ELTON
JOHN + band
Torino - Palasport parco Ruffini
18 aprile 1973
Nigel Olsson - batteria, cori
Dee Murray - basso, cori
Davey Johnstone - chitarre, cori
supporter: Longdancer
(I Longdancer, gruppo sotto contratto
con la Rocket, l'etichetta di Elton, erano Kai Olsson, fratello di
Nigel, Steve Sproxton, Dave Stewart, futuro Euritmics e Brian Harrison;
pubblicarono due album senza particolare successo)
Il concerto di Torino, al
palazzetto dello sport del Parco Ruffini, faceva parte del tour italiano
del 1973, programmato un anno prima e rinviato per ben due volte, che
comprendeva anche Roma, Napoli, Milano, Genova, Firenze e Bologna, con un
enorme successo di pubblico.
Dopo la pubblicazione di Don't Shoot Me, I'm Only The Piano Player, Elton era infatti una superstar sulla cresta dell'onda anche da noi.
avevo 16 anni.
Elton vestito con un frac verde lucido, basette chiazzate di verde.
versione incredibile di Superstition di Stevie Wonder, cantata in piedi
sul piano.
per crocodile rock entra in scena un tastierista vestito da coccodrillo.
Il meglio, per me , rocket man, ricordo ancora benissimo la chitarra di
Johnstone.
era il primo concerto
Franco Richetti
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da La Stampa n° 91 del 17 aprile 1973
Elton John — Questa
sera alle 21 al Palasport in Parco Ruffini l’unico recital di Elton'
John, il cantante pop giunto ai primi posti della Hit Parade.
Elton John per settemila
RECITAL STASERA AL PALASPORT DI TORINO
Elton John per settemila
Il cantante "idolo" dei giovani si esibirà con il suo complesso nello spettacolo unico
Preceduto dal gruppo Longdancer, Elton John darà spettacolo stasera
II
Palasport è di nuovo aperto ai cantanti pop. La paura che durante i
concerti accadessero gravi incidenti tra i «fans» (nel « tempio pop » di
Milano era diventato consueto mescolare il «sound» delle chitarre ai
gas lacrimogeni), aveva indotto il Comune a proibirli. Torino ha così
perso le interessanti esibizioni di Jethro Tull, Deep Purple, Traffic,
Joe Cocker e altri nomi prestigiosi che, per ovvie ragioni economiche,
non potevano essere ospitati nei locali notturni o nei teatri, peraltro
sempre impegnati con la prosa.
Tocca stasera ad un estroso
personaggio inglese — Elton John — colmare un vuoto di anni: far sentire
ai torinesi che non sono proprio tagliati fuori da ogni avvenimento
musicale popolare, che la televisione non è la unica loro risorsa. Sarà
quindi una doppia festa quella di oggi, anche perché — sia detto per
coloro che hanno poca dimestichezza con la musica pop — Elton John è da
noi popolarissimo. Lo dimostrano i 20 mila spettatori che si assiepavano
venerdì scorso in occasione del suo concerto al Palasport di Roma, e le
migliaia rimaste fuori, senza biglietto. Soltanto due squadre di Serie
A, Milan e Lazio, domenica scorsa hanno attirato più gente, se si
eccettuano gli abbonati; le altre sono lontanissime.
L'unico che
potrebbe rovinare la festa, è proprio Elton John. E non sembri un
paradosso. E' già accaduto due volte che il cantante abbia disertato
all'ultimo momento un impegno importante in Italia. La prima con la
scusa che l'insostituibile batterista Nigel Olsson era ammalato, la
seconda al Sistina di Roma — senza attenuanti: « Non vengo perché non ho
voglia».
Elton John ovvero Reginald Dwight, 28 anni, come
personaggio è interamente costruito nei laboratori dei maghi dello
spettacolo che, sfruttando certe sue naturali caratteristiche tra il
nevrotico e l’emotivamente instabile, ne hanno fatto una diva senza
freni. Elton John « deve » ogni tanto mandare a monte un concerto, farsi
trovare ubriaco in un night, slogarsi una caviglia precipitando da uno
degli spropositati tacchi delle sue scarpe. Deve vestirsi come un incubo
di Allen Ginsberg, viaggiare con un baule pieno di scarpe ed un altro
con centinaia di occhiali d'oro, di tartaruga, di platino, di plastica;
deve tingersi ì capelli nei colori più impossibili.
Come artista,
come compositore, cantante e pianista, Elton John è davvero bravo. Non
può essere classificato d'avanguardia tipo gli Zeppelin ed i Rolling
Stones, non è impegnato come John Lennon, non è un melodico puro alla
Tony Bennet. Ma si trova perfettamente a suo agio con tutti i generi
musicali, dal rock al country, dal blues-jazz al folk. Questa sua
estrema versatilità, capace di sconfinare anche nella musica classica,
ne fa un perfetto «showman» dei nostri giorni.
Ennio Donaggio
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da Stampa Sera del 18 aprile 1973
NEL RIAPERTO PALASPORT DI TORINO Che ritmo, Elton John
Grande calca, entusiasmo e nessun incidente per il trascinatore Elton John al Palasport (Foto Moisio)
Tutti contenti i
seimila giovani che gremivano il Palasport torinese in occasione del
recital del cantante inglese Elton John. Il lungo digiuno musicale non
li ha trovati impreparati. Composti, attenti, talvolta rapiti e
sognanti, hanno dato torto all'amministrazione comunale che — per timore
di intemperanze — per più di due anni li ha privati di questo ideale
colosseo per ludi pop. Carabinieri e agenti erano arrivati con il
tascapane degli scontri di piazza, i barbuti del servizio d'ordine
privato sembravano impazienti di sfoggiare la loro prepotenza; ma gli
uni hanno finito col divertirsi e gli altri sono naufragati nel
ridicolo.
Elton John arriva spaccando il minuto. Nel boato che
l'accoglie, migliaia di dita si sollevano chissà perche nel segno di
vittoria caro a Churchill e le luci colorate dei riflettori sono
manovrate da elettricisti col delirium tremens. Sembra un clown. Indossa
un'ampia e quindi goffa cappa di montone trapunta, oltre il bordo della
quale si vedono solo gli zatteroni di sughero e lamé grigio che,
malgrado i tacchi sui 20 centimetri, non riescono a farlo sembrare alto.
In testa ha un cilindro alto mezzo metro a strisce rosse, blu e
bianche. Solo due braccia da lottatore gli permettono di essere -regale
nel liberarsi dal manto. Getta anche via la tuba ed ecco il vero Elton
John.
Uno che dimostra meno dei suoi 28 anni, nemmeno tanto ridicolo
in una specie di frack in tessuto laminato verde, con la giacca
indossata sul solo panciotto. Sembra ancora un clown, con i capelli a
caschetto tinti di biondo che sfumano sulle orecchie in due bande
diverse e gli occhiali (un paio tra le centinaia che si porta appresso)
sulla punta del naso. Somiglia a Jack Lemmon, ma anche a Valeria
Moriconi giovane. Si muove esitando sui suoi trampoli, le donne notano
che non li porta con disinvoltura. Poi si siede al piano e tutti
dimenticano tutto questo.
La musica di Elton John è di ottimo
livello. La sua voce ha un timbro sicuro e inappuntabile. Il suo modo di
suonare il piano dimostra che gli anni passati al conservatorio non
sono andati sprecati e che il concedergli di suonare a Londra con la
Reale Orchestra Filarmonica, non era una trovala pubblicitaria. Il
mestiere che questo personaggio dimostra sul palcoscenico poi, è enorme.
Sa trascinare il pubblico, quando avverte la necessità di rompere con i
suoi temi preferiti un po' troppi monocordi, ma è capace di scatenarlo
con un semplice slow, proprio di quelli che possono ballare anche i
sofferenti di artrite. E la sua versatilità non va a scapito della
qualità.
Improntato al new-rock della West-coast americana, il suo
stile spazia senza requie fornendo un panorama dell'intera musica-pop.
C'è il blues, il folk ed il country. C'è semplicità e spesso un certo
tipo di romanticismo che il pubblico torinese ha mostrato di gradire in
particolare. Centinaia di mani l'hanno accompagnato nel rock 'n roll
tipo Anni 50, ma molte coppie si sono baciate, dimentiche della calca,
accarezzate dalla sua voce accompagnata solo dal pianoforte.
Anche se
Elton John è stato piuttosto egoista nei confronti dei suoi eccezionali
accompagnatori, si è potuto apprezzare la versatilità del chitarrista
Dave Johnstone nonché la bravura del bassista Dee Murray e del
batterista NigeI Olsson. Mentre si dipanavano i suoi successi, da Rocket
man a l'm only the piano player, un esercito di tecnici l'ha assistito
furtivamente da sopra, intorno e sotto il palco. Gli amplificatori hanno
fatto il loro dovere, per una volta si è compiuto un miracolo di
acustica anche sotto le improbe volte del Palasport.
Contrariamente
ad altri concerti, Elton John non ha fatto rimpiangere le sue incisioni
con grande orchestra. Gettare la giacca sulla platea per restare in
panciotto, accennare a passi da torero, scalciare fino a scaraventare
via lo sgabello, sono apparsi gesti superflui per un pubblico che voleva
solo ascoltare.
Ennio Donaggio
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da La Stampa n° 93 del 19 aprile 1973
Grande folla di appassionati al Palazzo dello sport
Elton John: "pop" per seimila
Finalmente anche a
Torino è stato possibile ascoltare un buon concerto di musica pop. E'
avvenuto con l'esibizione di Elton John al Palasport concesso dal
Comune fino a ieri allarmato dalla possibilità di incidenti da parte
del pubblico. Nulla di grave, invece. In cinque o seimila i giovani si
sono accalcati fin sotto al palcoscenico pronti ad acclamare e ad
entusiasmarsi, ma sempre attenti al timbro e alla melodia tipici del
cantautore inglese.
Quest'ultimo,- a
dire il vero, fa di tutto per apparire un intemperante ma si vede che i
suoi atteggiamenti sono imposti dalla moda e studiati dalla pubblicità.
L'ingresso di Elton John — avvolto in un manto d'agnello, issato su
tacchi ortopedici scolpiti e con una gran tuba rutilante in testa —
sembra fatto apposta per compiacere i gusti meno sottili. Anche quando
scaraventa i piedi sulla tastiera o si sbarazza del frac satinato in
verde, non è precisamente un modello di compostezza.
Ma tutto questo
apparato svanisce in fretta. Elton John, a 28 anni, ha già suonato con
la Reale Orchestra Filarmonica ed è il campione di vendite in mezza
Europa. E' chiaro che non può essere un «bluff». Perciò rapidamente ci
si perde dietro al suo «rock» sostenuto, ci s'incanta ad un motivo
d'amore. Quando poi affiora la monotonia di certi temi, ci pensa lui —
da mattatore — a riafferrare l'attenzione del pubblico. Allora varia il
tono di voce o cambia genere (non trascura il canto «country» né il
blues classico).
p. per.
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