RECENSIONI DEI VISITATORI
Elton John
inviate la vostra recensione di un disco
di Elton e sarà pubblicata in questa sezione.
non preoccupatevi, non cerchiamo critici
professionisti, ma le impressioni, positive o negative, dei fans!
Elton John è il disco di Your Song, quello del successo internazionale dopo anni di
gavetta nel mondo musicale inglese. Il notevole salto qualitativo è
dovuto principalmente al fatto che la Dick James mette a disposizione un
budget consistente per la realizzazione dell'album, e ciò significa
un uon produttore come Gus Dudgeon, un'arrangiatore straordinario
come Paul Buckmaster (ambedue provenienti dallo Space Oddity di Bowie),
i Trident Studios e una schiera di session man da studio di ottimo livello.
Poggiando su queste basi anche le canzoni di Elton e Bernie prendono il
volo, è sicuramente uno dei suoi dischi dove il livello medio delle
canzoni, a prescindere dal resto, è più elevato. Si fa veramente
fatica a dire quali siano i pezzi migliori tra Your Song, The Greatest
Discovery, First Episode at Hienton, I Need You To Turn To e Sixty Years
On senza voler denigrare le altre, forse è solo The Cage ad essere
un gradino sotto. Strano a dirsi, il punto debole (per modo di dire!) dell'album
sono in questo caso gli arrangiamenti orchestrali di Paul Buckmaster; al
contrario dei dischi successivi, qui in alcune occasioni l'atmosfera è
un po' troppo cupa, tetra, esempio per tutti Sixty Years On veramente sminuita
in questa versione. Ma in generale il lavoro di Buckmaster è
sempre grandioso e tutto il resto gira che è una meraviglia, l'Elton
compositore è già entrato in stato di grazia (in contemporanea
aveva già composto anche i pezzi che sarebbero finiti su Tumbleweed
Connection), la produzione molto elaborata di Dudgeon è ottima e,
anche se i suoni del disco non sono propriamente commerciali, le vendite
danno ragione a chi aveva creduto in lui dopo il debutto in sordina di
Empty Sky. In mezzo ai session man troviamo ancora Caleb Quaye e da citare
sono i fantastici cori che avrebbero caratterizzato anche i due album successivi,
con coriste del livello di Lesley Duncan, Madeline Bell e Kay Garner tra
le altre. Di solito, quando vengono citati i top album di Elton, Elton
John ne rimane fuori, ma secondo me solo per il discorso degli arrangiamenti
un po' ostici che facevo prima, perchè a livello compositivo è
una dura lotta con Madman e Tumbleweed per la posizione n°1. Non avendo
suoni particolarmente alla moda allora, dopo tanti anni non risulta per
niente datato, è solo meno immediato rispetto ad altre produzioni.
Sicuramente non può mancare nella discografia essenziale di Elton
che in questi anni è a livelli irripetibili.
voto (da 0 a 10): 8,8
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di Giorgia Turnone (2009)
"Elton John"
40 (+1) anni d’ispirazione 1970: LA TUA CANZONE
Il
primo album è il classico bicchiere mezzo vuoto e mezzo pieno, ma non
rispecchia appieno il talento intrinseco nella natura di Reginald e
Bernie. Solo due o tre canzoni spiccano alla grande, ma il risultato
non è il massimo. La seconda chance, abbiamo detto, è opera di Steve
Brown, che convince Dick James nel mettere a disposizione dei due
ragazzi un’attrezzatura seria. Questi accetta, riluttante, e così si
getta le basi per il secondo album, che sarebbe uscito l’anno dopo.
Intanto,
il destino continua a divertirsi con Reg e Bernie. Entrambi sono
infatti sconsolati, delusi e per certi versi già stanchi della carriera
musicale intrapresa. Muoiono di freddo e di fame sotto i ponti
dell’innebbiata Londra. Il loro primo singolo, Lady Samantha, non ha
intaccato le classifiche perché, pareva, troppo poco originale. Il
pubblico, ancora innamorato degli “Scarafaggi”, presta poco orecchio
agli esordienti. Invece, la critica ha espresso toni lodevoli nei
confronti dei due artisti, citando il testo di Taupin come “notevole”.
Ma è troppo poco per coloro che strapperanno lo scettro ai più grandi.
Poco
tempo dopo, i due amici ritrovano entusiasmo e cominciano i lavori per
il secondo album. Niente è come prima. Gli arrangiatori e i produttori
sono cambiati, adesso c’è gente professionale lì dietro. Paul
Buckmuster e Gus Dudgeon, due figure che segneranno il cammino musicale
di Reginald Dwight. Arriangiamenti taglienti come coltelli e dolci come
la seta saranno caratteristiche della seconda produzione.
Reg
canta le liriche del suo paroliere, che raccontano di re condannati al
patibolo sotto congiura familiare, autobiografiche esperienze sessuali,
un disperato bisogno dell’indeterminato, la voglia di non varcare i 60
anni di età… ma non sarà questo a far decollare il disco. Perché
l’album entri nella leggenda, serve una canzone portante. Anzi, più di
una canzone. La tua canzone.
In un’epoca lasciata vedova dei
Beatles, niente può più stupire. Niente può più vendere, andare alle
stelle. Tutto è già stato visto, e chissà quando ne nasceranno altri
come loro, si diceva la gente nei bar. Bè, gli eredi erano davanti ai
loro occhi.
Taupin era un adolescente pieno di belle speranze e
con una fidanzatina. Una mattina, decide di scrivere una lirica per
lei. Ma forse, trattava l’amore generico. Troppo idealizzato, colorato,
puro. Ma d’altra parte, il paroliere non era ancora maggiorenne. A
lavoro finito (leggenda narra: tempo 20 minuti), una macchia di caffè
sporca il bordo inferiore del foglio. “Mah, quasi quasi ora lo getto.”
avrà pensato Bernie. E invece, il destino ha voluto il contrario.
Taupin presenta il suo testo all’amico, che in poco meno di mezz’ora
crea il giusto affresco per quella meravigliosa cornice. Era la loro
canzone. La nostra canzone. La canzone di tutti. La canzone di chi è
innamorato. La canzone di chi vorrebbe esserlo. La canzone di chi ha
perso l’amore. La canzone di chi l’ha riconquistato. La canzone degli
omosessuali. La canzone di chi sogna. La canzone di chi ama la musica.
Era Your Song.
1970.
Possiamo considerare iniziata l’età dell’oro. Il secondo album ottiene
un successo che neppure il più ottimista degli ottimisti avrebbe potuto
immaginare. Qualcuno paventa la tempesta “Eccoli lì sono loro gli eredi
dei Beatles!”. Era ancora presto per dirlo. Nessuno ci ha creduto,
meglio così. Reginald e Bernie si sarebbero bruciati in soldi facili,
canzoni da classifica, concerti poco memorabili in piazzole
semi-deserte. Non basta scoprire l’hit del momento per essere dei geni.
E questo, lo sapevano benissimo. La scalata per l’Olimpo della Musica
era appena iniziata.
La copertina dell’album è tetra, buia,
cupa, mezzo volto del pianista illuminato da una luce fioca, la
perfetta contrapposizione di quello che diverrà dopo. Con un altro
nome. Il nome dell’album.
Signore e signori... ELTON JOHN.
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di Stefano Orsenigo (2011)
La storia del secondo LP di Elton John, dal titolo omonimo, è quella di un talento premiato: malgrado i primi singoli ed Empty Sky
fossero passati inosservati, la DJM decise di sostenere il giovane
Elton con un disco prodotto a budget più alto ingaggiando i due artefici
della memorabile Space Oddity di David Bowie, ossia Gus Dudgeon (produttore) e Paul Buckmaster (agli arrangiamenti).
Ma se Elton John scalò le classifiche inglesi e americane non fu per la celeberrima Your Song,
la regina delle canzoni d'amore, perfetta nella sua semplicità la
quale, è bene ricordarlo, inizialmente uscì solo come B-side del secondo
singolo Take me to the pilot; no, il successo Elton se lo
guadagnò grazie alla promozione affidata ai concerti, che colpirono
soprattutto il pubblico americano svelando un talento di compositore e
pianista rock senzazionale.
Il difetto del disco è proprio quello di
non valorizzare appieno l'Elton mago del pianoforte, spesso sovrastato
dagli archi, ma d'altro canto se Elton John è un classico del
pop-rock sinfonico lo deve soprattutto ai barocchi interventi
dell'orchestra condotta da Buckmaster, al servizio di melodie ora cupe (Sixty years on), ora solenni (The king must die), ora classicheggianti (I need you to turn to, dove il clavicembalo è usato assai meglio che in Skyline pigeon), ora delicate (The greatest discovery) ora uggiose (First episode at Hienton,
il brano più debole a mio parere), che gli conferiscono un suono
particolare e originale e ne fanno probabilmente l'album di Elton meno
orecchiabile e radiofonico, tanto più che i testi di Taupin passano con
naturalezza dal romanticismo intimista all'ermetismo puro...giusto per
ribadire del talento premiato e del successo non scontato.
L'orchestra è affiancata a una validissima sezione ritmica in brani che strizzano l'occhio ai generi americani come il R&B (Take me to the pilot, The cage), il gospel (la stupenda Border Song, primo dei due singoli estratti), il country (No shoe strings on Louise) secondo un modello che verrà perfezionato nel successivo Tumbleweed Connection.
Un
disco importante, da avere, ma non l'ideale per chi fosse digiuno di
Elton e volesse iniziare a scoprirlo: meglio partire con un album più
immediato, oppure col live 11-17-70 che immortala una tappa del
tour e l'incredibile energia di Elton al piano accompagnato solo da
basso (Dee Murray) e batteria (Nigel Olsson), una formula purtroppo mai
più ripetuta per la quale oggi metterei la firma, se avesse il coraggio
di riproporla.
Voto 8+
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di Max Pollavini (2012)
Se lo consideriamo il disco di debutto, come fanno gli americani, allora
c’è da rimanere abbagliati. Altrimenti, avessimo ascoltato qualche mese
prima il vero esordio (Empty Sky) incorreremo in eguale stupore nel constatare la improvvisa, quanto imprevedibile, maturazione dell’autore.
Sempre
indecifrabile, invece, il paroliere Bernie Taupin, a tratti
meravigliosamente cinematografico, ora troppo adolescenziale, altre
volte capace di catturare, seppur sempre con generica semplicità, i
sentimenti più comuni della vita.
E’ il disco forse più
sottovalutato dell’intera discografia, raramente incluso nella top 3
eltoniana da critici, grande pubblico e fan. Eppure è un album
strepitoso nel quale si coglie anche un qualche elemento di novità.
Elton John non è mai stato un innovatore o un rivoluzionario, né lo è
qui: l’uso di orchestrazioni classiche era già ampiamente in voga (si
pensi all’album Freak Out! dei Mothers of Invention di Frank
Zappa, datato 1967). Però questo misto di pianismo percussivo, pianismo
classico e orchestrazioni rappresentano comunque qualcosa di
indefinibile e di inconsueto nel panorama musicale dell’epoca; e si
rivelerà anche un episodio unico nella carriera dell’artista, che in
futuro ritornerà sì a calcare queste orme di pop/rock sinfonico ma mai
più in modo tanto ripetuto, deciso e organico (almeno all’interno di un
medesimo album).
L’autore ci regala qui forse la sua collezione
migliore di melodie. Al 99% degli autori basterebbe il brano di apertura
per giustificare un’intera carriera: una semplicità di testo, musica,
arrangiamento e interpretazione vocale, tale da assegnargli la corona
dell’eternità. Se paragonata alla gemella, e di poco precedente, A Song For You di Leon Russell, Your Song
è sicuramente meno bella e raffinata, ma assai più accessibile. Questa
estrema popolarità dei suoi brani più rappresentativi sarà la croce e la
delizia di tutta la carriera di Elton John: gli garantirà uno
sterminato successo, al tempo stesso oscurando le perle più preziose.
Le classicheggianti I Need You To Turn To, First Episode At Hienton, Sixty Years On, The Greatest Discovery e The King Must Die
mettono in mostra, con disarmante facilità, lo scorrere fluido di un
fenomenale e variegato ventaglio armonico di stampo classico. A
potenziare questo classicismo compositivo, che è parte del bagaglio
d’infanzia dell’artista, gli arrangiamenti orchestrali maestosi
dell’arrangiatore (e genio) Paul Buckmaster capaci di rappresentare, con
eguale perfezione, eleganza ed efficacia la disperazione di una
tragedia di Shakespeare e la grazia di una nuova vita, la delicata
malinconia del ricordo amoroso della Valerie di Hienton e la palpitante
angoscia dell’idea della vecchiaia e della morte. Queste orchestrazioni
così poderose sono il marchio di fabbrica del disco, diventandone a
tratti anche la sua, unica, imperfezione: l’emblema è Sixty Years On,
la melodia migliore del lotto, in cui il pianismo straordinario e
altamente drammatico (che si può ascoltare nel disco live 11-17-1970)
viene pesantemente soffocato dalla supremazia dell’orchestra.
Molto
validi e finalmente terreno di libero sfogo del pianista, pur
nell’ambito di una qualità melodica non così eccelsa, gli episodi rock
come The Cage e Take Me To The Pilot. Splendida, benché un po’ fuori atmosfera (forse avrebbe dovuto scambiarsi di ruolo con la Come Down In Time di Tumbleweed Connection) la puntata nel country/gospel di No Shoestrings On Louise, l’episodio probabilmente più convincente da un punto di vista vocale.
La menzione finale va al brano più riuscito, quello in cui si raggiunge finalmente il perfetto compromesso nell’arrangiamento: Border Song,
racconto di una guerra civile che riesce a dividere anche i fratelli,
non sarà forse il pezzo migliore dal punto di vista della scrittura, ma è
semplicemente stratosferico nel bilanciare e armonizzare la potenza del
pianoforte con la maestosità degli archi, la delicata ma peculiare voce
nasale del cantante con la spiritualità solenne del coro gospel.
Voto: 93/100
“Song by song”:
Your Song 8,5
I Need You To Turn To 8,4
Take Me To The Pilot 8,1
No Shoestrings On Louise 9,3
First Episode At Hienton 9,4
Sixty Years On 9,1
Border Song 9,4
The Greatest Discovery 9,1
The Cage 8,2
The King Must Die 9,0
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