano, mi abbandono alla infinita dolcezza di questa adorabile ballata dai sapori romantici, mielati e così ricca di metafore infinitamente poetiche: ho quasi voglia di metterla di nuovo……ma, si, la metto ancora……
Chiudo gli occhi e mi vedo perso nel cielo stellato a cercare la stella della mia vita, con la quale poter ballare cinti l’uno contro l’altro per il resto dei nostri giorni ...

REVERIE sembra quasi una sorta di parte strumentale del brano precedente, il pezzo conclusivo ...   così mi ritrovo a scendere dall’alto al suono di questa deliziosissima melodia che nella mia discesa, mi ricorda un po’ l’infanzia.

Il tempo di aprire di nuovo gli occhi e prende subito vita una delle ballate più rappresentative del genio ELTON:
ogni tasto di pianoforte che affonda è una dolce carezza alla musica e ogni leggero sussurrio è una romantica dichiarazione d’amore a tutti coloro che la amano ...
Naturalmente sto alludendo alla meravigliosa SONG FOR GUY...!!




Stefano Orsenigo  (2011)

A Single Man ultimo atto del periodo d’oro di Elton John? Non sono d’accordo, per tanti motivi. Al di là del mezzo fiasco commerciale (se paragonato con i successi del recente passato), i due anni trascorsi da Blue Moves sembrano secoli: senza occhiali e con look da gentleman, un Elton quasi irriconoscibile guarda perplesso dalla copertina, un uomo solo perché non ci sono più né Taupin né Dudgeon e delle vecchie band resta solo Ray Cooper.
Il nuovo paroliere si chiama Gary Osborne e le canzoni vengono scritte adattando un testo alla musica già composta, all’opposto del metodo John-Taupin: chissà, magari questo Elton meno cantautore e più musicista poteva trovare una sua dimensione in un album strumentale e non mi stupisce che il brano più celebre lo sia.
David Bowie aveva già realizzato due dischi “New Wave” sperimentali e seminali come Low e Heroes, il 1978 poteva essere anche per Elton l’anno del cambiamento, del rinnovamento, invece a parte le poche concessioni modaiole (I don‘t care arrangiata in stile disco-music) si torna quasi al modello sinfonico dei primi album, senza traccia di sintetizzatori, con pochi sapienti tocchi di chitarra elettrica (di Tim Renwick) e orchestrazioni di Buckmaster; ma tutto troppo soft per reggere il confronto con la magia dei capolavori, che rivive solo nella magnifica Ain’t it gonna be easy, otto superbi minuti di rock-blues orchestrale.
Leggere e scattanti invece, oltre a I don’t care, il primo singolo Part-time love oggi praticamente rinnegato dall’autore (lo considera il suo peggior brano, ma non sfigura al confronto con molte hits successive) e la buffa Big dipper che cita con malizia il jazz anni 30. Tra le ballads spicca la classicissima Shine on through, le altre (Shooting star, Georgia, la dolciastra caraibica Return to paradise) non vanno oltre l'elegante esercizio di stile. Anche la barocca Madness, cronaca di un attentato bombarolo, poteva essere assai migliore del risultato finale, malgrado l‘originalità e i virtuosismi pianistici.
Scelta con successo come secondo singolo, Song for Guy è la delicata e commovente strumentale composta in memoria di un giovane fattorino della Rocket vittima di un incidente in moto ed è l‘unica che raramente Elton esegue in concerto: purtroppo è difficile che rispolveri qualche perlina poco nota e A Single Man, pur non essendo un’ostrica tra le più ricche, non è nemmeno un guscio vuoto.

Voto 6/7

PS tra le versioni remastered quella di A Single Man è forse la più interessante: c'è il singolo Ego, ultimo brano scritto da Bernie prima della separazione, tra i più folli e meno orecchiabili di Elton (e infatti fu un bel fiasco), la sua B-side Flintstone boy, svagatamente country e uno dei pochissimi brani in cui il musicista firma anche il testo; quindi due gioielli scartati da Blue Moves: la magnifica, dolente piano-voce I cry at night e la briosa Lovesick. Infine Strangers, un lento che chissà come era finito a far da B-side al singolo Victim of love. Imperdibile: però si poteva far spazio anche a Dreamboat, proveniente dalle stesse sessions e finita in coda alla riedizione di Too Low For Zero (col quale non c'entra niente).




di Giorgia Turnone  (gennaio 2010)

40 (+1) anni d’ispirazione -
1978: John vs Taupin

Splendido. E’ un aggettivo che si addice perfettamente ad un album, questo, che sancisce il definitvo tramonto dello strapotere Eltonjohniano anni 70s. L’ultimo vero capolavoro. Brani delicati ed energici, che forse peccano solo nei testi, altrimenti sarebbero davvero a livelli stellari. La canzone “Madness” è particolarissima e spumeggiante, l’intro al pianoforte è da brividi. Buon accordo tra testo e musica in “Shine On Through” . Si lascia ascoltare senza troppe pretese la calda “Georgia”, che tratta dell’omonimo stato d’America. Ma tra tutte spicca una gemma. E’ la splendida “Song For Guy”, interamente strumentale. Però, sul finale, quel “life isn’t everything” racchiude in se tutta la particolarità della vita che può farti sentire un re e un attimo dopo può affossarti. Perché, è vero, non basta una vita per cancellare un attimo, ma a volte basta un attimo per cancellare una vita.

Che si può dire, su un album così? Niente, è tutto perfetto. O quasi. Ormai spremuto come un limone, Elton affoga la sua depressione in una dose che spesso risulta essere di troppo. E non inganni la splendida riuscita di questo disco: passeranno due decenni prima di vederne altri così.

Si sono amati, poi “detestati”, ora il rapporto è di totale indifferenza. Però si parlano. Poco, ma si parlano. Ciao, come va? Tutto a posto? Così, poche parole ormai tra Elton John e Bernie Taupin. Due che hanno fatto divertire parecchia gente da queste parti (e non solo): un pianoforte lì, un pennino di là, una musica pazzesca, un testo fantastico. E ora? Niente o quasi.

Distanti. E’ rimasto il ricordo di una vecchia amicizia, nata nel lontano 1967, quando Reg Dwight conosce il 17enne Taupin. Entrambi protetti dal loro talento. Tutti al fianco del pianista, il paroliere invece solo come un lupo. Così simili, così diversi. Album spettacolari, tour fantastici, un grande rapporto di amicizia. Poi, le dipendenze della rockstar, il trauma matrimoniale di Taupin, Blue Moves, quindi il vuoto. Un fatale battibecco per questioni private, l’allontanamento l’uno dall’altro con la conseguente scomparsa di Bernie nella carriera di John.

Era bello vederli comporre con il sorriso sulle labbra, non il massimo osservare che ora si citino solo nelle interviste. Su richiesta, per giunta. Da lì, la decadenza di Taupin coincideva addirittura con la crescita di Elton. Mi spiego. Il primo, perso nei guai del divorzio e dell’alcool, era a stento ricordato per il celebre passato, il secondo stappava applausi convinti alla critica con questo album, appunto, scritto senza il suo principale paroliere. Poi i rapporti sono leggermente migliorati. Come detto, almeno si parlano.

Tutti parlano di Elton John, di Bernie Taupin no. Una sorta di bello e brutto anatroccolo. Il paroliere, nello stesso anno, scrive i testi per un album di Alice Cooper, “From The Inside”, e si parla già di concorrenza agguerrita con il pianista di Pinner. Magari vi era solo rivalità commerciale, ma nulla di più. Qualitativamente, non è mistero che “A Single Man” sia nettamente superiore. Forse, il John avrà pensato ad un nuovo volto della sua carriera, con Gary Osborne. Perché il primo album insieme è stato davvero un capolavoro, superiore forse all’ultimo scritto con Taupin. Ma si sa, una rondine non fa primavera.

E il prossimo album? Chissà. Chi vivrà, vedrà. L’eco dei vecchi successi della coppia scoppiata non è del tutto scomaprso, ed è probabile che Elton e Bernie si siano incontrati. Si riparte da questo. Come va? Tutto a posto? Poi ognuno per la sua strada, con il ricordo di quando e quanto si erano amati. E con la speranza per John di continuare la sua serie positiva con Osborne. Taupin muore con il suo matrimonio e con il primo Elton.

Il destino di due fenomeni, un tempo così vicini, ora mai così lontani.
      

di Max Pollavini  2012


Dopo i risultati piuttosto altalenanti e, a tratti, confusionari dell’ultima opera targata John-Taupin-Dudgeon (Blue Moves) si procede a un cambio radicale per questo A Single Man, tra cui la decisione di Elton John autoprodursi (pur coadiuvato da Clive Franks) e di affidarsi a un nuovo paroliere, Gary Osborne.

L’obiettivo sembrava essere quello di liberarsi da ogni eccesso, anche lirico, e realizzare il disco più essenziale e stripped down dai tempi di Honky Chateau. Il risultato è che questa semplificazione sonora si radica su un substrato melodico assai fragile, e poco ispirato, finendo per ingigantirne i difetti piuttosto che valorizzarne i pregi: Elton non è più il compositore in stato di grazia del 1970, quando alle sue melodie sarebbe bastato un pianoforte, una voce pur acerba e poco altro per trovare pieno compimento. Si aggiunga, che questo processo di “spoglio” produttivo finisce per consegnare all’ascoltatore, nell’accoppiata suono/arrangiamento, non un qualcosa di grezzo, libero e quindi vibrante, ma un prodotto troppo spesso scolastico, insipido, vuoto. Sembra sempre mancare qualcosa, un’idea, un rintocco, un suono capace di colpire nel segno. Un disco pulito ed elegante ma carente di appeal.

E l’aspetto più drammaticamente negativo finiscono poi essere i testi di Gary Osborne, banali, stracolmi di clichè, privi del benché minimo spirito poetico.

L’album si apre con la miglior melodia del disco, Shine on Through, una classica ballata eltoniana, ben suonata, ben cantata e costruita su un arrangiamento essenziale con il pianoforte come punto centrale ed essenziale: tutto ben calibrato e lineare, ma con un certo annacquamento della pur evidente radice gospel.
Segue l'assai banale Return to Paradise, una sorta di riciclo minore di Island Girl. I brani uptempo Part Time Love, I Don’t Care e la confusionaria Madness non servono a innalzare il livello del lavoro, nè il suo fascino, apparendo futili esercizi senza troppo costrutto (valorizzabili, in teoria, solo con arrangiamenti più taglienti e sprezzanti stile Rock of the Westies). Più interessanti e riuscite sono invece la divertente, teatrale, recitata provocazione di Big Dipper e il lento southern gospel corale di Georgia (che pure sembra affievolirsi nel finale). Accettabile, anche se in un certo senso incompiuta, la sofferta Shooting Star.

Il brano complessivamente più riuscito, e che finisce per distinguersi abbastanza nettamente dagli altri, è invece It Ain't Gonna Be Easy: oscuro, malinconico pezzo rock/blues condotto dal predominante duo composto dal pianoforte di Elton e alla splendida chitarra di Tim Renwick attorno ai quali si integrano, perfettamente a loro agio, percussioni, basso e archi.

Si conclude con la strumentale Song for Guy, brano piuttosto elementare ma di qualche impatto seppur offuscato dal sintetizzatore, che troverà la sua collocazione finale quale sottofondo di spot pubblicitari, hall e ascensori di alberghi.

Gli anni Settanta volgono al termine e il loro grande, eccelso, Fantastico dominatore non era mai suonato tanto vuoto e irrilevante.

Voto: 61/100


Song by song:

Shine On Through 7,0
Return To Paradise 5,3
I Don't Care 5,3
Big Dipper 7,0
It Ain't Gonna Be Easy 8,0
Part Time Love 5,2
Georgia 6,7
Shooting Star 6,2
Madness 5,4
Reverie/ Song For Guy 6,5



Adolfo Bonvicini - Luglio 2012

Due anni di assenza dalle scene,due anni durante i quali l'universo musicale subisce un radicale mutamento.   Chi, nel 76 vendeva vagonate di dischi e riempiva arene e stadi,nel 78 viene deriso e considerato un dinosauro.   La rivoluzione punk (unitamente al fenomeno "disco") modifica anche il "mainstream"e chi non si adegua e' tagliato fuori.

E' in questo contesto che un Elton John orfano del suo paroliere (esce B.Taupin entra Gary Osbourne), del suo produttore (esce Gus Dudgeon ,entra Clive Franks che produce insieme al padrone di casa) e di una band (sostituita da un combo di "session men" di lusso) si riaffaccia sulle scene musicali.
Il risultato?   Anacronistico.
Come abbia fatto a uscirsene,nel '78, con due singoli come "Part Time Love" e "Song For Guy" e non venire schiacciato dall'unanime disprezzo rimane a tutt'oggi uno dei grandi misteri dell'universo.   La prima e' un up-tempo leggero, piacevole quanto totalmente innocuo e la seconda un classico da ascensore,da centro commerciale ,da aeroporto...insomma collocatela dove meglio credete.
Fortunatamente sull'album c'e' di meglio,anche se non e' il "meglio" che Elton aveva a disposizione .Inspiegabilmente vengono escluse dal disco due delle "scorie" del sodalizio John-Taupin dell'ultimo periodo .Per chi scrive sono due pezzi da novanta.Due canzoni che avrebbero elevato le quotazioni di un disco che rimane sostanzialmente una occasione sprecata.
"Ego", successivamente pubblicata come singolo ,e' un brano incalzante,avventuroso, brillante e molto divertente ma anche spiazzante e quindi non capito.Un flop al botteghino.   Ma doveva stare sull'album.
"I Cry At Night" risale alle session di "Blue Moves" ed e' un capolavoro di spettrale desolazione.   Come si possa relegare una canzone cosi' a B-Side e' un ennesimo interrogativo.   Doveva stare sull'album.
Cosa rimane?   Una prima side "vinilica" molto decorosa, aperta da una fascinosa ballata , "Shine On Through", rivisitazione di un brano gia' inciso durante le "Thom Bell sessions " del 1977.  "Return To Paradise" e' una brezza pop estiva arrangiata splendidamente.   "I Don't Care" un r&b non particolarmente originale ma efficace.   "Big Dipper" un irresistibile stomp in chiave New Orleans.   La lunga "It Ain't Gonna Be Easy" e' bluesata e notturna, dominata dalla chitarra "floydiana" di Tim Renwick ed e' il pezzo migliore del disco.
La seconda side e' semi disastrosa.   Si apre e si chiude con i due,poco trascendentali, singoli e nel mezzo c'e' ben poco.   Unica luce nel buio e' "Georgia", un country-gospel che rimanda a"Tumbleweed Connection" e che salva il disco dal burrone.  Burrone nel quale getto volentieri il jazzato esercizio da "small hours" di "Shooting Star" e il polpettone in chiave Euro-Pop di "Madness", quasi sei minuti di pulsante noia che sembrano usciti da un incubo degli ABBA .
L'edizione rimasterizzata in cd mette a disposizione una manciata di "bonus tracks" tra cui le citate "Ego" e "I Cry At Night" e ci da la possibilita' di "ricostruire" un disco che avrebbe meritato piu' attenzione durante la scelta dei brani.




di Angelo  - luglio 2012

Si chiudono gli anni ’70 e non possiamo non tenerne conto per valutare questo disco; forse in nessun caso, come in questo, occorre contestualizzare bene il momento in cui un album è stato concepito e realizzato per poterlo ascoltare e giudicare fino in fondo.
Questo "A single man" chiude davvero un’epoca o l’Elton che conosciamo, quello geniale e dalle grandi idee si è consumato già al precedente "Blue moves"?
Sinceramente, per quanto mi senta innamorato di "Blue moves", non accetto che "A single man" venga considerato figlio di un dio minore, perché non è così; a mio avviso, inoltre, il vero cambiamento, la vera cesura stilistica (a livello qualitativo e non prettamente commerciale) che possiamo cercare in Elton John, sta tra l’album "The fox" e "Jump up!", è lì che crolla qualcosa, ma non in "A single man".
Affatto.
E’ un album davvero ben fatto, certo i testi del nuovo paroliere impallidiscono rispetto a quelli di Taupin, ma il risultato non cambia, ci troviamo di fronte ad un grande album, musicato, suonato e, soprattutto, cantato benissimo.
Il mio pezzo preferito è indubbiamente "Song for Guy", una strumentale straordinaria, dolce, malinconica, mai scontata. Ebbe uno straordinario successo all’epoca, specialmente in UK, e fece conseguire ad Elton un bell’Ivor Award nel 1979. Per me è un bel 9 tondo tondo.
Mi piacciono moltissimo anche "Shine on through", che apre l’album quasi in sordina, in maniera semplice ma d’effetto, e "It ain’t gonna be easy", incredibile pezzo interpretato da un Elton al massimo!
Forse il pezzo più banale e scontato è "Shooting star", non l’ho mai apprezzata troppo, la trovo sdolcinata e un po’ soporifera.
Divertentissima invece "Part-time love", altro singolo di successo, che è stata una delle prime canzoni sentite di Elton alla radio (alla fine degli anni ’80, qui in Italia, improvvisamente scoprirono Elton e alla radio beccavo sempre tantissime sue canzoni!) e quindi l’effetto nostalgia ne solleva un po’ il voto, che cmq, per me, non supera il 7 pieno.
Gli altri pezzi sono tutti abbastanza apprezzabili, non c’è nulla di molto rilevante da dire; "A single man" è un album che non ascolto spesso, ma quando lo faccio ne resto sempre piacevolmente colpito.
Dispiace vedere come Elton lo abbia messo da parte, anche nei suoi live, perché invece presenta dei pezzi che potrebbero benissimo colpire per loro interpretazione.
Alcuni dicono che con questo album si chiuda la “Golden Age”, se così è (ma ho già detto che per me non lo è affatto), Elton ha chiuso alla grande.

Voto complessivo: 7,5


di The Bridge   2012

Recensire A Single Man non è semplice; se il precedente Blue Moves spiazzava l'ascoltatore con un inquieto miscuglio di stili, qui Elton cerca di realizzare un prodotto omogeneo e fresco. Ci riesce? Non direi. Innanzitutto la scelta di non includervi lo sfortunato singolo "Ego", l'esperimento più innovativo dell'Elton di quel periodo, nuoce gravemente alla riuscita generale dell'album, che a mio parere avrebbe avuto bisogno di qualche episodio "sperimentale" in più. I brani veloci dell'album, tra cui il singolo "part-time love", sono freschi e gradevoli, ma niente di più. Sui testi del nuovo paroliere meglio sorvolare. Il brano strumentale nonché singolo più famoso dell'album, "Song for Guy", è invece un meraviglioso (anche se prolisso) esempio della grandezza dell'Elton compositore e piano-man; tuttavia anch'esso appare più come una logica evoluzione dei precedenti "Tonight" o "Ticking", che come una vera e propria boccata d'aria fresca. Insomma, è forse il migliore del suo genere, ma non è niente di nuovo. "Madness", il brano più sperimentale dell'album, alterna alcune parti ottime (benché poco eltoniane) ad altre banali. Il lungo brano ".. ain't gonna be easy" è denso di atmosfera e rarefatto, ma difficilmente lo si può annoverare tra i grandi classici senza tempo eltoniani: manca quel pizzico di freschezza e di originalità che aveva fatto grandi i brani corrispondenti degli album precedenti (penso, ad esempio, alla meravigliosa "Someone saved my life tonight", o a "Madman across the water", altri due lunghi brani densi di atmosfera e, benché diversissimi tra loro, assolutamente geniali). "Return to paradise" è un leggero calypso come lo era stata "Island girl" o come lo sarà "Passengers": tutte canzoncine discrete e nulla più. Poi c'è "Shooting star", che a me piace. E' un pezzo in stile crooner come lo sarà, più di trent'anni dopo, "When love is dying". In definitiva ad "A Single Man" manca qualcosa: non è certo un prodotto originale, e per di più gli manca l'immediatezza e quel "non so che" della fresca ispirazione degli album precedenti. Però rimane un prodotto d'obbligo per chi cerca buona musica, ottimamente suonata e interpretata (magari senza prestare attenzione alle liriche); senza contare che gli album che lo seguiranno solo in rarissimi casi riusciranno ad avvicinarsi a questi livelli. L'epoca d'oro finisce qui.