RECENSIONI
DEI VISITATORI
SONGS FROM THE WEST COAST
inviate la vostra
recensione di un disco
di Elton e sarà pubblicata in questa sezione.
non preoccupatevi, non
cerchiamo critici
professionisti, ma le impressioni, positive o negative, dei fans!
di Beppe Bonaventura (2001)
Dopo anni bui,
discograficamente parlando,
finalmente il nuovo disco di Elton SONGS FROM THE WEST COAST
è forse
il prodotto che attendevo ormai da anni, e stavo ormai quasi perdendo
la
speranza!
Devo dire, che dopo l’ascolto delle
prime 6 canzoni comparse un paio di mesi fa su un promo, ero abbastanza
deluso; una sola spiccava, Ballad Of The Boy In The Red Shoes, le altre
(Original Sin, Dark Diamond, This Train, Love Her Like Me, I Want Love)
erano carine, ma nulla più.
Ma le rimanenti canzoni mi hanno fanno
ribaltare completamente il giudizio, sembrano arrivare da un altro
pianeta!
Pat Leonard, che già aveva mostrato
le sue indubbie qualità di produttore in Eldorado, ha fatto
il miracolo
ed è riuscito ad estrarre da Elton sicuramente tutta la sua
potenzialità
attuale, bandendo quasi totalmente l’elettronica e agendo con
suoni semplici
e puliti.
Erano almeno una quindicina d’anni
che Elton non realizzava un disco di questo livello e lui stesso, in
una
recente intervista ha finalmente ammesso che gli album degli anni 90
sicuramente
non hanno raggiunto uno standard qualitativo soddisfacente.
Anni di canzoni banali, spesso troppo
melassate, e una produzione, quella di Chris Thomas, infarcita di
sintetizzatori
e suoni artificiosi, che riusciva a distruggere anche i pezzi
più
validi.
Solo il Gus Dudgeon di Leather Jackets
e Ice On Fire era riuscito a fare di peggio.
Suoni probabilmente in linea con le
tendenze musicali del tempo, ma è un dato di fatto che il
livello
qualitativo del pop rock è costantemente in discesa, ormai
tutto
è stato già fatto e rifatto e, non per niente,
chi riesce
ancora dire qualche cosa di interessante, spesso si ricollega al
passato
remoto (anni 60 e 70).
Ed Elton stesso ha sempre dimostrato
di saper dare il peggio di sè quando ha cercato di inseguire
le
tendenze e le mode del momento, facendo l’errore di
dimenticare cosa era
stato negli anni 70, quando aveva saputo imporre la sua
genialità
al di fuori di tutti i filoni e le correnti.
Finalmente, questa è la mia
impressione, ha trovato un produttore di polso, lui stesso pianista e
tastierista,
che sapeva esattamente cosa voleva da Elton e che ha saputo imporsi in
sala di registrazione.
Grande merito anche il ritorno di Paul
Buckmaster, in cinque brani, e soprattutto di Nigel Olsson alla
batteria,
che ha ridato alle canzoni un sound tipico.
Il povero Nigel, dopo il richiamo sul
palco nel 2000, è ritornato dopo lungo tempo anche su disco;
erano
anni che aspettava la chiamata (probabilmente avrebbe lavorato anche
gratis
per essere di nuovo con Elton!) e il suo modo di suonare la batteria
è
uno di marchi di fabbrica degli anni d'oro.
EMPEROR
NEW CLOTHES, incentrata sugli inizi del duo
John Taupin,
con il suo inizio piano e voce, è fantastica, sembra di
ritornare
a Tumbleweed ed anche il proseguo con l’entrata del basso e
della batteria
è assolutamente perfetto: la dimostrazione di come va
prodotto Elton,
con semplicità e senza fronzoli. Vai avanti
così!!!
DARK
DIAMOND, dalle cadenze reggae, è
un po’ fuori atmosfera
con il resto dell’album, è carina e si ricorda
soprattutto per gli
assoli di armonica inconfondibili di Stevie Wonder.
LOOK
MA, NO HANDS è un altro grande
pezzo, bello per la
sua semplicità e fluidità, una canzone fresca
come non ne
scriveva da tempo; questo è il filone da seguire per
realizzare
un album da ricordare.
AMERICAN
TRIANGLE, dedicata alla morte violenta del
giovane gay Matthew
Shepard, inizialmente l'ho trovata troppo rilassata, apparentemente
senza
grinta; ma con il passare degli ascolti si rivela un grandissimo brano,
che personalmente mi provoca una tristezza incredibile.
Una dimostrazione di come, sotto la
guida di Leonard, Elton può realizzare dei pezzi lenti di
grande
livello senza scadere nel risaputo e nella melassa, cosa che in questi
anni ci eravamo quasi dimenticati, a parte la grandissima Believe,
contenuta
in Made In England, album che prometteva grandi aspettative, ma che mi
ha subito deluso dopo pochi ascolti.
ORIGINAL
SIN, testo interessante, ma la melodia
è per i miei
gusti troppo sdolcinata, indirizzata a chi in concerto va in estasi per
Nikita e soprattutto Sacrifice, che non per niente io
detesto!
A moltissimi fan piace moltissimo e anche Elton stesso pare la pensi
allo
stesso modo, ma secondo me proprio qui emergono parte delle pecche
delle
ultime produzioni.
BIRDS,
un altro grande pezzo che riporta indietro all’Elton del
secondo periodo,
nei primi anni ’70, si sente però nel sound la
mancanza di Nigel
alla batteria. Questa è
un’altra vera e caratteristica
canzone di Elton, non i solito prodotti buttati li probabilmente senza
troppo convinzione.
BALLAD
OF THE BOY IN THE RED SHOES, canzone che
tratta ancora il
tema dell’AIDS, ci riporta indietro, come suoni ed atmosfere,
al periodo
di Madman.
Ritroviamo gli archi di Paul Buckmaster,
che è sempre il miglior arrangiatore orchestrale ad operare
nel
mondo del rock e probabilmente avrebbe avuto maggior considerazione se
il suo nome non fosse stato legato al periodo d’oro di Elton.
Bellissima canzone che forse meritava
uno sviluppo temporale maggiore, con un finale più epico.
I
WANT LOVE, il primo singolo, abbastanza
carina, ha un solo
grosso difetto: sembra una produzione di John Lennon, al limite del
plagio;
anche nell’arrangiamento l’intento è
sicuramente quello e non riesco
francamente a capire il perché di questa scelta per niente
originale.
THE
WASTELAND, un rock potente come ormai ce
l’eravamo scordato,
con il grande Billy Preston all’organo, perfetta nel suo
genere; io avrei
solo dato ancora più spazio al piano, per un assolo
più prolungato
ed incisivo, ma è un grande pezzo.
LOVE
HER LIKE ME, carina ben realizzata, richiama
lo Springsteen
di Tunnel Of Love; non aggiunge niente all’album, ma si
lascia ascoltare
con piacere.
MANSFIELD,
una delle tante canzoni in cui Bernie parla dei suoi guai matrimoniali,
ad un primissimo ascolto mi aveva lasciato perplesso, ma ora la
considero
uno dei brani migliori dell’album. Dopo un inizio
un pochino lezioso
diventa bellissima con il gran finale orchestrale di Buckmaster, anche
qui assolutamente perfetto; una canzone che da sola giustifica
l’acquisto
di tutto il CD a mio parere!
THIS
TRAIN DON’T STOP HERE ANYMORE
è un lento che inizialmente sembra un po’ scontato e
che richiama in un paio di passaggi Sweet Painted Lady; è però un
buon
pezzo, che acquista spessore con il passare del tempo.
Le manca qualche cosa per essere una grande canzone, come se Elton non si fosse impegnato più di tanto.
In definitiva il ritorno!
E’ andato ad un passo dal realizzare
un grandissimo album, mancava veramente poco, ma queste potrebbero
essere
le premesse per un ritorno a fasti ormai dimenticati.
E’ la dimostrazione che anche in studio
(dal vivo non ho mai avuto dubbi), dopo anni di oblio poteva ritornare
a realizzare dei grandi prodotti; era già successo ad altri
dinosauri
del rock (esempio per tutti Lou Reed) di riuscire a cancellare anni di
album mediocri o assolutamente insignificanti con una nuova vena di
ispirazione.
Speriamo solo che la pianti di parlare
alla stampa di tante cazzate sulla sua vita privata e non, e si
concentri
di più sulla musica, solo così potrà
sperare di avere
più considerazione dalla critica musicale.
Grazie Pat Leonard, nessuno mi toglie
dalla testa che è lui l’artefice di questa
rinascita discografica
di Elton!
Infine se devo dare una valutazione
gli assegno (come i veri critici!) le stellette: 4 su una scala da 1 a
5
|
di Max (2001)
Venticinque
anni dopo Blue Moves, una serie
di impressionanti alti e bassi nella propria vita artistica e
personale
e di lotte drammatiche contro
i propri vizi e le proprie debolezze, Elton sembra ora una persona
forse
finalmente in pace con la vita
e col proprio ritrovato talento. Talento non più
imprevedibilmente
schizofrenico
come nella prima metà
degli anni Settanta, ma ancora vivo, a tratti geniale, e
comunque
sempre
in grado di stupire ed emozionare.
Songs From The West Coast
è al
tempo stesso classico e moderno, riflessivo e vivace,
semplice e
profondo. E’ una fotografia forse un
po’ sbiadita ma maledettamente affascinante
dell’Elton che fu. E’ un
racconto dell’America che ti presenta
i grandi sogni, l’opportunità di
“scommettere sulle proprie vite”,
che
ti porta ad essere “in cima al mondo”,
ma che sa essere crudele e vendicativa, solitaria e piena di
contraddizioni. E’ una storia di suoni
che s’ispira al passato più splendete di Elton
John, quello di Madman
Across The Water e Tumbleweed Connection,
e alla versione migliore dell’attuale country-rock americano
(vedi Ryan Adams). Il suono è
semplice e depurato da tecnicismi e finzioni, con pianoforte e voce
sempre
lì in prima fila. La batteria
di Nigel Olsson, i cori stile anni ’70, le orchestrazioni di
Paul Buckmaster
sono
come perle nascoste che l’eccellente
produzione di Patrick Leonard ha saputo ritrovare.
L’album svaria
dal country al blues,
dal pop al rock. Raggiunge vette eccellenti in Birds, Wasteland,
Emperor’s New Clothes e Ballad Of The
Boy In Red Shoes. “Flirta” con John Lennon nella
potente ballata
rock I Want Love e con Burt Bacharach
nella malinconica This Train Don’t Stop There Anymore. Sa
essere tragico in American Triangle,
felicemente scanzonato in Look Ma No Hands ed evocativo in
Mansfield. E anche i pezzi meno convincenti
come Love Her Like Me e Original Sin riescono comunque a
comunicare qualcosa, a regalare un’immagine,
un’atmosfera.
Dopo tanto tempo Elton John
non è
più un fantasma che cerca di impersonificare qualcosa che
sia “alla
moda”, o che cerca di essere qualcosa
di diverso da se stesso. Guarda il passato, forse con un po’
di
malinconia capisce che il “teenage
idol” che ballava Crocodile Rock non tornerà
più, ma finalmente
capisce che anche questo Elton può
dire qualcosa, può fare della eccellente musica,
può raccontare
delle
belle storie di vita e di morte,
d’amore e di solitudine. A volte le foto un po’
sbiadite sono quelle che
conserviamo con più passione.
Valutazione
dell’album: ****1/2
1) Emperor’s New
Clothes *****
2) Dark Diamond ***1/2
3) Look Ma No Hands ****
4) American Triangle ****
5) Original Sin ***
6) Birds *****
7) I Want Love ****1/2
8) Wasteland *****
9) Ballad Of The Boy In Red
Shoes *****
10 )Love Her Like Me ***
11) Mansfield ***1/2
12) This Train Don't Stop
There Anymore
****1/2
|
di Beppe Donadio (2001)
Piccoli brividi.
Vuoti d'aria.
'Già sentito, ma
dove?'. Chi
se ne importa. E' bellissimo.
Non l'ho mai scoperto
davvero, quel
'già sentito'.
Il fatto è che
almeno sino a
Breaking Hearts in Elton John convivono
soluzioni armoniche e
melodiche
talmente 'pure' da spingerti a credere di
averle già
ascoltate.
Se proprio devo definire la
sensazione,
direi si tratti di qualcosa di
simile a quella stupida frase
da cascamorto
'...mi sembra di conoscerti da
sempre...', che è
sì
un'espressione da cinquantenni al night club, ma che,
se si è
innamorati, un fondo
di verità ce l'ha.
Arte.
Arte minore, ma pur sempre
arte.
'Songs from the West
Coast', ovvero
la storia di quell'uomo che aspetta per
anni davanti al negozio di
dischi,
con la certezza che nulla potrà più
accadere.
Provate a tingere
Julia Roberts di grigio. vMettetele
un paio di occhiali
spessi due dita, un vestitino
insignificante
da perpetua e un neo peloso
sotto il labbro inferiore. E
cercate
di convincere il suo pubblico che è
soltanto una svolta nella
carriera.
E poi chiedete alla critica di parlarne
bene: stupitevi, se volete,
se nessuno
parla più dei suoi occhi da
cerbiatta, il sorriso dolce,
e tutto
il resto.
Da Sotheby's Elton
John si è
venduto molto più dei vestiti.
Se avevi soldi, in quei
giorni, si
battevano all'asta qualche metro della
sua ispirazione, qualche etto
di poesia,
e scatole intere di dignità
musicale, persa mortificando
il suono
del proprio strumento, attorniandosi
di perfetti sconosciuti e
giocandosi
la credibilità del proprio lavoro nelle
mani di un
produttore/hooligan.
Quell'uomo davanti
alla vetrina, che
aspetta l'album che non verrà, ci è
rimasto male davvero. E si
è
sentito tradito, come ascoltatore, e come
musicista.
Eppure era lì ogni
anno, davanti
a quel negozio. E non si è perso nemmeno un
cd. Anche se si
è chiesto
spesso il perchè.
Nella sua mente le immagini
di Elvis
Obeso Presley che si asciuga il sudore
e consegna salviette bagnate
nelle
mani di deliranti teenagers in lacrime,
nel suo ultimo show.
Frank Sinatra che canta
l'ennesima
'My Way' al MSG, alticcio e malfermo.
Per un attimo a quest'uomo
è
sembrato che 'One Night Only' fosse il triste,
patetico addio di qualcuno
che era
stato il più grande, e non sapeva salvare
la pelle e la faccia.
E invece.
Piccoli brividi. Vuoti d'aria.
Non grido al
capolavoro.
Sento di essere in credito di
buona
musica da molto tempo.
Voglio pensare che 'Songs
from the
West Coast' sia un piccolo risarcimento.
Orchestra e
strumentisti. E ballads,
e pulizia del suono. Ed un pianoforte
acustico.
Quanto è complessa
la semplicità.
I piccoli brividi di 'The
Emperor'
e 'American Triangle'; il lungo,
splendido vuoto d'aria di
'Boy in the
Red Shoes'.
A volte ritornano.
|
di Andrea Sganzerla (2001)
L’uscita
di ogni album di Elton suscita
sempre in me (e credo anche a tutti gli altri fans) una grande emozione
e gioia.
Ogni volta il piccolo (ma
grande dentro)
genio di Pinner riesce a stupirmi…
Songs from the west coast
è
veramente un ottimo album…a differenza dei recenti dischi di
Elton dove
mi colpivano veramente in ogni cd solo pochi brani l’attesa
ci ha premiati.
L’album infatti si
ricollega idealmente
ai capolavori del passato.
Si torna all’elton
vecchia maniera…
mancano solo il compianto Dee e il mitico Ray Cooper (ma qualcuno sa
che
fine ha fatto?).
La prima cosa che ho notato
del disco
sono stati i fantastici coretti…
Una volta in una vecchia
intervista
George Martin (ex produttore dei Beatles) dichiarò che gli
accompagnamenti
vocali della band di elton sono i migliori dopo quelli dei Beatles.
Certo questi paragoni e
affermazioni
trovano il tempo che trovano se le faccio io da fan… ma se
certe cose le
dice G. Martin possiamo crederci!
Gli arrangiamenti volutamente
scarni
son perfetti!!
Niente tastieracce o
l’odiosa batteria
di Olle Romo (finta che rovinò un album molto bello come The
One).
Anche il bravissimo C. Morgan
era un
batterista tanto grintoso dal vivo (è veramente molto bravo)
ma
molto insignificante da studio.. Sembrava un computer e non utilizzava
mai i piatti!
Inoltre come in Made in
England si
sente il mitico P.Buckmaster…
Ma perchè prima ho
citato i
Beatles….perché il singolo è molto
Beatles… Ma avete visto
chi suona il mitico B3? Il grande Billy Preston che suonava con i
Beatles
(e ha suonato con Rolling Stones, E. Clapton ecc.).
Pensate che un collezionista
dei Beatles
(che come tutti sottovaluta Elton..) mi ha telefonato a
casa… era rimasto
colpito… stava guidando e ha sentito il singolo! Mi ha
chiesto se era Elton
o se era tornato John Lennon con G.Harrison…
Infine una citazione per il
bassista:
Paul Bushnell
Ha fatto veramente un bel
lavoro lo
preferisco di gran lunga a Bob Birch (che da studio secondo me
è
troppo lineare e poco passionale).
Ma passiamo alla
descrizione dei brani…
1. La prima canzone mi piace
da morire..
si incomincia con il mitico pianoforte!!! e poi la stupenda voce di
Elton…
è un brano che si apre in sordina con i mitici coretti e con
il
basso molto 70 (Che sia un Fender?) e che si conclude con un grintoso
yeah
di Elton che sembra sottolineare e trasmetterci l’energia del
grande Elton.
Si riconosce subito il mitico
Nigel
alla batteria è inconfondibile… soprattutto nella
parte di brano
in cui Elton fraseggia al piano. Voto ****
Ottimo il basso e adoro gli
arrangiamenti
distanti ma molto influenti con dei fiati molto retrò.
2. Il secondo brano
è il più
strano dell’album.
Secondo me non
c’entra tantissimo col
resto del CD. La prima volta che l’ho ascoltato non
mi piaceva per
niente. Lo trovavo smonato. Ora mi piace anche
questo.
L’armonica di Wonder è deliziosa un po’
meno secondo me il suo lavoro
al Clavinet.
Il ritornello è
tipico di altri
brani di Elton.
Piacevole ma non è
un capolavoro.
Comunque gradisco sempre gli interventi di S. Wonder peccato non si
senta
la sua voce. (anche se ero stufo di duetti!) **
3. Il terzo brano mi piace da
morire…
dopo i 2 primi brani introduttivi qui si incomincia alla
grande… Anche
qui si parte col piano ma poi piano piano si decolla. Un
brano delizioso.
I cori qui mi piacciono un sacco…
Mi piace molto anche la
chitarra elettrica
di Davey che dà grinta a tutto il pezzo.. deliziosa anche
l’acustica
e la voce di Elton quando dice touch!
Meravigliosa per i coretti mi
trasporta
molto e mi dà un senso di gioia. Anche qui
inconfondibile
Nigel mentre Elton suona il piano a metà del brano.
Un plauso anche
all’organetto di Leonard!
****
4. Il brano più
triste e toccante
del disco.
L’adoro…
Mi fa venire la pelle d’oca
ogni volta che l’ascolto. Stupendo
l’attacco di batteria semplicissimo
ma mitico. La so a memoria…è
già un classico!
Chi non canticchia il
ritornello… molto
bella la chitarra stile Beatles. Adoro questa canzone da
ascoltare
nei giorni di pioggia o dopo un due di picche (quindi
personalmente
l’ascolterò spesso).
Secondo me è uno
dei capolavori
del disco. *****
5. Un brano che qualcuno ha
trovato
mieloso… ma a me piace molto. Adoro le canzoni
semplici. Questa è
essenziale; e ha un ritornello bellissimo.
Secondo me Elton
l’ha cantata alla
grande! E' il brano più dolce del disco! Per chi ama
l’Elton alla
Little Jeannie! ****
6. Birds: Un brano
che non ti
aspetti in un disco del 2001.
Mi sembra di essere tornato
all’Elton
del ’72. Molto bella…poi ti
frega…ti aspetti una mega batteria che
non arriva mai!
Mi piace per
l’atmosfera che crea..molto
americana! Un bel brano al quale però do solo
un
*** ½.
7. Son tornati i fab five
(includo
oltre ai 4 di Liverpool anche il 5 di Pinner). Elton con questo brano
dimostra
ancora una volta di essere l’unico grande erede dei Beatles.
Mi ricorda la Beatles
Anthology..
i coretti però non sono alla Beatles ma alla Nigel, Dee,
Davey!
Stupendo Billy Preston che mi
fa suonare
con quel suono… molto malinconica!!!
Mi piace perché mi
fa pensare
al grande Lennon e lo vedo come un ulteriore tributo al compianto amico
John.
****1/2
8. Un brano
esplosivo… mi ricorda l’Elton
in Tower Of Song di L. Cohen o l’ Elton di
Caribou…!!
Ma non mi ricorda per niente
BB King!!
(avevo letto questo commento, mi spiace dire questo ma non è
assolutamente
un blues alla BB King!!!).
Intanto ringrazio Elton per
aver menzionato
due grandi bluesmen e in particolare il fantastico Muddy
Waters!
Un sentito omaggio a questo genere ma in chiave potente e energica!
Fantastico
e mitico il piano e pure l’organo! Il brano
più grintoso del
cd! ****
9. Il capolavoro indiscusso
(secondo
me del cd!).
Mi ricorda l’Elton
di Madman!
Ha ragione il mitico Beppe!! Il brano poteva durare di
più!!
Fantastica per cori, arrangiamento orchestrale.. bellissima
la chitarra
acustica e la batteria l’adoro e la canto
sempre… un argomento tragico
narrato in chiave originale!! è questo
l’Elton che vogliamo!!!
***********
10. Bellissima da ascoltare
sulla macchina
cabrio (e chi diavolo la possiede?). Purtroppo non ho
più
la mia vecchia scassata cinquecento… mi ricorda la West
Coast… (ossia me
la fa immaginare non l’ho mai vista!!)
Mitici i coretti e il
piano.
Bella l’elettrica!! Deliziosa da ascoltare bella
alta finchè
i vicini lo consentono! ****
11. Subito non capivo questo
brano..
all’inizio sembra una canzoncina poi va in crescendo! Ora
l’adoro soprattutto
la PARTE FINALE CON I CORETTI E L’ARRANGIAMENTO! Mi
fa sognare nella
parte finale e cantare… Anche qui sembra di avere il mitico
tiretto ai
cori di Don’t shot me (le voci a volte mi ricordano i cori di
Teeneage
Idol..) (solo in certi passaggi).
Bella la guitar
americana… Bellissimo
brano che ci dimostra la bravura di Buckmaster.
12. Bellissimo finale del
disco (la
cui unica pecca è quella di non contenere un vero brano rock
all’altezza!!:
è da anni che Elton non scrive una grande canzone rock!!!
però
questa volta non me la sento di fargli critiche!!) Deliziosa
…anche se
Elton può scriverne a raffica di queste canzoni. Bello il
ritornello!!!
|
di Dario Di Bruni 2001)
Neanche il
più ottimista dei
fans si sarebbe potuto aspettare un tale lavoro da Elton. The Big
Picture
é lontano anni luce. SFTWC é
il vero ritorno
di Captain Fantastic (del suo grande piano-playing) e del Brown Dirt
Cowboy.
Deludente in The Big Picture, Bernie é tornato con testi
veramente
accattivanti e grintosi. Il sound, la registrazione
della voce
e la produzione in generale rappresentano quello che desideravo
ascoltare
da anni. E' bellissimo ascoltare l'avvicendarsi di
due ottimi
batteristi con stili molto diversi fra loro. E
anche Paul Bushnell
é ben inserito nel contesto. Anche se la sezione ritmica
formata
da Nigel Olsson e Bob Birch é realmente invidiabile (basta
ascoltare
qualcosa tipo Birds o This Train dal vivo).
Bellissima e incisiva
la voce di Elton, che ha raggiunto un'elevata finezza e
profondità
interpretativa. Da sottolineare poi il ritorno dei
grandi cori,
come i vecchi tempi.
Entusiasmanti! Il brano
introduttivo é semplicemente splendido, le liriche originali
e ispirate
di Bernie sono espresse al meglio dalla musica ("we flew by
our sits
and by the seat of our pants in the state of illusion, in the nation of
chance" oppure "seeing only the good through the
holes in our shoes").
Per non parlare del chorus che recita "we refused to admit
that we wore
this disguise". Red Shoes é
realmente un piccolo
capolavoro. Come lo stesso Elton ha detto, é molto bello il
contrasto
fra la rabbia, la paura e la disperazione del testo, e la dolcezza
della
musica, che entra nel contesto con un voluto distacco. Il piano ne
esalta
la drammaticità, la batteria sembra seguire il respiro del
giovane
dancer. E la scrittura degli archi ci regala un
altro grande
ritorno: quello del mitico Paul Buckmaster. Mansfield é tra
le mie
preferite, meravigliosa nei tre cambi di tonalità, nel
finale da
brivido che trascina via con sè...e poi il testo,
così poetico!
("Your naked shadow looking ten feet tall, like a wild pony
dancing
on the wall"). Anche I Want Love, che
all'inizio avevo
catalogato come un semplice brano commerciale, é tutt'altro
che
semplice e scontato...ottima anche qui la sezione
ritmica.
Finalmente Elton ha voluto spaziare anche in altri generi musicali
donando
all'album sonorità varie (e Wasteland é un grande
r'n'b,
avrebbe potuto allungarlo nel finale con qualche assolo di piano come
lui
sa fare, quando vuole). Birds é un altro
freschissimo
momento dell'album. Non mi soffermo su
ogni singolo brano,
concludo dicendo che avrei tolto l'armonica di Stevie Wonder lasciando
spazio alla chitarra in Dark Diamond. L'avrei reso
dai sapori
country. E avrei sostituito Love Her Like Me con
The North
Star, brano che, secondo me, stava benissimo nel contesto dell'album.
American
Triangle non é brutta, anzi c'é un "bridge" molto
emozionante
e commovente. Ma é
più lenta della versione
solo piano che avevamo conosciuto e, forse per questo, si perde un po',
nell'interpretazione vocale, l'intensità e la
drammaticità
che il brano vuole esprimere. Molto bella
invece nella
versione che Elton propone dal vivo con la sua band, con la quale si
esprime
al meglio. Per il resto cosa dire? "We are crazy,
wild and
running" e continueremo ad esserlo.
|
Lettera ad una persona
sensibile
Carissimo,
è ormai diverso tempo che prendendomi
per mano mi porta a scoprire luoghi dove ogni esperienza, diventa un
ricordo
indelebile dei bei momenti che trascorriamo assieme, e allo stesso
tempo,
un’arma vincente per attraversare con meno insicurezze questo
grande “campo
minato” che qualcuno chiama vita.
Questa volta però, le chiedo
di fare un’eccezione alla sua routine… Le chiedo
di sedersi qua, accanto
a me, e lasciare che sia io a prendere in mano il timone del grande
veliero
con il quale siamo soliti viaggiare nella storia. Stia tranquillo, sono
un giovane con la testa sulle spalle… rispetto tutti i
limiti di velocità.
Allora si parte…
La porterò con me, in un posto
in cui è probabile che sia passato molte volte, ma senza
farvi sosta.
Un posto fatto di note ed emozioni che, da più di
trent’anni, scorrono
veloci sull’interminabile tastiera di un pianoforte nero gran
coda, regalando
sogni, gioia, conforto ed anche qualche ambizione.
Eccoci arrivati…
L’intenso colore del grande sole è
l’unico a contrastare il blu che questa mattina dipinge il
cielo della
California. Si, ha capito bene… Ci troviamo a Los Angeles!
Spiagge bianche,
ville bellissime (le consiglio di approfittare di qualche occasione
locale
per la sua leggendaria villa in campagna) e bikini… tanti
bikini… Ma si
ricordi che il nostro è un viaggio musicale, o meglio, un
viaggio
alla scoperta di Songs From The West Coast.
Una volta arrivati in una delle sale
di registrazioni degli immensi Sony Studios, e subito i miei occhi si
riempiono
di stupore e gioia allo stesso tempo… Due poltrone di pelle
nera (per l’altro
comodissime) circondate da un pianoforte a coda, una chitarra acustica,
una chitarra elettrica, una batteria, un basso, e una volta
comodi… la
musica partì.
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Arrivano le prime note
della Canzone
che inaugura il disco, The Emperor’s New Clothes. Arrivano
subito le prime
scariche di adrenalina… Il sound è semplice ed
intriso di un atmosfera
che lo rende molto West Coast! Niente super arrangiamenti, solo una
chitarra,
un piano, una batteria ed un basso! Si, forse questa è
proprio la
canzone che l’artista usa per redimersi nei confronti delle
sue ultime
produzioni, in cui si era agiato un po’ troppo nello sfarzo
delle sue vesti
da imperatore, ma poi se ne rende conto e sente il bisogno di un
cambiamento…
And the tears
never came
They just stayed
in our eyes
We refused to
admit that we wore this disguise
Era tempo che un nuovo
disco non riempisse
i miei occhi di lacrime… Una sensazione troppo strana da
descrivere, ero
contento… ero contento per me, per la gente, per Elton John,
questa avevamo
in mano qualcosa di magico.
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Arriva con grande impeto
l’unica canzone
a differì un pochino da quello che è il sound del
disco,
Dark Diamond si fa avanti con un ritmo Funky/Soul che può
veramente
travolgere, specialmente nei piccoli rif suonati
dall’armonica di Stevie
Wonder… Già da dopo la seconda canzone, ci si
rende conto della
bellezza dei testi in cui è molto facile immedesimarsi!
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Dopo questa divagazione, si
torna al
nostro West Coast Sound con Look Ma, No Hands, canzone in cui il
cantante,
raccontando le sue mille imprese chiede a sua madre “mamma,
non sei orgogliosa
di me”? Il ritmo è incalzante e si iniziano anche
a sentire
Didn’t I turn
out, didn’t I turn out to be
Everything you
wanted Ma
Ain’t you proud
of me
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Il mood si
fa molto più serio
con la Struggente American Triangle dedicata al giovane Matthew Shepard
ucciso brutalmente per colpa della sua omosessualità.
See two coyotes
running down a deer
Hate what we
don’t understand
E’ un testo che
invita sicuramente a
riflettere… La musica è affascinante ma la cosa
che colpisce di
più, è la profonda interpretazione vocale di
Elton che riesce
a trasmettere in pieno, ciò che sente!
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Le emozioni continuano a
scorrere con
Original Sin, una dolcissima ballata che racconta di una storia
d’amore
ormai finita dove tra gioia e dolore si riflette su di un sentimento
che
ancora non ha cessato di ardere.
I can’t eat,
can’t
sleep
Still I hunger
for you when you look at me
That face, those
eyes
All the sinful
pleasures deep inside
L’unica canzone
del disco a non avere
un introduzione pianistica, Original Sin è sicuramente uno
di quei
brani ai quali ci si abbandona per farsi cullare dalla sua dolcezza.
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L’atmosfera viene
rotta dalla movimentata
Birds che si impone con il suo sound Country ed il suo andamento
martellante!
Non rimane nascosto il suo punto forte, un testo molto bello.
How come birds
Don’t fall from
the sky when they die?
How come birds
Always look for
a quiet place to hide
These words
Can’t explain
what I feel inside?
Like birds I
need a quiet place to hide
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Il discorso di una persona che ha trovato
nell’amore solo delusioni, rabbie e dolore, è il
tema principale
di I Want Love. Il sound è senza dubbio targato Liverpool e
lascia
ricordare con nostalgia una musica che non morirà
mai… quella dei
Beatles.
I want love but
it’s impossible
A man like me’s
so irresponsible
A man like me
is dead in places
Other men feel
liberated
Questa è la
canzone che sento
più mia in assoluto… quindi non posso che
apprezzarla, specialmente
nel testo.
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Con The Wasteland torna nel
disco l’aggressività
di un brano Rock/Blues che si capisce addirittura da prima che inizi la
canzone!!! Il testo è molto bello e purtroppo, anche molto
attuale…
Some days I think
it’s all a dream
The things I’ve
done, the places that I’ve been
This life of
mine seemed surreal at times
Wasted days and
nights in someone else’s mind
Molto trascinanti
l’assolo di piano
nella metà del brano e la coda. La voce di Elton equalizzata
con
un riverbero molto metallico contribuisce a rendere il brano molto
accattivante!
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Ecco arrivare la gemma
dell’ album,
The Ballad Of The Boy In The Red Shoes. Una ballata di struttura
imponente
e di rara bellezza. Perfetto il connubio tra parole e musica che riesce
a trasmettere in pieno, il messaggio di condanna nei confronti del
governo
Americano di Ronald Regan che, a causa della propria ignoranza diede
attenzione
a l’alba della malattia del secolo, L’AIDS. La
canzone è incentrata
quindi sulla storia di un ballerino che, malato, ricorda i
suoi tempi
d’oro sulla scena mondiale e vorrebbe tornare ad indossare le
sue famose
scarpette rosse per l’ultima volta, ma poi consapevole di non
poterle più
calzare, prega affinché qualcuno le porti via da
lui…
Put them
in a box somewhere
Put them in a
drawer
Take my red shoes
I can’t wear
them anymore
Le emozioni che sa
infondere questa
canzone sono molto intense e sicuramente accentuate dai bellissimi cori
e l’assolo di mandolino suonato da Davey.
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Torniamo con i piedi per terra con
Love Her Like Me, brano molto interessante. Personalmente trovo
fantastica
la voce di Elton nelle strofe che con i suoi fantastici toni molto
bassi
riesce a renderle accattivanti e molto
“sbarazzine”. Bella l’apertura sul
ritornello anche se un po’ è la cosa che meno ci
si aspetta!!!
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Ci prepariamo al gran
finale!!! Mansfield,
un brano meraviglioso che non conosce di certo il significato della
parola
monotonia. Sinceramente non riesco a capire come molta gente lo abbia
snobbato
nei primi ascolti. Anche questa canzone è incentrata
sull’amore,
più esattamente sul ricordo di un amore.
We were crazy,
wild and running
Blind to the
change to come
In that little
house on Mansfield
We’d wake at
the break of dawn
In an Indian
summer gone
Il suo ritmo
molto incalzante e pieno
di cambiamenti che si mescolano per un finale mozzafiato.
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A chiudere
uno dei più bei dischi
di Elton John da 15 anni a questa parte è un brano
intitolato This
Train Don’t Stop There Anymore. Canzone intensa di
significato che riprende
lo stile della produzione più pregiata di Elton John. Molti
i riferimenti
all’album Goodbye Yellow Brick Road che ha donato ad Elton
l’ispirazione
per un andamento alla Sweet Painted Lady. Oltre ad avere un significato
tutto suo, Elton usa la canzone come rasserenamento per noi fans:
“Non
vi preoccupate, questo treno continuerà ad andare avanti su
questi
binari, senza più fermarsi in stazioni che non appartengono
al mio
modo di esprimermi e di regalarvi emozioni”
Scritta da
Giorgio Onorato Aquilani
Dedicata a:
Prof.Giuseppe Mancini
|
di Giorgia Turnone (gennaio 2010)
40 (+1) anni d’ispirazione -
2001: DUE FENICI RISORTE
Lettera a due vecchi amici:
“Mi avevano detto che ormai Elton John non era più un
granchè. Che non poteva più ritornare come prima.
Mi avevano detto che i testi di Bernie Taupin non erano poi così geniali.
Mi avevano detto che la vostra è stata solo fortuna.
Mi avevano detto che non eravate all’altezza dei Beatles.
Mi avevano detto che non eravate geniali.
.........
Mi avevano detto che se la musica si era commercializzata era solo per colpa vostra...
Mi avevano detto che, comunque andasse a finire, avevate fatto qualcosa di sbagliato...
Mi avevano detto che Taupin doveva parlare di più, quando stava zitto...
Mi avevano detto che John doveva parlare di meno, quando parlava...
Mi avevano detto che Elton doveva fare 3 ore di concerto quando ne faceva 2...
Mi avevano detto che doveva essere più altruista dando spazio ai giovani…
Mi avevano detto che le liriche di Bernie erano “indigeste”…
Mi avevano detto che li pianista doveva cambiare paroliere…
Mi avevano detto che aspettarvi era da matti…
.........
Mi avevano detto che, cavolo, quand'è che se ne vanno in pensione?
Mi avevano detto che non avevate più voglia
Mi avevano detto che mentivate quando dicevate di averla...
Mi avevano detto che nel 2000 non avreste pubblicato alcun disco in studio…
Mi avevano detto che… dovevo smetterla di crederci…
Ma su Songs From The West Coast… bè, su questo album non dissero niente, cavolo…”.
Ai
piedi di Elton John e Bernie Taupin. 4 stelle e, se possibile, ci
aggiungo un mezzo. Disco eccellente, come non speravamo più di vederne.
Poco meno di 20 secondi per verificare quanto la personalità, nel mondo
della musica, resti un elemento distintivo per distinguere un bravo
cantante da una geniale rockstar. La fotografia di SFTWC è tutta
nell’abisso di un confronto con la musica moderna. 20 secondi, dicevo.
Sì, giusto il tempo di sentire l’intro pianistica, così simile a quella
del primo Elton. Mi chiedo “com’è possibile? E’ proprio lui!”. The
Emperor’s New Clothes è uno di quei brani che ti va volare con la mente
e richiama l’atmosfera “tumbleweediana”. E se non è un capolavoro
questo… erano anni, almeno una 20ina, che il Nostro non si cimentava in
qualcosa del genere. Siamo al secondo pezzo e questo si stacca un po’
dal motivo conduttore di tutto il brano, “Dark Diamond” ricorda
stilisticamente un funky/soul che non può lasciare indifferente alcun
ascoltatore (forse solo quelli di D’Alessio o Negramaro, ma questa è
un’altra storia….). Si ode, inconfondibile, l’armonica del grande
Wonder, e questo non può che confermare l’ottima riuscita della
canzone. Il cui testo, insieme al primo, lascia trasparire l’ottima
vena di un rtrovato Taupin, a dimostrazione del fatto che, ancora una
volta (ma quante volte lo dovrò dire???), quando il paroliere torna ai
suoi livelli (indiscutibilmente elevati), anche la musica di Elton si
trasforma. “Look Ma, no Hands” riprende il filo conduttore dell’album,
con un sound molto “West Coast”. Splendida in ogni sua nota, con quel
ritornello che ti fa ballare al primo ascolto… un altro capolavoro, e
siamo solo al 3° brano! Il testo tratta del cantante che chiede a sua
madre se è fiera di suo figlio, dopo che questi ha realizzato una
miriade di imprese da raccontare. Insomma, una grandissima canzone.
Matthew Shepard era un giovane ucciso brutalmente perché omosessuale,
lasciato moribondo legato ad uno steccato come un inquietante
spaventapasseri. Questa è la terribile vicenda raccontata in “American
Traingle”. Elton, che sicuramente sente in maniera particolare questo
brano, ha una profondià vocale che, ormai, si diceva “fosse andata”.
L’interpretazione del Nostro è da pelle d’oca, la sua musica affascina
ed inquieta allo stesso tempo. Il passaggio “Somewhere that road forks
up ahead to ignorance and innocence. Three lives drift on different
winds, two lives ruined, once life spent” fa venire I brividi. Il
testo, ma che lo dico a fare, risulta essere uno dei migliori scritti
da Bernie Taupin. Quindi, musicalmente un bel 9,8, ma il voto
scenderebbe globalmente senza il meraviglioso testo. Un’ennesima
dimostrazione di come la melodia di John e le parole di Taupin si
fondino perfettamente. Solo loro riescono a creare un’atmosfera così. A
proposito di atmosfere, “Original Sin” ne crea una tutta nuova, e si
basa sull’amore. E’ il pezzo, se vogliamo, meno impegnativo dell’album
(ma non scende sotto l’8), il testo è dolcissimo che va a completare
una ballata sicuramente ben riuscita, come non se ne vedevano da anni.
Il brano tratta di una storia d’amore finita in malo modo, e il (la)
protagonista riflette sul suo reale sentimento, che non cessa di
esistere, che non è morto con la relazione. Per la cronaca, è la sola
intro priva di pianoforte, ma si lascia ascoltare benissimo. Lo
scenario “cullante” viene sovrastato dalla frizzante “Birds”. Andamento
“country” e ritmo assai movimentato, in questo Elton ha fatto un ottimo
lavoro. Così come il suo paroliere, che ha scritto delle parole molto
belle per fare da cornice a questo pezzo riuscito ottimamente. “I Want
Love” potrebbe parlare della situazione passata del pianista di Pinner,
o di quella di Bernie, che ha perso fiducia nell’amore dopo aver
provato solo rammarico, delusioni e rabbia (con questo sono 3 i
divorzi) sposando questo sentimento. La musica richiama un’atmosfera
Lennoniana ai limiti del plagio, ma, non me ne vogliano i fans dei
Beatles, Elton ha qualcosa in più dei ragazzi di Liverpool… il brano è
diventato subito una hit, molto orecchiabile ma che lascia intravedere
la ritrovata ispirazione del duo che, in passato, non conosceva il
secondo posto. “The Wasteland” tratta la vicenda del geniale bluesman
Robert Johnson, il quale, leggenda dice, pare avesse stipulato un patto
con il diavolo barattando la sua anima con un’abilità chitarristica
fuori da ogni termine di paragone. Grande testo, musica azzeccatissima,
è uno dei brani portanti dell’album, a mio avviso, aggressivo e
graffiante, dal sound “rock”. La voce di Elton John mai così in forma
negli ultimi due decenni. Ma se vogliamo trattare l’ottima fusione tra
testo e musica, non possiamo che apprezzare e splellarci le mani per
applaudire il capolavoro assoluto che è “Ballad Of The Boy In The Red
Shoes” . Maestosa, imponente, strepitosa. Le parole scritte da Taupin
condannano l’ignoranza del governo americano retto da Ronald Reagan,
che prese sottogamba l’allora nascente problema dell’AIDS. La vicenda
parla di un ballerino, appunto, malato che vorrebbe tornare a fare ciò
che ama… cioè ballare. Ma è conscio che la sua vita sta per terminare
sotto i colpi di un male incurabile… e prega che qualcuno indossi le
sue amate scarpette rosse al suo posto. L’atmosfera di condanna si
rompe con “Love Her Like Me”, brano ben strutturato, interessante e il
cui testo si adatta perfettamente alla voce di John, che come sempre
riesce a dare emozioni indescrivibili. Un 8,5 non glielo toglie
nessuno. Forse, questo, è il vero capolavoro dell’album, “Mansfield”.
Mozzafiato, davvero, una canzone splendida e riuscitissima, il
pianoforte di Elton John ti catapulta all’interno della canzone e la
voce della rockstar è cullante come poche volte. A 25 anni di distanza
da “Blue Moves”, Bernie Taupin racconta la fine del suo 3° matrimonio
sotto i versi di una canzone. Il risultato è incredibile! “This Train
Don’t Stop There Anymore” chiude l’album. E’ un pezzo, questo, che
richiama particolarmente “Sweet Painted Lady”, splendido brano
(dimenticato dal pubblico, indimenticato dai fans) di GYBR. Molto
riflessivo il testo, che tratta delle vicissitudini della vita di Elton
John, anche il videoclip è particolare. Nel pianista si ri-intravede
tutta l’ispirazione che sembrava volata via con il vento e quella
genialità pianistica che nessuno potrà togliergli. Nessuno, neanche se
stipulasse il patto con il diavolo.
Grande merito per la
riuscita dell’album va, oltre che al mitico produttore Pat Leonard,
anche al paroliere Bernie Taupin, per cui, si è capito, provo
un’ammirazione particolare. Senza i suoi testi, la produzione di Elton
sarebbe stata per forza di cose meno ispirata e lo stesso Genio di
Pinner ci tiene a ricordare come la sua carriera, priva delle splendide
parole dell’amico-collega, sarebbe stata diversa. Molto diversa.
Parecchie, forse troppe, persone interpretano questa mia osservazione
come una presa di posizione, e tendono a sminuire gli enormi meriti del
paroliere. Boh. Secondo me, se un Genio è affiancato da un secondo
Genio, tutto non può che essere migliore. Invece, pare che questo
secondo Genio sia di impaccio. O scomodo.
Mi accingo a
concludere la recensione, quando una lettera scivola sotto la porta
della camera. Chi scrive sono “due vecchi amici”.
“This Train Don’t Stop There Anymore… We’re Still Standing !!”.
Bè, più chiaro di così…
|
di Jack Pinball 2012
Songs From The West Coast: l'Eterno Ritorno.
****1/2
Di leggende sulla fine del millennio, ne giravano
molte. I più fantasiosi dicevano di nuovi ordini mondiali che sarebbero
di lì a poco sorti. Al di là delle fesserie, una piccola grande
palingenesi, in realtà, c'è stata. Il finire del millennio si è portato
via un artista che era presente sulle scene mondiali da più o meno un
ventennio. Si tratta di Elton John. Ma come, direte voi, Elton John
andava in giro da molto più che venti anni e la fine del millennio non
se l'è mica portato via, visto che continua a girare il mondo col suo
pianoforte e a riempire le cronache un giorno sì e l'altro pure. Ma
l'Elton che ascoltavamo da vent'anni, fortunatamente, oggi non c'è più.
Non c'è più perché il pianista inglese, che nella seconda metà degli
anni Novanta era sprofondato in un baratro di creatività, nella
stanchezza artistica peggiore che avesse mai attraversato, un giorno si
incontra con Bernie Taupin, il cowboy inglese fissato con l'America che
lo accompagna fin dagli esordi e prende, insieme a quest'ultimo, una
scelta fondamentale. I due tracciano una linea nella sabbia. Da una
parte decidono di lasciare tutto quel che erano stati negli ultimi
venti anni: dischi scritti quasi per forza. Sonorità che non gli
appartenevano. Lavori talmente elaborati, da risultare in qualche modo
finti. Lavori che non avevano nulla della spontaneità artistica
trasmessa dai primi esercizi di due giovani scrittori di musica e
parole che avevano risposto ad un annuncio sul giornale, più di
trent'anni prima. Basta. Torniamo a far musica solo per il piacere di
farla. Musica che debba piacere a noi, prima che al largo consumo dei
fans. Musica che in un certo qual modo si collochi come necessaria
prosecuzione dei nostri classici più belli.
Così nasce Songs
From The West Coast (senza dimenticare l'incidenza dell'ascolto di
Heartbreakers di Ryan Adams). "A volte, per andare avanti, bisogna
guardarsi dietro", dice Elton all'inizio del documentario di The Union.
E se quest'ultimo, splendido, disco rappresenta il contatto col
passato, con Leon Russell, Songs From The West Coast rappresenta la
sterzata verso le radici della musica di Elton. Verso il pianoforte.
Lontano dall'elettronica. Verso melodie semplici, dirette. Verso
canzoni riflessive, di livello.
Viene chiamato Patrick Leonard, responsabile della
buona prova di El Dorado. Non un produttore root. Non un Burnett. Ma
Leonard, che sicuramente risulta adeguato per il ruolo: quello di
produrre un album pop con una certa dignità artistica. Un album pop nel
senso più bello del termine. E proprio nelle canzoni pop, Leonard non
delude e centra il risultato. Songs From The West Coast è un catalogo
delle anime di Elton. C'è (quasi) tutta la sua anima. C'è il
formidabile scrittore di ballad romantiche. C'è il ragazzino inglese
che guardava Roy Rogers alla TV e che fantasticava sulla musica
tradizionale americana. C'è il soft-rock tipicamente britannico del
quale Elton non è mai stato considerato un padre nobile: ruolo che,
tuttavia, gli spetterebbe eccome.
L'album vede la collaborazione di musicisti di
qualità, tra i quali spiccano Jay Bellerose, talentuoso batterista e
percussionista che figura pure in The Union e nell'upcoming The Diving
Board e Rusty Anderson, chitarrista di classe in forze nella band di
Paul McCartney. C'è un cammeo di Stevie Wonder, che torna all'armonica
quasi venti anni dopo I Guess That's Why Call It The Blues. C'è il
ritorno di Nigel Olsson alla batteria. Dopo la partecipazione ai cori
per svariati anni, finalmente il batterista che più rappresenta il
sound dell'Elton dei primi tempi, ritorna al suo ruolo. In alcuni brani
il fill di Olsson è rassicurante per il fan di vecchia data, che, dopo
aver conosciuto Elton accompagnato dalla batteria selvaggia di
17/11/70, era stato addirittura costretto a sorbirsi la drum machine di
Olle Romo in The One. Elton ha messo a durissima prova la fiducia dei
suoi fans. Tanto che la maggior parte lo ha abbandonato nel corso degli
anni. Ma Songs From The West Coast è un atto di gratitudine per chi gli
è rimasto vicino. E una prova di saggezza e maturità per chi, con
questo album, gli si è riavvicinato.
E' un album vero, asciutto, in cui pure le sbavature
possono essere perdonate sia perché la bellezza complessiva del disco
trascina l'ascoltatore fino alla fine; sia perché le cadute di Elton
dopo il periodo classico sono state così brutte, tante e vergognose,
che la produzione sbagliata di un brano country come Birds risulta un
peccato veniale all'orecchio dell'ascoltatore attento.
Le melodie sono tutte di classe. Come anticipato,
Birds è uno delle vette dell'intero lavoro: un brano country leggero
che sì, è la prova della maturità dell'autore di Country Comfort e
Dixie Lily. Qui la formazione pop di Leonard mostra i suoi limiti
perché confeziona in maniera elegante, pulita e brillante un brano che
avrebbe dovuto essere stripped down e con meno strumenti. Di livello
assoluto è, sicuramente, il brano di apertura, Emperor's New Clothes:
un soft rock delizioso, che risplende grazie ad una lunga intro di
pianoforte come non se ne ascoltavano da decenni. La prima canzone del
disco fa sospirare l'ascoltatore ucciso dai dischi degli 8Os e 90s:
tutto questo pianoforte (il cui suono martellante è, ancora una volta,
una conseguenza della formazione pop di Leonard, ma che, comunque, non
stona con l'impostazione del disco) sarà mica davvero dell'autore di
Tumbleweed Connection che è tornato a fare musica?
Sulla stessa linea American Triangle, il racconto
drammatico della straziante morte del giovane Matthew Shepard, con la
quale si raggiunge il picco della tensione dell'album. Anche qui è
riconoscibile la classe compositiva, con una melodia che si nutre della
sua stessa drammaticità ed evocatività.
Altro brano di spessore è This Train Don't Stop
There Annymore. Le liriche sono profonde e Elton compone una ballad
introspettiva che risplende davvero in una veste piano-basso-batteria e
orchestra diretta da Buckmaster.Nome, questo, che non è stato scelto a
caso, visto che le sue ariose orchestrazioni gonfiano i polmoni
dell'ascoltatore che riconosce uno dei responsabili di quel formidabile
capolavoro di orchestrazioni che è Madman Across The Water.
Il lavoro di Buckmaster è particolarmente pregevole:
eleva di molto il livello di una melodie a buone e nulla più, come The
Ballad Of The Boy In The Red Shoes.
Degne di menzione sono Mansfield e The Wasteland. La
prima è un gioiello pop, che parte sottotono per esplodere nel tripudio
delle orchestrazioni di Buckmaster: complici i testi esotici, Elton
compone una ballata che gode della semplicità e della evocatività della
melodia, prima ancora del vestito (un po' stretto) cucitole addosso dal
produttore. Un perfetto mix di musica e parole, che si fondono tra loro
in maniera così pregevole da lasciare l'ascoltatore a Mansfield,
avvolto dal tepore dell'estate indiana (un altro esempio di musica
evocativa sarà Mandalay Again, da The Union). L'altra, The Wasteland, è
un blues sporco e arrabbiato sottovalutato dai fans, ma che costituisce
una bella incursione nel genere da parte di Elton. Il richiamo
immediato è sicuramente a Stinker, certamente migliore in tutto
rispetto a questa, che comunque si difende bene nel contesto.
Ultimo cenno a I Want Love, singolo di punta
dell'album, lennoniana come non mai, con quella linea di chitarra
ripetuta in maniera così straniante da accompagnare assai degnamente le
liriche di Taupin. Anche qui, c'è tanto pianoforte. Bellissima intro
sostenuta dal basso.
Per chiudere, chi ha conosciuto Elton per le sue
canzoni d'amore, non potrà non apprezzare Original Sin: classica ballad
romantica eltoniana, sicuramente di classe. Qui Leonard dà il meglio di
sé come produttore perché indovina la veste da cucire addosso ad una
canzone come questa. Se la produzione delle canzoni deve giudicarsi
strettamente in connessione col genere di appartenenza, Original Sin è
una canzone riuscitissima, sotto questo punto di vista.
Songs From The West Coast è un album sincero. Per
scrivere grandi canzoni, che rimangano nel tempo, secondo il Maestro di
Elton, Leon Russell, devi scrivere canzoni vere. Una canzone può
definirsi vera quando è spontanea. Quando è scritta per il piacere di
essere scritta. In questo senso, Songs From The West Coast è un album
assai vero. Un album che ci restituisce la versione matura di uno dei
più formidabili, controversi e dotati compositori della storia. Deciso,
finalmente, ad andare avanti guardandosi e ripartendo dalle sue origini.
|
di The Bridge 2012
4 anni dopo il fiacco "The big picture" (il punto più basso dell'EJ anni
90), elton si ripresenta al mondo con un album finalmente ispirato e
convincente. Prodotto straordinariamente omogeneo, non vede nessun brano
spiccare sugli altri, tranne il primo singolo "I want love" e la
ballata "... of the boy in the red shoes", almeno al mio palato. Certo,
il paragone coi dischi degli anni 70 è improponibile, però si torna a
percepire l'Elton che ogni fan avrebbe voluto sentire per tutti gli anni
80 e 90, e che invece si era inabissato in un lungo letargo... Davvero
un album niente male, anche se a dire il vero gli preferisco i quasi
contemporanei (per l'Elton del 2000, con un album sfornato ogni 4 anni,
lo spazio di quasi un decennio significa quasi contemporaneità) "The
captain and the kid" (album meno patinato di questo e più nostalgico) e
"The union"(assai più convincente e ispirato dal punto di vista
compositivo).
Voto: 7+
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di Stefano Orsenigo 2012
Nel 2001 guardavo spesso MTV (si sa, da giovani si fanno molti errori),
senza trovare nulla di appagante fuor dello sfizioso (e talvolta
eltonesco) pop di Robbie Williams. Improvvisamente, due vecchie volpi
fecero uscire nello stesso periodo due brani che sembravano provenire
direttamente da metà anni 70: uno era You rock my world, ultima hit di
Michael Jackson prima del tragico declino, l’altro I want love di Elton
John, ed erano accompagnati da memorabili videoclip, rispettivamente
una variazione sul tema noir-gangster di Smooth criminal e un lungo,
tortuoso piano-sequenza incollato a un pensoso Robert Downey jr. Da
buon samaritano, Elton lo fece uscire di galera apposta per girare il
video, e da lì l’attore avrebbe ricostruito la propria carriera…
Songs From the West Coast, di cui I want love era un ottimo antipasto,
mi piacque moltissimo fin dal primo ascolto, ma fu solo dopo la
scoperta di tutta la discografia eltoniana che ne compresi appieno il
valore, nell’ispirazione come nella confezione. Prendete Emperor’s new
clothes: gli accordi sono complessi, imprevedibili, sorprendenti, il
pianoforte sembra esplodere in un boato liberatorio dopo anni di
umiliazioni e Patrick Leonard gli affianca basso, batteria e
archi-di-Buckmaster nel più inconfondibile stile Madman Across the
Water. Incredibile ma vero, è proprio il produttore di Madonna ad
ottenere l’arrangiamento “ricco ma essenziale” che più si avvicina alle
migliori prove di Gus Dudgeon, che si completa con un suono pulito,
limpido, tirato a lucido senza essere banalmente radiofonico o
inutilmente ruffiano, e che valorizza al meglio una band eterogenea
dove trovano posto Nigel e Davey, Jay Bellerose e Matt Chamberlain,
Stevie Wonder e Billy Preston, Gary Barlow e Rufus Wainwright.
Ma è l’ispirazione a fare la differenza con tutto l’Elton post-Blue
Moves: la scrittura è più cantautoriale, non piagnona ma toccante,
Bernie affronta temi scottanti come l’omofobia (American Triangle) e
l’AIDS (Ballad of the boy in the red shoes) e anche quando l’Elton al
miele riaffiora (Original sin) lo fa con eleganza, la stessa che eleva
il riempitivo (Dark diamond, che avrei sostituito con una a scelta tra
le magnifiche B-sides scartate, magari God never came here); e quando
si getta nel puro pop (Love her like me) il risultato è delizioso.
Solo ballads, dunque? Nossignore! Prima della chiusura, con la
suggestiva Mansfield e la meravigliosa, autobiografica This train don’t
stop there anymore (per chi scrive, il suo lento più bello e commovente
dai tempi di Idol), c’è spazio per The wasteland, un tagliente omaggio
alle radici del blues che, finora, resta il rock più vispo del suo
ultimo periodo (diciamo, del post-Wake up Wendy), e per due brani che
giocano col folk-country (Look ma’, no hands e Birds), segnando
l’inizio del riavvicinamento dell’autore al rock americano e quindi
allo stile degli anni migliori.
Un lavoro importante West Coast, che apre la fase neoclassica di Elton,
al quale però non è più riuscito, dopo questo disco, il colpaccio di
conciliare buone vendite e ottime critiche, soddisfare il fan storico e
lo spettatore di MTV, chi vuole la hit a tutti i costi e chi pretende a
ragione qualcosa di più raffinato.
Voto 7/8
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