RECENSIONI DEI VISITATORI
Empty Sky
inviate la vostra recensione di un disco
di Elton e sarà pubblicata in questa sezione.
non preoccupatevi, non cerchiamo critici
professionisti, ma le impressioni, positive o negative, dei fans!
Che
dire di Empty Sky, primo
album realizzato da Elton nel lontano 1969? Che è un bel disco!
Prima di fare tutte le considerazioni del caso riguardo alla
qualità
assoluta del disco, è un prodotto che si ascolta con piacere
nonostante
sia un'opera prima, con tutti i difetti e le manchevolezze che quasi
tutti
i dischi di esordio hanno. Di sicuro non è un album
particolarmente
originale, anzi spesso è scopiazzato dagli altri artisti
dell'epoca,
non contiene capolavori, la produzione (per stessa ammissione di Steve
Brown) è quasi inesistente e si sente che è stato
realizzato
con un budget molto limitato, ma ciò nonostante Elton inizia a
far
vedere quello che è capace di fare. Il disco è
stato prodotto internamente alla Dick James Music, con mucisti e un
produttore
quasi "di fortuna", scegliendo tra le decine di demos realizzati in
quegli
anni le canzoni più valide, quelle non scritte ad uso
prettamente
commerciale da fornire ad altri artisti. Tra i musicisti, oltre
all'inconfondibile
chitarra di Caleb Quaye, troviamo la prima apparizione di Nigel Olsson
in Lady What's Tomorrow, canzone piacevole ma di certo non memorabile.
Le cose migliori, secondo me, sono Empty Sky, Hymn 2000, Sails e
soprattutto
Gulliver, mentre ho sempre trovato abbastanza scontata e sdolcinata
l'unica
canzone di questo album che di solito viene ricordata, Skyline Pigeon.
Lo stesso Elton la considera la sua prima canzone di un certo spessore
ma, che volete che vi dica, a me non è mai piaciuta
particolarmente,
la trovo solo discreta. Pongo invece un gradino sopra tutte la
dimenticata
Gulliver: in questo brano trovo che si intuisca quello che Elton
avrebbe
mostrato da li a poco con i grandi album che sarebbero seguiti.
Comunque,
nel suo insieme, è un disco che ascolto sempre con piacere, il
livello
medio delle canzoni rimane tra il discreto e il buono, senza cadute
particolari.
Gli arrangiamenti, come ho già detto, sono abbastanza grezzi ma
Steve Brown era solo un tecnico del suono che si era improvvisato
produttore
e non si poteva chiedergli un miracolo. Il piano di Elton ancora
non emerge, mentre c'è un uso spropositato di clavicembalo (!)
che
in un disco senza accompagnamenti orchestrali suona veramente strano.
Elton
non ha chiaramente la visione chiara di dove vuole andare a parare,
saccheggia
un po' i generi e gli artisti dell'epoca e probabilmente non vuole
arrischiarsi
di andare in una direzione ben definita; sa che questa potrebbe essere
l'unica occasione per incidere un album suo e vuole fare un prodotto
che
possa andare bene al pubblico di allora, che possa vendere
discretamente
e dargli l'opportunità di proseguire una carriera
autonoma.
Ma, a distanza di tanti anni, per un ascoltatore esterno, penso che non
sia un disco così estraneo alla produzione più classica
che
sarebbe venuta dopo, come è invece è successo per le
opere
prime di altri artisti. In definitiva, Empty Sky rimane un album
più che discreto che ha dalla sua molte attenuanti per le
manchevolezze
che lo affliggono, e che mostra in parte già le capacità
compositive e interpretative del futuro "vero" Elton John.
voto (da 0 a 10): 6,9
|
di Pierluca Turnone (2011)
"Sì Signora, quale è il domani? Qual'é il domani? Sarà lo stesso di
adesso?". Potrebbe aver pensato questo il giovane Elton, nell'accingersi
a registrare i brani che poi avrebbero costituito la sostanza del suo
primo album in studio, Empty Sky. Un disco realizzato con insicurezza e
poca originalità, ma anche con tanta voglia di fare e molte belle
speranze: ricordiamoci anche nei gloriosi Sixties il nostro Reg le aveva
provate tutte, e senza riuscire ad approdare a nulla, né da un punto di
vista prettamente artistico (oggi canzoni come Turn to Me, Annabella
Umberella e Sitting Doing Nothing fanno quasi sorridere paragonate alla
sterminata produzione di Elton, ma già allora saranno sembrate smaccate
canzoncine alla limonata, piacevoli e nulla più) né tanto meno da uno
commerciale (che dire di I Can't Go On Living Without You
all'Eurofestival?). Empty Sky si configura quindi essenzialmente come la
geniale intuizione di Steve Brown, che, comprese le potenzialità di
Elton e Bernie, non si lasciò sfuggire l'opportunità che quei due
costituivano. E fece sua la produzione di tutto il lavoro, il che
avrebbe potuto costituire il primo e ultimo atto della carriera
eltoniana (Western Ford Gateway docet...), ma non ci si poteva aspettare
di più da un budget essenzialmente molto (troppo) limitato. E inoltre, a
parte questi evidenti punti deboli, bisogna riconoscere la validità di
un prodotto che, seppur disomogeneo e un pò scopiazzato, mostra
innegabilmente i segni di quel talento e di quella genialità tipicamente
eltoniani che si sarebbero espressi compiutamente nei dischi
successivi. Pensiamo a quel gran pezzo rock che è la title-track, dalle
venature psichedeliche e dal finale trascinato (coraggiosamente scelta
come brano d'apertura) con la chitarra del buon vecchio Caleb in
evidenza; a Gulliver, altra grande canzone, preludio a certe atmosfere
tumbleweediane, sfociante poi nel curioso (seppur breve) strumentale
jazzato Hay-Chewed; a Hymn 2000, stravagante brano abbastanza atipico
nel panorama eltoniano (mette in evidenza perfino i... fischi di Clive
Franks!); alla freschezza di Sails, interpretata magistralmente. Skyline
Pigeon, poi, costituisce la prima vera, grande ballata del giovane Reg,
composta da quell'anima melodica che egli farà rivivere nelle soffuse
atmosfere di Your Song, I Need You to Turn To, Tiny Dancer, High Flying
Bird, Harmony: il clavicembalo che pervade il pezzo contribuisce ancor
di più alla sua particolarità, conferendogli sfumature e sonorità alle
quali i fans di Elton non sono abituati (così come accade nella
deliziosa, norrena Val-Hala). Anche Lady What's Tomorrow (alla batteria
c'è Nigel, per la prima volta in un disco del futuro Sir!) e Western
Ford Gateway (prima brano di Elton dalle tematiche prettamente
americane) sono brani piacevoli; forse l'unica canzone meno valida è The
Scaffold, comunque decisamente intrigante (l'interpretazione vocale
così soffusa e insicura non fa che accentuare l'aspetto naive che
pervade l'LP). Anche i testi sono fra i più ermetici mai scritti da
Bernie!
Non occorre aggiungere altro: Empty Sky, nonostante il flop
che si rivelò essere sul mercato britannico (anche se in quello
americano, 6 anni dopo, guadagnò una #5), costituisce il primo lavoro
organico di Elton, fondamentale esperimento che avrebbe influenzato
tutta la produzione immediatamente successiva.
Voto: 7
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di Stefano Orsenigo (2011)
LP d'esordio di Elton John, con testi scritti dal sodale Bernie Taupin, Empty Sky
viene alla luce sul finire degli anni 60, un periodo cruciale in cui si
attenuano gli eccessi della psichedelia e si riafferma la
forma-canzone, spalancando le porte a quella che sarà l'età d'oro del
Rock, il lustro 1970-75.
Come molti dischi d'esordio ha un suono poco
elaborato, quasi da demo e qualche ingenuità (a cominciare dalla poco
attraente copertina, con un Elton capellone sosia di Al Bano), ma
proprio in virtù di questo ispira simpatia, dato che oggi con una
super-produzione alle spalle qualsiasi nullità pop può sbancare già al
primo colpo.
Invece la Dick James Music aveva puntato con un basso
budget sul talento acerbo di un giovane musicista, pianista e cantante
della scuderia, già in rodaggio da due anni (il primo singolo, passato
inosservato, era del 1967). E sprazzi di talento non mancano in questo
album, a cominciare dalla lunga title-track che lo apre, un brano rock
alla Rolling Stones pieno di energia, non a caso proposto live con la
superband a metà anni 70 quando Empty Sky sarà distribuito negli USA a seguito della immensa popolarità conquistata dal suo autore.
Notevoli anche la nervosa Sails, la folkeggiante Hymn 2000 e Western Ford Gateway,
un gioiellino country-rock che sorprende per maturità e freschezza:
sembra scritto oggi, tanto che le strofe verranno scopiazzate (o
citate?) da una hit degli Oasis.
Nelle ballate emerge già lo stile melodico caratteristico della coppia John-Taupin, ma nè Val-Hala nè Lady what's tomorrow nè l'insipida The scaffold sono degne di nota; alla migliore del mazzo, Skyline Pigeon,
qui buffamente arrangiata al clavicembalo, verrà resa giustizia con una
superba piano version uscita come B-side pochi anni dopo.
Discorso a parte merita la conclusiva Gulliver,
che grazie a una struttura melodica meno scontata spicca per bellezza
sulle altre ballads, andando a legarsi ad un brano strumentale jazz dal
titolo Hay Chewed (si legge Hey Jude, tanto per capirci...) e ad una ripresa finale di tutti i ritornelli dell'album.
La
produzione spartana valorizza decisamente i brani rock, dove già si fa
sentire la bella chitarra di Caleb Quaye, penalizzando i lenti: già
questo costituisce un'anomalia nella discografia di Elton e rende Empty Sky
un disco interessante anche se lo si considera al di fuori dal contesto
eltoniano...insomma, non si tratta del classico lavoro consigliabile ai
soli fans e collezionisti.
voto 6/7
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di Britomarti (2011)
È uno dei miei album preferiti, lo riascolto sempre volentieri. È un
album piacevole e bello. Ci sento una sorta di varietà musicale e ho
come la sensazione di viaggiare nel tempo: dipenderà forse dalla
presenza in alcune canzoni del clavicembalo, il suo suono mi fa pensare a
epoche passate; sarà forse la ‘particolare’ Valhalla che mi riporta nel
mondo mitologico antico dei vichinghi (la mitologia nordica mi ha
sempre affascinato), in altre canzoni invece si torna a suoni
contemporanei. È una bella sensazione. Mi fa pensare al vaso di Pandora,
è un susseguirsi di ‘musiche diverse’ e di argomenti diversi: il
giovane Elton, probabilmente ancora un po' insicuro, apre il suo vaso di
Pandora e lascia uscire questa varietà musicale, sarà anche un lavoro
poco omogeneo, un po' caotico, ma è un album che non stanca e che si
riascolta sempre con piacere
Sinceramente sono un bell’ascoltare
tutte le canzoni, ma le mie preferite sono: Empty Sky, Lady What's
Tomorrow, Skyline Pigeon (la musica mi fa immaginare una corte
rinascimentale dove dame e signori ascoltano musica o danzano nei giorni
di festa, il testo invece mi fa pensare allo schiavo, il testo invece
mi fa pensare al servo che sogna di liberarsi dalle catene della
schiavitù e ‘volare libero’) e Gulliver/Hay Chewed/Reprise.
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di Max Pollavini (2012)
Un recensore avveduto e saggio che si trovasse oggi a scrivere
dell’album d’esordio di Elton John non potrebbe esimersi
dall’evidenziare come questo Empty Sky, per quanto acerbo e
confusionario, ci mostri i germogli del leggendario futuro che avrebbe
atteso l’artista.
L’onesta realtà è ben diversa. 1969. Esordiscono Led Zeppelin e Crosby,
Still & Nash con gli omonimi album; si pubblicano dischi come Abbey
Road dei Beatles, At San Quentin di Johnny Cash, Bookends di Simon
& Garfunkel; le radio diffondono le sonorità extraterrestri di
Space Oddity e i media narrano di Woodstock e del Festival dell’Isle of
Wight. Messo lì accanto a certi mostri sacri dell’epoca, per quanto
lieve e mai disprezzabile, impallidisce apparendo modesta opera di un
autore poco geniale, per nulla innovatore e spesso maldestramente
impegnato ad attingere altrove.
Credo che allora gli avrei concesso solo un paio di distratti ascolti.
Il paradosso è che quello che si rivelerà il miglior autore di ballate
di tutti i tempi, in questo esordio sembra assai poco creativo proprio
nei ritmi lenti. Valhalla, Lady What’s Tomorrow e Skyline Pigeon sono i
momenti forse meno riusciti del disco: melodie elementari, testi naive,
vocalità a tratti insicure, il tutto costruito su un modello produttivo
assolutamente privo di brillantezza d’idee e sempre uguale a se stesso
(con un inspiegabile abuso del clavicembalo). In particolare Skyline
Pigeon, forse il primo “marchio di fabbrica” John/Taupin, ballata dalla
melodia semplice ma di effetto, testo generico ma che cattura
l’universo, rimane sconvolta e repressa dentro una produzione senza
senso che soffoca una essenzialità da ornare solo di pianoforte e voce.
Eppure si lasciano ascoltare placide, infondendo un senso di serenità.
Parzialmente diverso discorso per gli uptempo. Aggressivi, taglienti,
tendenti allo psichedelico, arricchiti da alcuni cambi ritmici,
costruiti su schemi che concedono maggior libertà e una certa dignità
al pianista e ai buoni strumentisti che lo circondano. Empty Sky e
Sails, seppur assai poco innovativi per l’epoca, rappresentano episodi
isolati nella discografia di Elton. Il ritornello di Western Ford
Gateway ci concede una visione, seppur pallidissima, dell’Elton
immediatamente successivo; quello di The Scaffold, nella sua leggerezza
country, si lascia ascoltare con un certo incanto.
Una parola anche per il compagno di viaggio, il paroliere Bernie
Taupin. A tratti sembra di leggere le pagine scontate di un diario di
un ragazzino per nulla originale; altre volte, come in Hymn 2000, pare
un pazzo visionario alla Bob Dylan. Sicuramente da rivedere.
Giunge dunque il finale. Gulliver/Hay Chewed è il momento più
imprevedibile, interessante, folle. Forse Elton John si è svelato
regalando una scheggia di luce: ti verrebbe quasi voglia di riascoltare
tutto daccapo. Non fosse per quell’orripilante “reprise” che giunge
inaspettato e improvviso cancellando, in un solo istante, tutto il
pathos costruito con tanta fatica e in mezzo a tante incertezze.
Inadeguato per la qualità di quell’epoca, più che indicare la
traiettoria futura del giovane Reg, ci rivela il suo passato, i suoi
ascolti e modelli giovanili.
Voto: 67/100
“Song by song”:
Empty Sky 6,8
Valhalla 6,2
Western Ford Gateway 7,2
Hymn 2000 6,2
Lady What's Tomorrow 5,8
Sails 7,4
The Scaffold 6,6
Skyline Pigeon 6,1
Gulliver/Hay-Chewed 7,7
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