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Roma - Fori Imperiali
03.09.2005


LE FOTO
I COMMENTI DELLA STAMPA



VIA DA LAS VEGAS
di Beppe Donadio

la vita è strana. passi dieci anni a fare il giro dell'europa perchè pensi che elton john sia l'unica forma di canzone che si possa ritenere degna di tale nome (il nome è "canzone", inteso come musica e testi insieme).
poi ti accorgi che stai ascoltando solo elton john, e allora compri altri dischi, perchè qualcuno ti dice che il pianoforte non si suona così, e perchè qualcuno ti dice che "non puoi ascoltare solo elton john". vero. in parte.
poi torni alle origini, e ti convinci che a quella musica devi tutto, o molto della tua vita, e in una notte d'estate romana ti accorgi che "don't let the sun go down on me" c'entra in quella piazza come "roma nun fa la stupida stasera", e non sfigura affatto.

c'è bill evans, che ha fatto la storia del jazz. quello sì che è un genio dell'armonia.
c'è chick corea, quello sì che è un pianista.
tutto vero. ma in parte.
il mondo è pieno di pianisti validi, raffinatissimi, preparatissimi e a volte incomprensibili (cosa che agli occhi di qualcuno ne accresce la grandezza), o dannati e consumati dal tempo e dalla vita dissipata (cosa che solitamente ne accresce la portata artistica e rende insonni le notti di giovani donne in cerca di eroi).
il dramma odierno è che non c'è più la figura di mezzo, quella che le enciclopedie chiamano “pianista rock“ o “pianista pop“, quello che scrive le canzoni al pianoforte, e quelle canzoni si reggono su quello strumento e non sulle chitarre dei belli e dannati con la chitarra. oggi il rock non è più sinonimo di pianoforte. oggi non c'è il nuovo elton john, come non c'è il nuovo billy joel. forse non se ne fanno più. o forse ci sono e non sappiamo dove sono.

i pianisti di oggi si dividono in pianisti jazz e pianisti di pianobar. il pianista di pianobar una volta era preparatissimo, e doveva sapere di jazz, almeno un pò. poi il pianobar è diventato sinonimo di "balera", o qualcosa di simile, comunque denigratorio. i pianisti di pianobar oggi si dividono in due sottocategorie: quelli che suonano davvero e quelli che fanno finta di suonare. e cioè quasi tutti.
se nei prossimi giorni andrete agli ultimi matrimoni del mese di settembre, fate caso ai pianisti che appoggiano le mani sulle tastiere. vi accorgerete che non suonano un bel nulla. ma schiacciano pulsanti digitali e come le donnine dei filmini a luci rosse, fingono in modo molto palese.
non è colpa loro. siamo noi che non ci facciamo più caso, noi ai quali sta bene così, tanto siamo lì per divertirci. e chi lo ascolta più il pianista...

bello il telecomcerto, ricco di acqua calda ma anche di graziosi cappellini rossi che faranno la gioia degli acquirenti oltreoceano di ebay. così come sono contento che si possa avere dello spazio per scrivere cose senz'altro più intelligenti di quelle che normalmente scrive luzzatto-fegiz su elton john, dai tempi del bidone di sanremo ad oggi.
non aggiungerò altro al fatto che è stata una notte da mondiali di calcio, indimenticabile e così ben vissuta. come non posso che unirmi al coro che grida “quanta classe su quel palco“, con nigel olsson che si mangia in un solo boccone charlie morgan e tutti gli altri suonatori di tamburi e piatti delle ere precedenti, facendo la metà delle cose, ma soltanto là dove serve. e dunque meglio. splendido olsson.
ci sono un paio di cose che mi sono passate per la testa in quelle, purtroppo, due ore di concerto, e non tre come si diceva (confesso che ho detto un certo numero di parolacce, subito dopo your song. ma sarà stato il colosseo, o la compagnia, le parolacce sono tornate in fondo al sacco al primo aroma di carbonara a Roma, città eterna, ma anche città che chiude tutti gli esercizi di notte, mc donalds compresi. credevo succedesse solo a brescia).

sabato 3 settembre è uno di quei giorni che chiudono i cicli.
in dieci anni mi sono riempito la casa di ogni genere musicale, dal country al liscio, dal jazz a claudio baglioni, da jackson browne ai collage.
ma sabato ero sotto quel palco ad ascoltare il solo di bennie & the jets, lo stesso da sempre, e sorry seems to be the hardest word, la stessa da sempre. mi sono chiesto cosa mi avesse spinto a fare 1138 km, 7 ore di attesa sotto il sole e una semi-disidratazione per ritrovarmi a cantare a voce alta le parole di taupin, una volta di più, una in più di quelle mille, duemila volte che me le ero cantante in auto, per strada, nel bagno, nel dormiveglia, da sveglio, ovunque, in giro per l'europa in quei dieci anni di cui sopra e in tutti i giorni della mia vita, da sad songs fino ad electricity (quanto ad electricity, sotto la doccia si potrebbe cantare di meglio...)
ho cercato una risposta a questa domanda, e la risposta non me l'hanno data nè i collage, nè il country, tanto meno claudio baglioni. e nemmeno il liscio (anche lì, alle feste di piazza, i suonatori di liscio fanno tutti finta di suonare).

la risposta l'ho trovata nel jazz.

se andate ad un concerto di jazz in piazza, dove tutti fingono di capire tutto e intanto parlano di vacanze e storie d'amore, qualcuno vi suonerà sempre, a rotazione, o "summertime", o "autumn leaves", oppure "the girl from Ipanema", perchè il jazz popolare è "summertime", o "autumn leaves", oppure "the girl from Ipanema".
è arrivato il tempo in cui sorry seems to be the hardest word è divenuto standard. standard di musica leggera, pop, o rock, chiamatela come volete. perchè l'uomo sul palco di roma ha scritto standards della canzone. e quegli standards se vuoi te li prendi, li porti a casa, li analizzi e impari a scrivere canzoni, perchè lì dentro c'è una specie di dna. non a caso nelle scuole di musica moderna "song for guy" è diventato quello che "per elisa" è nelle scuole di musica classica.
c'è tutto il necessario del buon compositore, in elton john. è l'ikea della musica. l'abecedario del pop. direi anche "la bibbia", se non fosse una parola troppo grossa. e invece lo dico: "la bibbia".

al telecomcerto ho speso due lacrime (si fa per dire. piango soltanto alla fine di e.t. e "nuovo cinema paradiso").
la prima per dee murray, perchè la elton john band sarebbe stata perfetta, così come i rolling stones al completo, o i pink floyd a live8, o i genesis con peter gabriel, o i police in tre, o come se un regalo del Divino ci riportasse sulla terra john e george per quella reunion con il sempreverde paul e lo sfigato ringo (che nome da biscotto...) che non potrà mai tenersi.
dee murray era eclettico, creativo, efficace. come tutti i musicisti discreti e misurati, come tutti i non-divi, dee murray è un sottovalutato, ma nello stesso tempo il più grande talento di quella band, secondo soltanto al pianista.

l'altra lacrima mi riga la faccia da alcuni anni.
quando facevo il giro dell'europa perchè pensavo che elton john fosse l'unica forma di canzone degna di esistere, arraffavo qualsiasi cosa. dai vinili ai cd, dalle magliette agli articoli di giornale. sono sicuro che molti di noi ancora lo fanno. io cerco di starci attento e col tempo riesco a salvare un paio di stipendi all'anno.
dentro ad una grossa scatola, ad una fiera che non ricordo, stava il n. 121 di "rock&folk", mensile francese di musica varia.il numero 121 del febbraio 1977. inserti su chicago, status quo, santana e in copertina, coi vestiti a strisce orizzontali di blue moves dall'accostamento cromatico quanto meno imbarazzante, c'era il mio dio del pop in una delle sue proverbiali smorfie da tiraculo. era il periodo di riflessione, del possibile ritiro. elton parlava di sè, in quelle pagine, in modo schietto e rilassato.
ce l'ho davanti ora, quel giornale, un pò sgualcito. i collezionisti oggi non mi darebbero che una decina di euro. c'è una frase, virgolettata, in quella intervista, una frase che mi ronza per la testa da un pò di anni.

"je ne chanterai jamais a Las Vegas pour des gens en train de manger leurs cocktails de crevettes", che se i miei studi non mi tradiscono dovrebbe suonare come "non suonerò mai a Las Vegas davanti a della gente intenta a mangiare gamberetti".

se il rimpianto per l'assenza di dee murray da una serata così unica non ha spiegazione se non nel bizzarro destino che si porta via spesso i migliori per motivi che forse un giorno sapremo, o forse no, la storia dei gamberetti di Las Vegas mi torna su ogni volta che ne vedo uno. siano essi freddi come antipasto con le patate, nella majonese, oppure cotti, in mezzo al risotto. potremmo spendere ore a discutere del perchè a sessant'anni e un tot di bypass, un artista del livello di elton john debba rischiare le coronarie davanti a gente che tira maniglie, sputtana ricchezza, sgranocchia gamberetti e patatine e magari disprezza pure i neri. i fans lo sanno. sanno della sindrome compulsiva da acquisto, sanno tante cose.
il fatto che sir elton john non appaia in modo dosato come sir eric clapton, che non ricarichi le pile per presentarsi in occasioni che fanno la storia integro ed ispirato, e che invece lavori con orari da bancario triste, come un qualsiasi dipendente del casinò, resterà per sempre il limite invalicabile di un musicista unico nella sua follia autodistruttiva, unico come chat baker, john coltrane, jimi hendrix, che alla musica hanno dato la vita. e che dobbiamo accettare così come sono.
tra l'usura della voce e l'onnipresenza, tra gruppi di boybands e starlettes dai futuri incerti coi quali accetta di duettare, la mia paura è ancora quella di vedere sir elton john sovrapposto alle ultime immagini di elvis cantante, quell'elvis presley grasso come john candy che si asciuga il viso con salviette di cotone lanciate in pasto a orde di donne urlanti, l'elvis che chiude i battenti da cardiopatico sull'orlo del baratro, finito e rantolante in una "are you lonesome tonight" da spezzare il cuore o rivoltare lo stomaco, fate voi.

e allora verrebbe da dire "via da las vegas". costa poco sperarlo.

non vedo grande differenza tra la musica e la religione. forse è un vuoto della mia anima. sono certo almeno che in nome della musica non si dichiarano guerre, nè si armano i bambini, nemmeno si perseguitano gli uni o gli altri, qualunque sia il credo.
nemmeno credo che un pianista bugiardello che promette tre ore e tanti ospiti, e il palco è lo stesso di bergamo, come pure la scaletta, sia più degno di rispetto di un capo di una qualsiasi chiesa, di un presidente della repubblica, di un patriota, o più credibile di un presidente del consiglio, o di quello di una società di calcio.
forse sarà stato il fascino di roma, forse l'estate che tira le ultime, forse la gente intorno, o lo stato di grazia di un momento, ma per una sera il mio viaggio verso la città eterna mi è sembrato qualcosa di simile ad un pellegrinaggio, quello di un devoto della musica leggera che si spinge fino alla capitale, ad applaudire un uomo musicalmente sincero, goffo e simpatico, stanco e incazzato, ma grande come la sua musica, quell'uomo ed il suo pugno di canzoni che, come le preghiere, sono sempre quelle (I guess that's why they call it the blues docet), ma grazie alle quali io oggi ascolto musica, la compro, la suono, la sogno, la grido, e, in modo più generale, la vivo.
elton john. per sempre.

beppe donadio






Pinball Wizard
Bennie and the Jets
Daniel
Turn the Lights Out When You Leave
Take Me To The Pilot
Rocket Man
I Guess That's Why They Call It The Blues
Sacrifice
Sorry Seems To Be The Hardest Word
Candle In The Wind
Funeral For a Friend
Love Lies Bleeding
Are You Ready For Love
Philadelphia Freedom
They Call Her The Cat
Sad Songs (Say So Much)
Don't Let The Sun Go Down On Me
I'm Still Standing
The Bitch is Back
Saturday Night's Alright
Crocodile Rock
Your Song








Spettacolo : Elton John terrà a Roma il concerto più lungo della sua carriera
Il concerto di Roma del 3 settembre prossimo sarà "il concerto più lungo mai fatto da Elton John, con una durata che si aggirerà tra le due ore e mezza e le tre ore"...
Il concerto di Roma del 3 settembre prossimo sarà "il concerto più lungo mai fatto da Elton John, con una durata che si aggirerà tra le due ore e mezza e le tre ore". Lo ha dichiarato Andrea Kerbaker, direttore del progetto Italia di Telecom, presentato in Telecomcerto 2005 in Campidoglio insieme al sindaco di Roma, Walter Veltroni e al presidente di Telecom Italia, Marco Tronchetti Provera.
Durante la conferenza stampa, in un video proiettato per l'occasione, Elton John si è detto "eccitato per avere l'opportunità di cantare a Roma di fronte al Colosseo" ed ha salutato con un "ciao Italia e ciao Roma" in perfetto italiano.
Il concerto, come le performance di Paul McCartney nel 2003 e di Simon & Gartfunkel nel 2004, sarà gratuito. E' stata annunciata la presenza della band di Elton John al gran completo (ci saranno il chitarrista Davey Johnstone e impreziosito dalla presenza di Nigel Olsson, Bob Birch al basso, Guy Babylon alle tastiere e John Mahon alle percussioni) nonché la collaborazione di molti artisti italiani e internazionali per eseguire duetti al momento in in via di definizione. (AnC)

(29 luglio 2005)





di Mansfield

ELTON AL COLOSSEO
“Il concerto della carriera…”

No. Ma ci mancava poco. E quello che rimane è l’amaro in bocca per quello che sarebbe potuto essere e non è stato.
Un peccato persino per Elton.
Il motivo ?
E’ stato un concerto “Normale” . Standard . Come fosse un live a Bergamo  , Brescia , reggio Calabria o Canicattì…
Elton non ha concesso nulla di piu di quello che ci ha abituati negli ultimi anni. Anzi ha tolto pure qualche cosa.
Sarà che i 60 anni  si avvicinano , sarà che ormai ogni tour che andiamo a vedere non ha un nome ben preciso  e che mascherandosi dietro il titolo dell’ultimo album o raccolta è sostanzialmente sempre lo stesso tour…sarà per questo.
Viene la rabbia a pensare che l’Elton che ha cantato al Colosseo e che si è espresso con una tale grinta , potenza e maestosità degne del luogo m non abbia fatto qualcosa di piu.
Una canzone in piu ….una “perla” dimenticata del suo infinito repertorio l’avrebbe potuta ripescare per l’occasione. E invece nulla.
Non era una data come le altre…era “LA DATA” degli ultimi 20 anni e forse della sua carriera.
In un luogo e scenario unici al mondo (sfido chiunque a trovare di meglio) , “Madman across the water”  , oppure  “Believe” o tante altre ancora avrebbero potuto trovare posto….e invece LEI…sempre LEI…  “I guess that’s why they call it the blues” trova posto.
Sarà mica una “raccomandata”  ??
Passi per “Sacrifice” stavolta eseguita con l’arrangiamento originale (non può non mancare visto che è uno dei maggiori successi).
Insomma rimane l’amaro in bocca per chi si aspettava un piccolo “sacrifice” in piu. Una parola in piu….eh sì…un discorsetto breve in italiano l’avrebbe potuto fare…(ricordate il famoso “Inizierà con canzoni del passato di Verona 1989 ??).
Ma alla fine la cornice ha appagato tutti.
L’aria che si respirava a Roma sin dalla mattina era l’aria dell’evento…si avvertiva che stava per succedere qualcosa.
Forse noi abbiamo vissuto la giornata piu emozionati di Elton…ma non siamo nessuno per poterlo dire.
Nonostante le sue eccentricità…e i mega party  , lo sappiamo tutti che Elton in fondo è molto timido. Forse anche per questo esprime raramente i suoi sentimenti profondi , lacrime e quant’altro. Forse anche per questo non riesce a parlare di piu di quel che fa.
La soddisfazione personale , mia è che stavolta i 500.000 di Roma hanno potuto constatare dal vivo che “ELTON JOHN” non è quel ricco cantante inglese gay e ciccione che parla sempre…MA un musicista con i contro cogl…i ! Eh si….sulla scena è unico….
I fan di Madonna chiamano la propria beniamina “Regina”…e noi allora possiamo tranquillamente chiamare Elton l’IMPERATORE !





di Beppe

Il concerto di Roma ai Fori Imperiali è stato senza dubbio un avvenimento particolare vista la risonanza della manifestazione sponsorizzata dalla Telecom (Telecomcerto) per il terzo anno, dopo Paul McCartney nel 2003 e Simon & Garfunkel nel 2004. Per giorni i media hanno dato grande spazio a questa manifestazione che sta diventando un appuntamento classico per la città di Roma, con le centinaia di migliaia di persone che richiama ogni volta ai Fori Imperiali.  Il concerto di Elton è stato di sicuro all’altezza della situazione per il pubblico occasionale, mentre ha creato una certa delusione nei fans più agguerriti che si sarebbero aspettati un qualche cosa di particolare per l’evento.
Il concerto, che da quest’anno purtroppo pare assestato sulle due ore dalle 2:30 degli ultimi tour è di ottimo livello.
Elton sembra in forma, la band è quasi perfetta, con un appunto particolare per Nigel Olsson che si dimostra ogni volta grandioso ed impeccabile. Quella che si presta a critiche è senza dubbio la scaletta che privilegia alcuni pezzi che non sono sicuramente memorabili a discapito di gran parte della produzione migliore, e adesso che la durata del concerto si è ridotta questo problema si è acuito. E’ possibile che non ci sia spazio per neanche una canzone da Madman Across The Water e Tumbleweed Connection, i suoi due album migliori, o da Captain Fantastic, altro capolavoro che sarà celebrato tra poco con i concerti commemorativi in USA?  Mentre una canzone come I Guess That’s Why They Call It The Blues (bella per carità, ma di sicuro non una pietra miliare nella sua produzione) non può assolutamente essere tolta dalla scaletta?  Sono queste le cose che lasciano perplessi.  E che senso ha portarsi dietro un coro come quello di Atlanta (peraltro quasi inudibile sia a Brescia che a Roma) e non sfruttarlo con brani come, ad esempio, Border Song?  Saranno critiche poco giustificate ma un artista come Elton, oltre ad inserire gli hit più conosciuti che il pubblico dei concerti richiede, non può tralasciare completamente i suoi album migliori, mi sembra veramente una cosa assurda. Riguardo al concerto di Roma, nello specifico, poteva almeno offrire, oltre a qualche parola in più, almeno “una” canzone particolare per l’avvenimento.  Penso che anche per lui non sia così usuale suonare in uno scenario simile di fronte a un pubblico sterminato  ha affrontato la cosa come fosse una qualsiasi tappa del tour, come se si trovasse di fronte a 5000 persone di un qualsiasi palasport di una qualsiasi cittadina e questo fatto ha sicuramento deluso un po’ le aspettative. Evidentemente i troppi concerti di questi ultimi anni lo hanno portato a standardizzare tutto, è diventato un musicista alla catena di montaggio, spettacoli di alto livello sublime  ma che non possono assolutamente uscire dagli schemi prestabiliti. Contro i nostri interessi di fans che vorremmo sempre vederlo live, dovrebbe prendersi una bella pausa, invece gli impegni sotto questo aspetto sono sempre più fitti e anche Las Vegas è stata prorogata per altri due anni. Detto questo, però alla fine rimane sempre il più grande performer che io abbia mai visto calcare le scene!





RESOCONTO DELLA GIORNATA PIU’ BELLA DI TUTTA LA MIA VITA… IL MIO PRIMO CONCERTO DI ELTON JOHN!

di Lady Samantha

E’ proprio vero che le cose più belle che ci fanno sognare sembrano volar via, lasciandoci con l’amaro presentimento di non averne raccolta tutta l’essenza… come quelle 2 ore e 10 minuti di concerto dopo un’intera giornata di attesa.
2/09/05 Quasi ignara di quel che sarebbe successo il giorno successivo, o meglio senza troppe aspettative, mi dedico alla creazione di uno striscione di benvenuto per l’unica persona che con la sua musica sa pilotare le mie emozioni, e che con il suo personaggio sa suscitare in me gioco, simpatia, comicità ma anche, a volte, tenerezza.
Dopo un intero pomeriggio ho finito il mio lavoro: “Welcome to Rome and ours best wishes for your marriage” seguita dalla caricatura del suo viso. Insomma tutto pronto per il grande evento, riesco ancora a controllare la mia euforia, abbastanza da passare la notte senza troppo agitarmi tra le lenzuola.
3/09/05 Appuntamento con la mia amica alle ore 10.00 al centro. Entrambe su di giri ci muoviamo subito verso Via dei fori imperiali dove, all’ombra del magnifico Colosseo si svolgerà il concerto alle ore 21. Al nostro arrivo le transenne delimitano ancora l’ingresso, intanto più in la c’è un movimento di opuscoli e berrettini rossi di cui ci appropriamo avidamente!
Ore 12.00 La sicurezza inizia a farci entrare 5 alla volta, ma ad un certo punto si blocca quando siamo meno di un centinaio già tutti sotto il palco a prendere i posti migliori…alle nostre apalle la gente che man mano aumenta resterà bloccata fino alle 15.00. Almeno la seconda fila era la nostra!
Pomeriggio di delirio totale: il caldo era agonizzante, il sole sembrava sempre alto e immobile, ci gettavamo l’un l’altro zampilli di acqua dalle bottigliette gentilmente offerte dal Comune di Roma.
Eravamo stanchi e stremati, tuttavia sollevati al pensiero che la nostra attesa sarebbe stata ripagata. Nel frattempo alcune telecamere iniziano a riprendere per le prime immagini e il mio cartellone ha modo di essere svelato in anteprima. Più tardi ci chiameranno da casa dicendoci di averci visti!
Ore 20.30 Gli occhi si fissano sul palco definitivamente. A mezz’ora dal momento topico si espande un’atmosfera di piacevole tensione. A meno di 15 minuti i cuori fremono e tutti iniziamo a chiamarlo sempre più forte fino allo scoccare delle 21.00, quando tutti i nostri pensieri svaniscono altrove e il mondo sembra arrestarsi. I riflettori si animano e una musica esaltante ci scatena un panico interiore.
Delirio, confusione, smarrimento, i cuori scalpitano, le voci gridano, gli occhi si sbarrano. Osservano ansiosi, lo cercano…e all’improvviso con un balzo il leone esce allo scoperto maestoso, esaltante, imponente, elegante!
In quell’istante un brivido ci assale, le mani si distendono in alto, le grida salgono in cielo, l’aria vibra, poi il cuore sale in gola…ho gridato senza limite e i miei occhi erano per la prima volta in tutta la mia vita colmi di lacrime di vera gioia! Le mie mani tremavano. Avevo finalmente davanti a me, e così vicino quella persona che per anni ho atteso tanto di vedere dal vivo e alla quale volevo anch’io far sentire il mio grido di gioia, soprattutto per fargli capire che la sua musica continua a far appassionare nuove persone con una nuova presenza anche se inosservata quale la mia…anche se non del tutto.
Mai nessuno ha esercitato su di me influenza più grande. Ed Elton era li, che suonava e cantava senza mai fermarsi, ma il mio striscione continuava ad essere trascurato dalla sua vista finchè a metà concerto, mentre cammina lungo il palco per salutarci da più da vicino lo nota!
“Welcome to Rome and ours best wishes for your marriage!”E pur senza troppa sorpresa, mi ringrazia allungando il suo dito verso me e la mia amica. Ancor prima avevamo intravisto in lui un sorriso molto divertito quando la mia amica ha tirato fuori una torretta luminosa che emette luci roteanti e che aveva catturato la sua attenzione!Stando proprio li davanti… In quale altro modo potrei esprimere tutte le emozioni che ho provato quella sera…resterà sempre indelebile nel mio cuore!! Con Your song purtroppo si era concluso il concerto, e dopo averci salutati e ringraziati nuovamente lo vediamo svanire davanti ai nostri occhi ancora increduli che se ne fosse andato veramente, ma grati di quella splendida serata che ci ha regalato.
Adesso come adesso non saprei proprio cos’altro desiderare di più dalla vita…forse di qualcuno che mi dica che questo non è stato solo un sogno!!!






di petrosijan

Ho 34 anni e questo è stato il mio primo Elton Live. Dopo questa affermazione spero di trovare ancora accoglienza in questo sito e di non essere deriso
Sabato pomeriggio ero ancora indeciso se andarci (vivo a Roma). Quando un mio amico, al telefono, mi comunicava la sua intenzione di andare verso le 21-21.15 capivo di essere ormai solo.
Mio fratello - ne ho due - discreto eltoniano, mi raccontava della sua terribile esperienza al concerto di Simon e Gurfunkel: lontano dal palco, difficoltà nell’ascolto a causa del canto dei vicini, quasi crampi.
Ma lui e l’altro fratello mi intimano: tu dovresti andarci, anche da solo!
Ulteriori riflessioni, i minuti che passano inesorabili, quando uno dei due, il meno interessato, toccato da pietà, mi appoggia.
Saliamo su un bus alle 16 circa, raggiungiamo Piazza Venezia alle 16.20 circa. Quando scendiamo c’è subito qualcosa che non quadra: auto che entrano e che escono da Via dei Fori Imperiali! Ma non doveva essere zona pedonale?!
Ci avviamo. Lo stupore prosegue, perché entrati in Via dei Fori, non vediamo nessuno, o quasi, se non macchine e, in lontananza, un gruppo di persone.
Raggiungiamo quel gruppo e capiamo che è il primo “blocco”. Perquisizione e si prosegue. Qualcosa non torna. Mio fratello mi indica il punto in cui si trovava l’anno scorso, io esclamo: “cavolo, ma eravate lontanissimi!”
Continuiamo a camminare increduli, prendiamo una bottiglia d’acqua; altro controllo, via e si prosegue.
Arriviamo infine all’ultimo blocco, a circa cinquanta metri dal palco.
Guardiamo al di là, nella zona antistante il palco, ormai consci e speranzosi di poter assistere al concerto con un’ ottima visuale.
I minuti passano. Comincia a circolare la voce che forse non faranno entrare più nessuno! Non possiamo crederci: sarebbe una beffa clamorosa.
Non è vero infatti. Passiamo. Mio fratello suggerisce di stare vicino alla transenna laterale sinistra. Avanziamo, ci fermiamo e guardiamo lo scenario che si presenta di fronte. Siamo così vicini come mai avremmo potuto sperare.
Tiro fuori dalla borsa un plaid, lo poggio a terra e ci mettiamo seduti. Chiamo l’altro mio fratello al telefono e gli racconto; immediatamente mi dice: “davanti al palco?! se arrivo ce la faccio a raggiungervi?”, gli rispondo: “non sono sicuro che qui facciano entrare ancora”.
Non so effettivamente se abbiano fatto entrare anche altri, ma credo di sì, visto che lo spazio c’era.
Inizia la lunga attesa. Tiro fuori le Stanze di Montanelli che mi occupano buoni quaranta minuti. Spesso siamo disturbati da assalti alla transenna per l’acqua e i cappelletti dello sponsor con la scritta EJ.
Mio fratello tira fuori un Kerouac, ma resiste poco.
Ad un certo punto, saranno state le 18 - 18.30 tutti si alzano e scattano verso il palco, così facciamo noi. Capiamo a quel punto che saremmo dovuti rimanere in piedi fino alla fine.
Vicino ai nostri piedi, numerose bottiglie di plastica abbandonate, di cui alcune quasi piene! Chiamo una signora dello Staff e mi faccio passare una busta. Un ragazzo mi aiuta a fare un po’ di pulizia.
Telefonata di un mio amico, guadagno 20 minuti buoni.
Comincia a riempirsi la zona oltre le transenne; osservo ciò che accade intorno, cerco di capire se le facce dei miei vicini sono eltoniane. Poi un lampo: il terrorismo, un lampo che attraverserà la mia mente più volte durante il concerto, purtroppo.
Musica in sottofondo, la splendida Long and Winding Road; mio fratello mi ricorda: “a me di Elton non me ne frega nulla”.
Sta per iniziare il concerto, la musica cambia, iniziano gli applausi. Scorgo sulla destra Davey Johnstone con la chitarra, quando, infine, arriva Lui: sembra umano, anche un po’ goffo, ma quando tocca i primi tasti capisco che è stato giusto esserci.
Un concerto molto rock. EJ in buona forma vocale, molto grintoso, non si risparmia. Ci offre numerosi virtuosismi al pianoforte. Finisce una canzone, poche parole, beve e ne inizia immediatamente un’altra.
Divertimento assoluto. Do spesso un’occhiata allo schermo che di frequente offre le simpaticissime facce e smorfie di Nigel Olsson divenuto ormai complice del cameraman. Sento addirittura gli applausi di mio fratello.
Un concerto straordinario.
Ho provato una particolare emozione durante Rocket Man e Candle in The Wind, ma tutto il resto è stato, a mio avviso, eccezionale.
Straordinario, dicevo, ma incompleto. E qui veniamo alla fine. Eravamo “settati” per assistere a due ore e mezza/tre di concerto. Dopo circa un’ora e mezzo avviso mio fratello: “il finale sarà tutto melodico”.
All’improvviso, dopo poco più di due ore, Your Song.
Sono contento e perplesso insieme. “Forse ha deciso di anticiparla” penso.
In quel momento canto anch’io. Finisce la canzone, ed EJ esce. “Chissà con quale vestito entrerà adesso”.
Compaiono improvvisamente alcune persone; sono confuso. Uno comincia a coprire il pianoforte. Mormorii dal pubblico. Infine incredulità. Io e mio fratello, attoniti, troviamo conforto nella staticità degli altri.
Una scena surreale: tutti fermi, impalati, speranzosi, credo, che fosse uno scherzo o una pausa.
Quando iniziano a smontare la batteria tutti capiscono che è finita.
Andiamo via estremamente contrariati, tristi. Mi chiedo cosa sia potuto succedere e lo chiedo anche a voi che conoscete EJ molto meglio di me.
Non vorrei che la risposta si debba trovare in un colpo pubblicitario della Telecom con Elton addirittura inconsapevole.
Dove sono quei dieci pezzi in più che doveva offrirci?
Questa è la mia sensazione riguardo all’evento: poteva essere Il Concerto e non lo è stato. Se EJ avesse aggiunto alla fine alcuni pezzi melodici, almeno quattro, sarebbe stato un evento unico.
Ho letto spesso i vostri messaggi e mi pare di capire che in generale quest’uomo possa ma non faccia. Cosa gli ha impedito di rendere sostanzialmente diverso il suo concerto, di fronte al Colosseo, di fronte, pare, a trecentomila persone?