RECENSIONI
DEI VISITATORI
A SINGLE MAN
inviate la vostra
recensione di un disco
di Elton e sarà pubblicata in questa sezione.
non preoccupatevi, non
cerchiamo critici
professionisti, ma le impressioni, positive o negative, dei fans!
Gianni Cortina
(ottobre 2004)
Stamani mattina, mentre ero in viaggio per VERONA, mi sono deciso a
riascoltare dopo un sacco di tempo (più di quattro mesi) l’Album “A
SINGLE MAN”.
Mi sono disteso con la poltroncina sino a toccare il sedile
anteriore ... sembrava che preparassi strategicamente l’auto per far le
cose serie con qualche bella e avvenente signorina ...
E invece guidava soltanto il mio amministratore!!!!!!!!!!!!!!!
Mi sono come “assorto”, nell’ ascoltare il dolce susseguirsi delle prime due melodie.
Se chiudo gli occhi mi sembra di vedere paesi lontani, paesaggi
bellissimi sullo sfondo di uno scenario da vacanza ai
tropici ...
Il pianoforte in SHINE ON TROUGH lentamente va avanti, e
avanza……..come a voler chiudere il prima possibile quest’introduzione
così maledettamente inquietante quanto magica.Ecco che esce , come una
lacrima dagli occhi, la voce di Elton: intona dei versi così
struggenti, così romantici e così magici che fino alla fine della
canzone ho avuto la sensazione che i miei brividi non se ne sarebbero
andati mai più.
Adesso inizia la splendida RETURN TO PARADISE. Quel mandolino così
tremendamente esotico mi catapulta immediatamente in un velleitario
paese lontano… ….Io sulla battigia cammino mano nella mano con una
ragazza del posto, Elton, leggermente defilato al piano che ci intona
questa bellissima melodia: un sogno vero e proprio!!!!!
Mi desto quasi di scatto: è ora della super arrangiatissima e
bellissima I DON’T CARE. La tentazione è forte quando senti un
ritornello del genere: chi se ne frega di tutto, al diavolo il lavoro e
la vita di tutti i giorni!!! Andiamocene via, lontano, in un posto dove
possiamo ballare al ritmo di questa incalzante melodia che ti mette una
tale energia addosso che potresti sentirti in cima al mondo a dettare
le nuove regole di un fantomatico nuovo mondo!!!
E poi arriva il momento di BIG DIPPER, canzone senza freno che fa
precipitare la mia fantasia in un idilliaco giardino pieno di gente
nera che suonando questa allegra melodia mi prende per la mano e mi
porta ai confini con la realtà: in un mondo libero, di uomini e donne
liberi, vestiti con stracci, ma entusiasticamente felici della loro
povertà ...
La lunghezza di IT AIN’T GONNA BE EASY, mi riporta subito alla
realtà: e quell’inizio così estremo, così silenzioso e malinconico mi
fa pensare che colui che suona, in fondo, è una persona sola e triste,
cui neanche quel grande talento che sappiamo ha risparmiato dolorose
sofferenze. E l’ascoltare questo pezzo così lungo quanto angoscioso, ci
fa capire il suo stato d’animo: è lui che si abbandona a questa
tristezza, è lui che sembra voler piangere.
Questo mio strato di profonda malinconia, viene però rimosso completamente, dalla elettrizzante e colorata
PART TIME LOVE. L’energia di questo pezzo mi investe in maniera
così travolgente che a fatica riesco a stare disteso sul sedile: così
lo alzo su, e come un matto da legare mi metto ad ancheggiare e a
smanaccare fino allo spasimo, sotto lo sguardo allibito del mio
contabile!!Adesso entriamo in VERONA, c’è molta gente e le mie
convulsioni non passano inosservate, così ad ogni signora a passeggio
che incrociamo, apro il finestrino e con una mano al cuore accenno a
cantare insieme a ELTON!!!!Scena buffissima, con io che subito destato
dai cori di GEORGIA, mi ricompongo, mi sistemo e (uffah!!), scendo
perché siamo arrivati a destinazione ...
Dopo due ore passate tra incartamenti , bilanci, prime note e
paperoni veri e presunti, me ne ritorno in auto letteralmente esausto!!
Così, lascio che sia di nuovo il mio fedele compagno di viaggio a guidare …
Accendo di nuovo il Compact ed ecco finalmente quello che ci voleva dopo una mattinata ultrastressante come questa:
SHOOTING STAR!!! Piano, piano, mi abbandono alla infinita dolcezza
di questa adorabile ballata dai sapori romantici, mielati e così ricca
di metafore infinitamente poetiche: ho quasi voglia di metterla di
nuovo……ma, si, la metto ancora……
Chiudo gli occhi e mi vedo perso nel cielo stellato a cercare la
stella della mia vita, con la quale poter ballare cinti l’uno contro
l’altro per il resto dei nostri giorni ...
REVERIE sembra quasi una sorta di parte strumentale del brano
precedente, il pezzo conclusivo ... così mi ritrovo a scendere dall’alto
al suono di questa deliziosissima melodia che nella mia discesa, mi
ricorda un po’ l’infanzia.
Il tempo di aprire di nuovo gli occhi e prende subito vita una delle ballate più rappresentative del genio ELTON:
ogni tasto di pianoforte che affonda è una dolce carezza alla
musica e ogni leggero sussurrio è una romantica dichiarazione d’amore a
tutti coloro che la amano ...
Naturalmente sto alludendo alla meravigliosa SONG FOR GUY...!!
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Stefano Orsenigo (2011)
A
Single Man ultimo atto del periodo d’oro di Elton John? Non sono
d’accordo, per tanti motivi. Al di là del mezzo fiasco commerciale (se
paragonato con i successi del recente passato), i due anni trascorsi da
Blue Moves sembrano secoli: senza occhiali e con look da gentleman, un
Elton quasi irriconoscibile guarda perplesso dalla copertina, un uomo
solo perché non ci sono più né Taupin né Dudgeon e delle vecchie band
resta solo Ray Cooper.
Il nuovo paroliere si chiama Gary Osborne e le canzoni vengono scritte
adattando un testo alla musica già composta, all’opposto del metodo
John-Taupin: chissà, magari questo Elton meno cantautore e più
musicista poteva trovare una sua dimensione in un album strumentale e
non mi stupisce che il brano più celebre lo sia.
David Bowie aveva già realizzato due dischi “New Wave” sperimentali e
seminali come Low e Heroes, il 1978 poteva essere anche per Elton
l’anno del cambiamento, del rinnovamento, invece a parte le poche
concessioni modaiole (I don‘t care arrangiata in stile disco-music) si
torna quasi al modello sinfonico dei primi album, senza traccia di
sintetizzatori, con pochi sapienti tocchi di chitarra elettrica (di Tim
Renwick) e orchestrazioni di Buckmaster; ma tutto troppo soft per
reggere il confronto con la magia dei capolavori, che rivive solo nella
magnifica Ain’t it gonna be easy, otto superbi minuti di rock-blues
orchestrale.
Leggere e scattanti invece, oltre a I don’t care, il primo singolo
Part-time love oggi praticamente rinnegato dall’autore (lo considera il
suo peggior brano, ma non sfigura al confronto con molte hits
successive) e la buffa Big dipper che cita con malizia il jazz anni 30.
Tra le ballads spicca la classicissima Shine on through, le altre
(Shooting star, Georgia, la dolciastra caraibica Return to paradise)
non vanno oltre l'elegante esercizio di stile. Anche la barocca
Madness, cronaca di un attentato bombarolo, poteva essere assai
migliore del risultato finale, malgrado l‘originalità e i virtuosismi
pianistici.
Scelta con successo come secondo singolo, Song for Guy è la delicata e
commovente strumentale composta in memoria di un giovane fattorino
della Rocket vittima di un incidente in moto ed è l‘unica che raramente
Elton esegue in concerto: purtroppo è difficile che rispolveri qualche
perlina poco nota e A Single Man, pur non essendo un’ostrica tra le più
ricche, non è nemmeno un guscio vuoto.
Voto 6/7
PS tra le versioni remastered quella di A Single Man è forse la più
interessante: c'è il singolo Ego, ultimo brano scritto da Bernie prima
della separazione, tra i più folli e meno orecchiabili di Elton (e
infatti fu un bel fiasco), la sua B-side Flintstone boy, svagatamente
country e uno dei pochissimi brani in cui il musicista firma anche il
testo; quindi due gioielli scartati da Blue Moves: la magnifica,
dolente piano-voce I cry at night e la briosa Lovesick. Infine
Strangers, un lento che chissà come era finito a far da B-side al
singolo Victim of love. Imperdibile: però si poteva far spazio anche a
Dreamboat, proveniente dalle stesse sessions e finita in coda alla
riedizione di Too Low For Zero (col quale non c'entra niente).
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di Giorgia Turnone (gennaio 2010)
40 (+1) anni d’ispirazione -
1978: John vs Taupin
Splendido.
E’ un aggettivo che si addice perfettamente ad un album, questo, che
sancisce il definitvo tramonto dello strapotere Eltonjohniano anni 70s.
L’ultimo vero capolavoro. Brani delicati ed energici, che forse peccano
solo nei testi, altrimenti sarebbero davvero a livelli stellari. La
canzone “Madness” è particolarissima e spumeggiante, l’intro al
pianoforte è da brividi. Buon accordo tra testo e musica in “Shine On
Through” . Si lascia ascoltare senza troppe pretese la calda “Georgia”,
che tratta dell’omonimo stato d’America. Ma tra tutte spicca una gemma.
E’ la splendida “Song For Guy”, interamente strumentale. Però, sul
finale, quel “life isn’t everything” racchiude in se tutta la
particolarità della vita che può farti sentire un re e un attimo dopo
può affossarti. Perché, è vero, non basta una vita per cancellare un
attimo, ma a volte basta un attimo per cancellare una vita.
Che
si può dire, su un album così? Niente, è tutto perfetto. O quasi. Ormai
spremuto come un limone, Elton affoga la sua depressione in una dose
che spesso risulta essere di troppo. E non inganni la splendida
riuscita di questo disco: passeranno due decenni prima di vederne altri
così.
Si sono amati, poi “detestati”, ora il rapporto è di
totale indifferenza. Però si parlano. Poco, ma si parlano. Ciao, come
va? Tutto a posto? Così, poche parole ormai tra Elton John e Bernie
Taupin. Due che hanno fatto divertire parecchia gente da queste parti
(e non solo): un pianoforte lì, un pennino di là, una musica pazzesca,
un testo fantastico. E ora? Niente o quasi.
Distanti. E’ rimasto
il ricordo di una vecchia amicizia, nata nel lontano 1967, quando Reg
Dwight conosce il 17enne Taupin. Entrambi protetti dal loro talento.
Tutti al fianco del pianista, il paroliere invece solo come un lupo.
Così simili, così diversi. Album spettacolari, tour fantastici, un
grande rapporto di amicizia. Poi, le dipendenze della rockstar, il
trauma matrimoniale di Taupin, Blue Moves, quindi il vuoto. Un fatale
battibecco per questioni private, l’allontanamento l’uno dall’altro con
la conseguente scomparsa di Bernie nella carriera di John.
Era
bello vederli comporre con il sorriso sulle labbra, non il massimo
osservare che ora si citino solo nelle interviste. Su richiesta, per
giunta. Da lì, la decadenza di Taupin coincideva addirittura con la
crescita di Elton. Mi spiego. Il primo, perso nei guai del divorzio e
dell’alcool, era a stento ricordato per il celebre passato, il secondo
stappava applausi convinti alla critica con questo album, appunto,
scritto senza il suo principale paroliere. Poi i rapporti sono
leggermente migliorati. Come detto, almeno si parlano.
Tutti
parlano di Elton John, di Bernie Taupin no. Una sorta di bello e brutto
anatroccolo. Il paroliere, nello stesso anno, scrive i testi per un
album di Alice Cooper, “From The Inside”, e si parla già di concorrenza
agguerrita con il pianista di Pinner. Magari vi era solo rivalità
commerciale, ma nulla di più. Qualitativamente, non è mistero che “A
Single Man” sia nettamente superiore. Forse, il John avrà pensato ad un
nuovo volto della sua carriera, con Gary Osborne. Perché il primo album
insieme è stato davvero un capolavoro, superiore forse all’ultimo
scritto con Taupin. Ma si sa, una rondine non fa primavera.
E il
prossimo album? Chissà. Chi vivrà, vedrà. L’eco dei vecchi successi
della coppia scoppiata non è del tutto scomaprso, ed è probabile che
Elton e Bernie si siano incontrati. Si riparte da questo. Come va?
Tutto a posto? Poi ognuno per la sua strada, con il ricordo di quando e
quanto si erano amati. E con la speranza per John di continuare la sua
serie positiva con Osborne. Taupin muore con il suo matrimonio e con il
primo Elton.
Il destino di due fenomeni, un tempo così vicini, ora mai così lontani.
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di Max Pollavini 2012
Dopo i risultati piuttosto altalenanti e, a tratti, confusionari dell’ultima opera targata John-Taupin-Dudgeon (Blue Moves) si procede a un cambio radicale per questo A Single Man,
tra cui la decisione di Elton John autoprodursi (pur coadiuvato da
Clive Franks) e di affidarsi a un nuovo paroliere, Gary Osborne.
L’obiettivo sembrava essere quello di liberarsi da ogni eccesso, anche lirico, e realizzare il disco più essenziale e stripped down dai tempi di Honky Chateau.
Il risultato è che questa semplificazione sonora si radica su un
substrato melodico assai fragile, e poco ispirato, finendo per
ingigantirne i difetti piuttosto che valorizzarne i pregi: Elton non è
più il compositore in stato di grazia del 1970, quando alle sue melodie
sarebbe bastato un pianoforte, una voce pur acerba e poco altro per
trovare pieno compimento. Si aggiunga, che questo processo di “spoglio”
produttivo finisce per consegnare all’ascoltatore, nell’accoppiata
suono/arrangiamento, non un qualcosa di grezzo, libero e quindi
vibrante, ma un prodotto troppo spesso scolastico, insipido, vuoto.
Sembra sempre mancare qualcosa, un’idea, un rintocco, un suono capace di
colpire nel segno. Un disco pulito ed elegante ma carente di appeal.
E
l’aspetto più drammaticamente negativo finiscono poi essere i testi di
Gary Osborne, banali, stracolmi di clichè, privi del benché minimo
spirito poetico.
L’album si apre con la miglior melodia del disco, Shine on Through,
una classica ballata eltoniana, ben suonata, ben cantata e costruita su
un arrangiamento essenziale con il pianoforte come punto centrale ed
essenziale: tutto ben calibrato e lineare, ma con un certo annacquamento
della pur evidente radice gospel.
Segue l'assai banale Return to Paradise, una sorta di riciclo minore di Island Girl. I brani uptempo Part Time Love, I Don’t Care e la confusionaria Madness
non servono a innalzare il livello del lavoro, nè il suo fascino,
apparendo futili esercizi senza troppo costrutto (valorizzabili, in
teoria, solo con arrangiamenti più taglienti e sprezzanti stile Rock of the Westies). Più interessanti e riuscite sono invece la divertente, teatrale, recitata provocazione di Big Dipper e il lento southern gospel corale di Georgia (che pure sembra affievolirsi nel finale). Accettabile, anche se in un certo senso incompiuta, la sofferta Shooting Star.
Il brano complessivamente più riuscito, e che finisce per distinguersi abbastanza nettamente dagli altri, è invece It Ain't Gonna Be Easy:
oscuro, malinconico pezzo rock/blues condotto dal predominante duo
composto dal pianoforte di Elton e alla splendida chitarra di Tim
Renwick attorno ai quali si integrano, perfettamente a loro agio,
percussioni, basso e archi.
Si conclude con la strumentale Song for Guy,
brano piuttosto elementare ma di qualche impatto seppur offuscato dal
sintetizzatore, che troverà la sua collocazione finale quale sottofondo
di spot pubblicitari, hall e ascensori di alberghi.
Gli anni
Settanta volgono al termine e il loro grande, eccelso, Fantastico
dominatore non era mai suonato tanto vuoto e irrilevante.
Voto: 61/100
Song by song:
Shine On Through 7,0
Return To Paradise 5,3
I Don't Care 5,3
Big Dipper 7,0
It Ain't Gonna Be Easy 8,0
Part Time Love 5,2
Georgia 6,7
Shooting Star 6,2
Madness 5,4
Reverie/ Song For Guy 6,5
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Adolfo Bonvicini - Luglio 2012
Due anni di assenza dalle scene,due anni durante i quali l'universo
musicale subisce un radicale mutamento. Chi, nel 76 vendeva vagonate di
dischi e riempiva arene e stadi,nel 78 viene deriso e considerato un
dinosauro. La rivoluzione punk (unitamente al fenomeno "disco") modifica
anche il "mainstream"e chi non si adegua e' tagliato fuori.
E' in
questo contesto che un Elton John orfano del suo paroliere (esce B.Taupin
entra Gary Osbourne), del suo produttore (esce Gus Dudgeon ,entra Clive
Franks che produce insieme al padrone di casa) e di una band (sostituita
da un combo di "session men" di lusso) si riaffaccia sulle scene
musicali.
Il risultato? Anacronistico.
Come abbia fatto a
uscirsene,nel '78, con due singoli come "Part Time Love" e "Song For
Guy" e non venire schiacciato dall'unanime disprezzo rimane a tutt'oggi
uno dei grandi misteri dell'universo. La prima e' un up-tempo leggero,
piacevole quanto totalmente innocuo e la seconda un classico da
ascensore,da centro commerciale ,da aeroporto...insomma collocatela dove
meglio credete.
Fortunatamente sull'album c'e' di meglio,anche se
non e' il "meglio" che Elton aveva a disposizione .Inspiegabilmente
vengono escluse dal disco due delle "scorie" del sodalizio John-Taupin
dell'ultimo periodo .Per chi scrive sono due pezzi da novanta.Due
canzoni che avrebbero elevato le quotazioni di un disco che rimane
sostanzialmente una occasione sprecata.
"Ego", successivamente
pubblicata come singolo ,e' un brano incalzante,avventuroso, brillante e
molto divertente ma anche spiazzante e quindi non capito.Un flop al
botteghino. Ma doveva stare sull'album.
"I Cry At Night" risale alle
session di "Blue Moves" ed e' un capolavoro di spettrale
desolazione. Come si possa relegare una canzone cosi' a B-Side e' un
ennesimo interrogativo. Doveva stare sull'album.
Cosa rimane? Una
prima side "vinilica" molto decorosa, aperta da una fascinosa ballata
, "Shine On Through", rivisitazione di un brano gia' inciso durante le
"Thom Bell sessions " del 1977. "Return To Paradise" e' una brezza pop
estiva arrangiata splendidamente. "I Don't Care" un r&b non
particolarmente originale ma efficace. "Big Dipper" un irresistibile
stomp in chiave New Orleans. La lunga "It Ain't Gonna Be Easy" e'
bluesata e notturna, dominata dalla chitarra "floydiana" di Tim Renwick
ed e' il pezzo migliore del disco.
La seconda side e' semi
disastrosa. Si apre e si chiude con i due,poco trascendentali, singoli e
nel mezzo c'e' ben poco. Unica luce nel buio e' "Georgia", un
country-gospel che rimanda a"Tumbleweed Connection" e che salva il disco
dal burrone. Burrone nel quale getto volentieri il jazzato esercizio da
"small hours" di "Shooting Star" e il polpettone in chiave Euro-Pop di
"Madness", quasi sei minuti di pulsante noia che sembrano usciti da un
incubo degli ABBA .
L'edizione rimasterizzata in cd mette a
disposizione una manciata di "bonus tracks" tra cui le citate "Ego" e "I
Cry At Night" e ci da la possibilita' di "ricostruire" un disco che
avrebbe meritato piu' attenzione durante la scelta dei brani.
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di Angelo - luglio 2012
Si chiudono gli anni ’70 e non possiamo non tenerne conto per valutare
questo disco; forse in nessun caso, come in questo, occorre
contestualizzare bene il momento in cui un album è stato concepito e
realizzato per poterlo ascoltare e giudicare fino in fondo.
Questo "A
single man" chiude davvero un’epoca o l’Elton che conosciamo, quello
geniale e dalle grandi idee si è consumato già al precedente "Blue
moves"?
Sinceramente, per quanto mi senta innamorato di "Blue moves",
non accetto che "A single man" venga considerato figlio di un dio
minore, perché non è così; a mio avviso, inoltre, il vero cambiamento,
la vera cesura stilistica (a livello qualitativo e non prettamente
commerciale) che possiamo cercare in Elton John, sta tra l’album "The
fox" e "Jump up!", è lì che crolla qualcosa, ma non in "A single man".
Affatto.
E’
un album davvero ben fatto, certo i testi del nuovo paroliere
impallidiscono rispetto a quelli di Taupin, ma il risultato non cambia,
ci troviamo di fronte ad un grande album, musicato, suonato e,
soprattutto, cantato benissimo.
Il mio pezzo preferito è
indubbiamente "Song for Guy", una strumentale straordinaria, dolce,
malinconica, mai scontata. Ebbe uno straordinario successo all’epoca,
specialmente in UK, e fece conseguire ad Elton un bell’Ivor Award nel
1979. Per me è un bel 9 tondo tondo.
Mi piacciono moltissimo anche
"Shine on through", che apre l’album quasi in sordina, in maniera
semplice ma d’effetto, e "It ain’t gonna be easy", incredibile pezzo
interpretato da un Elton al massimo!
Forse il pezzo più banale e scontato è "Shooting star", non l’ho mai apprezzata troppo, la trovo sdolcinata e un po’ soporifera.
Divertentissima
invece "Part-time love", altro singolo di successo, che è stata una
delle prime canzoni sentite di Elton alla radio (alla fine degli anni
’80, qui in Italia, improvvisamente scoprirono Elton e alla radio
beccavo sempre tantissime sue canzoni!) e quindi l’effetto nostalgia ne
solleva un po’ il voto, che cmq, per me, non supera il 7 pieno.
Gli
altri pezzi sono tutti abbastanza apprezzabili, non c’è nulla di molto
rilevante da dire; "A single man" è un album che non ascolto spesso, ma
quando lo faccio ne resto sempre piacevolmente colpito.
Dispiace
vedere come Elton lo abbia messo da parte, anche nei suoi live, perché
invece presenta dei pezzi che potrebbero benissimo colpire per loro
interpretazione.
Alcuni dicono che con questo album si chiuda la
“Golden Age”, se così è (ma ho già detto che per me non lo è affatto),
Elton ha chiuso alla grande.
Voto complessivo: 7,5
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di The Bridge 2012
Recensire A Single Man non è semplice; se il precedente Blue Moves
spiazzava l'ascoltatore con un inquieto miscuglio di stili, qui Elton
cerca di realizzare un prodotto omogeneo e fresco. Ci riesce? Non
direi. Innanzitutto la scelta di non includervi lo sfortunato singolo
"Ego", l'esperimento più innovativo dell'Elton di quel periodo, nuoce
gravemente alla riuscita generale dell'album, che a mio parere avrebbe
avuto bisogno di qualche episodio "sperimentale" in più. I brani veloci
dell'album, tra cui il singolo "part-time love", sono freschi e
gradevoli, ma niente di più. Sui testi del nuovo paroliere meglio
sorvolare. Il brano strumentale nonché singolo più famoso dell'album,
"Song for Guy", è invece un meraviglioso (anche se prolisso) esempio
della grandezza dell'Elton compositore e piano-man; tuttavia anch'esso
appare più come una logica evoluzione dei precedenti "Tonight" o
"Ticking", che come una vera e propria boccata d'aria fresca. Insomma,
è forse il migliore del suo genere, ma non è niente di nuovo.
"Madness", il brano più sperimentale dell'album, alterna alcune parti
ottime (benché poco eltoniane) ad altre banali. Il lungo brano "..
ain't gonna be easy" è denso di atmosfera e rarefatto, ma difficilmente
lo si può annoverare tra i grandi classici senza tempo eltoniani: manca
quel pizzico di freschezza e di originalità che aveva fatto grandi i
brani corrispondenti degli album precedenti (penso, ad esempio, alla
meravigliosa "Someone saved my life tonight", o a "Madman across the
water", altri due lunghi brani densi di atmosfera e, benché
diversissimi tra loro, assolutamente geniali). "Return to paradise" è
un leggero calypso come lo era stata "Island girl" o come lo sarà
"Passengers": tutte canzoncine discrete e nulla più. Poi c'è "Shooting
star", che a me piace. E' un pezzo in stile crooner come lo sarà, più
di trent'anni dopo, "When love is dying". In definitiva ad "A Single
Man" manca qualcosa: non è certo un prodotto originale, e per di più
gli manca l'immediatezza e quel "non so che" della fresca ispirazione
degli album precedenti. Però rimane un prodotto d'obbligo per chi cerca
buona musica, ottimamente suonata e interpretata (magari senza prestare
attenzione alle liriche); senza contare che gli album che lo seguiranno
solo in rarissimi casi riusciranno ad avvicinarsi a questi livelli.
L'epoca d'oro finisce qui.
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