RECENSIONI
DEI VISITATORI
THE FOX
inviate la vostra
recensione di un disco
di Elton e sarà pubblicata in questa sezione.
non preoccupatevi, non
cerchiamo critici
professionisti, ma le impressioni, positive o negative, dei fans!
di Beppe Bonaventura (aprile 2007)
The Fox è un album del 1981 che non ha mai goduto di
particolare considerazione ed ha avuto vendite abbastanza scarse ma che io
invece continuo ad apprezzare anche a distanza di anni.
Sono consapevole che gli album degli anni 70 sono un’altra cosa, ma The Fox è un
buon prodotto che da l’impressione di essere stato realizzato con divertimento
e voglia di fare, non certo studiato per andare in classifica.
Di sicuro è poco omogeneo, è più una raccolta varia di
canzoni che un album con una certa direzione, ma il risultato è molto onesto e
piacevole.
Anche la produzione è mista, da Chris Thomas allo stesso
Elton insieme a Clive Franks, come pure i musicisti, a testimoniare il fatto
che i brani provengono da varie sessioni combinate forse in modo casuale per
dare luogo ad un album.
Però, come in 21 at 33, Elton è in forma ed abbastanza
ispirato e le canzoni reggono bene lo scorrere degli anni al contrario di molti
album successivi a questo.
I vari brani magari non sono capolavori ma suonano bene,
senza particolari cadute qualitative, con la canzone omonima, che chiude
l’album, che sembra veramente di altri tempi, ottima.
Quello che è più assurdo è il fatto che una raccolta di
canzoni probabilmente messe insieme abbastanza casualmente danno luogo ad un
signor album che acquista valore proprio nella sua interezza, quasi un album
realizzato con degli scarti.
Ad esempio, i due brani strumentali Carla/ Etude (veramente
notevole) e Fanfare probabilmente provengono dal progetto abortito dell’album
strumentale che Elton avrebbe dovuto produrre insieme al suo tastierista
dell’epoca James Newton-Howard.
E Nobody Wins non è altro che la cover in inglese di una canzone francese
che aveva colpito Elton mentre faceva la spesa in un supermercato della Costa
Azzurra, un brano con una base quasi completamente elettronica, ma realizzata
con classe.
Il miglior album di Elton degli anni 80, la dimostrazione
che anche un progetto casuale e sicuramente poco studiato può reggere il tempo
meglio di album molto più blasonati.
Per me rimane un piccolo classico della sua produzione post periodo d'oro, quasi completamente ignorato da pubblico e critica.
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di Giorgia Turnone (2010)
40 (+1) anni d’ispirazione -
i 70 non torneranno più
I 70
non torneranno più.
Con questa massima nella testa, Elton John
decide di tornare a fare la persona seria, un anno dopo lo scempio di
“Victim Of Love”. Per fortuna, quel “disco” non è interamente roba sua,
anche se persino il più ottimista dei fans faticava a riconoscere nel
cantante di VOL il compositore di “A Single Man”, grande album che vide
la luce solo un anno prima.
I 70 non torneranno più, dunque. Come
per magia, in “The Fox” non c’è alcun pezzo “spacca-classifica”. I
cosidetti “singoloni” erano stati un marchio di fabbrica del mercato
eltoniano, sono pezzi come “Rocket Man” e “Crocodile Rock” che hanno
consacrato il John ai vertici della musica mondiale, non i capolavori
assoluti dei primissimi anni (purtroppo).
Ma cavoli, ragazzi, qui
la voce gioca un ruolo fondamentale. E quella del geniale compositore
di Pinner resta calda, graffiante e soffusa al contempo. Riesce a dare
un senso vero e profondo ai testi non proprio eccelsi del suo songwriter
Gary Osborne, il cui talento non è nemmeno minimamente e lontanamente
paragonabile a quello di Taupin. Non li si deve mettere a confronto
neanche per scherzo, né il primo Aprile, né a Capodanno, né a
Ferragosto, né il giorno della festa del Santo Patrono. Massimo rispetto
per l’Osborne, ma il paragone è impietoso.
Signori, questo è un
album bellissimo. Voce a parte, sono altre le componenti che rendono
questo disco l’ultimo grande lavoro di Elton da qui fino ai ’00. Rock
frizzante mescolato a cori gospel e qualche passaggio “blues” è il tema
portante che ci accompagna per tutto l’ascolto. La prima traccia è
musicalmente molto allegra e vivace, con un testo (di Gary Osborne) che
non ha nulla da chiedere. “Heart In The Right Place” si rifà ad un rock
con accenni di blues, che mette molto in risalto la graffiante chitarra
di Zito. Anche questo testo è però poco pretenzioso.
“Just Like
Belgium” non sarà un capolavoro ma è davvero piacevole all’ascolto,
perfettamente in linea con la tendenza che il Nostro ci propone in
questo album. Per la prima volta dopo 1 anno fa capolino Bernie in un
lavoro di Elton, anche se il suo testo non è degno del paroliere che
conosciamo. D’ispirazione casuale è “Nobody Wins”, originariamente
cantata in lingua francese da Jean Paul Dreau (il pezzo si chiamava
“J’veux de la Tendresse”) e riadattata dal pianista di Pinner, con il
tema del testo che differisce totalmente dall’originale. La coppia
John/Taupin si riaffaccia nell’album con “Fascist Faces”, un rock bello
duro che tratta di una chiara presa di posizione politica.
Arriva
forse il pezzo migliore dell’album: la strumentale “Carla Etude”,
splendida nella sua semplicità pianistica con un retrogusto classico che
rinfresca la memoria di un pubblico che non riconosceva più Elton John
come “il più grande”. Il brano poi si snoda nella più banale “Fanfare” e
successivamente in “Chloe”, in cui Reg Dwight torna a cantare, e lo fa
seguendo un testo firmato Osborne che lo rimanda con la mente ad un suo
amante dell’epoca. “Heels Of The Wind” non regge il passo di questi
ultimi tre pezzi, ma si conferma brano piacevole e in qualche modo
“frizzantino”, con il testo di Taupin d’impronta (al solito) pessimista.
Tom
Robinson ha scritto la decima lirica dell’album, “Elton’s Song”, che
tratta una storia omosessuale in un college, ma non inganni il nome
della canzone: è stato scelto solo perché a commissionarne la scrittura
era stato, appunto, Elton John. Musicalmente forse è un po’ troppo
“caramellosa”, ma resta un grande pezzo, niente di paragonabile al
“miele” in cui saranno intrise “Sacrifice” e “Can You Feel The Love
Tonight”.
Mettiamola così: Elton è come un grandissimo calciatore
da 200 gol in carriera, ma alla soglia dei 34 anni. Sa che ha già dato,
sa che il suo tempo è passato e sa che il meglio, i suoi sostenitori,
l’hanno già visto, ma ci tiene a sparare le ultime cartucce per
ricordare al pubblico chi è, il fuoriclasse che è stato. Ecco: il genio
londinese è conscio che non tornerà più a vendere come nei gloriosi
70’s. Probabilmente sa anche che non scriverà più capolavori mostruosi,
ma con “The Fox” chiude un’epoca, anche se già con “A Single Man” c’era
stato un netto taglio con il passato. Il sorriso spento sul retro della
copertina e quegli occhi ormai dipendenti lo certificano in maniera
inconfutabile.
E arrivò il momento della titletrack, “The Fox”,
appunto. Per chiudere un bellezza un grande disco, Elton non può che
rivolgersi ad un grande paroliere. Il testo, signed by Bernie Taupin,
denota una leggera malinconia, accompagnata da un sound tipicamente
eltonjohniano, che rimanda con la mente ai primi album e richiama
un’atmosfera unica che nessun altro artista sarebbe mai riuscito a
creare.
In ultima analisi, what more can I say?...
… Ah,
sì.
I 70 non torneranno più.
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di Stefano Orsenigo 2012
Una lavorazione travagliata, un’oscura cover elettronica come primo
singolo, una serie di videoclip promozionali censurati: c’erano tutte le
premesse per un disastro e invece The Fox, pur essendo tra gli album di minor successo nella carriera di Elton John, si rivela ben lontano dalla mediocrità.
Di
sicuro i rimaneggiamenti produttivi non l’hanno reso più immediato o
commercia(bi)le -la Geffen, che era subentrata alla MCA come etichetta
di Elton in USA, poco soddisfatta aveva commissionato dei nuovi brani a
Chris Thomas e delle sessions iniziali, realizzate in Francia dallo
stesso team di 21at33, è rimasto poco- e in questo modo, forse
per puro caso, è uscito un disco variegato, inevitabilmente poco
omogeneo ma con canzoni di buon livello pur senza veri capolavori.
Suggestiva
la copertina, dove la volpe impagliata potrebbe simboleggiare il
passato glorioso e ormai svanito del cantante, che “intrappolato” in uno
schermo TV tenta di stare al passo con sonorità più tecnologiche e con
una musica sottomessa all’immagine.
Può contare in questo senso su un
asso nella manica di nome James Newton Howard, talento eclettico che
garantisce una certa cura sonora su più fronti: conduce l’orchestra
sinfonica nella strumentale Carla/Etude e gli archi nella ballad Chloe, ed è co-autore di un altro pezzo strumentale (Fanfare, stavolta elettronico) che le unisce in un medley; se nella “scandalosa” (e invece di una delicatezza rara) Elton’s song gli archi finti sono abbastanza fastidiosi, in Nobody wins
(il primo singolo in questione, cover di un brano francese con testo
adattato in inglese da Gary Osborne) la base dance è calibratissima e
incalzante.
Nella mia preferita Heart in right place,
rock-blues abbastanza tagliente, Howard inserisce dei synth pulsanti e
pure un vocoder (per sfumare una parolaccia?): un gran bel pezzo,
totalmente riuscito, così come vanno a segno le veloci Breaking down barries, Just like Belgium e Heels of the wind; apprezzo anche il ritmo marziale di Fascist faces, benchè non mi sia chiaro quali fossero i bersagli dell’invettiva di Bernie.
Sulle
note malinconiche di un’armonica, una title-track molto anni 70 chiude
il disco e dice addio all’Elton più suggestivo e meno imitabile: o
meglio arrivederci, perché il volpone farà tanti album più facili e
ruffiani ma prima di trovarne uno migliore di questo passeranno
vent’anni esatti.
Qunidi The Fox è tutto da riscoprire come i
suoi bei videoclip (grazie, youtube), se non altro per zittire quei
critici che ancora lo stroncano, probabilmente senza nemmeno averlo
ascoltato.
Voto 7+
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di The Bridge 2012
Preso oramai nel "vortice del recensore", passo a parlare di "The Fox",
oscuro album del 1981 conosciuto da pochi e ascoltato davvero da
quattro gatti. All'epoca della sua uscita nessuno se lo filò; anzi,
rischiò quasi di non venire nemmeno distribuito: troppo poco
commerciale, si pensava allora, e assolutamente non al passo coi tempi.
Devo dire che, ai primi ascolti, ebbi anch'io più o meno queste
impressioni. A parte l'allegra "Just Like Belgium", carina e
movimentata, nessun'altra canzone mi colpì particolarmente, e questo
strano cd finì quasi nel dimenticatoio (non mi piaceva, ad esempio, il
primo singolo scelto, "Nobody wins", anche perché non mi pareva una
canzone da Elton e non era "di" Elton). Dopo qualche annetto provai,
più per curiosità che altro, ad ascoltarlo di nuovo... bè, mi piacque
molto di più. Anzi, quel suo stile retrò, quel suo continuo sbandamento
su toni molto diversi tra loro, anche l'evidente "stanchezza" di Elton,
che qui traspare quasi in ogni singola nota, me l'ha fatto
assolutamente rivalutare: ecco cos'è, ho pensato: una sorta di piccolo
"Blue Moves". Triste, rassegnato, un piccolo album fatalista: Elton è
perfettamente conscio di essere finito, o meglio, è perfettamente
conscio del fatto che l'Elton anni 70 se n'è andato per sempre. Così
propone suoni nostalgici, accordi in minore, melodie antiche ma non
"vecchie"; e cala anche qualche minuscola gemma: "Elton's Song", per
esempio, o "Chloe"; brani non originalissimi ma la cui interpretazione
ed esecuzione mi appare "sentita", vera, a tratti quasi "tirata via" ma
molto personale. E dire che molti dei brani di "The Fox" provengono
dalle stesse sessioni del precedente "21 at 33": quello sì un album
involuto e impersonale. "Heart in the right place" è un pezzo blues
graffiante e, per il mio palato, assolutamente da rivalutare; eccetto
che per quel maledetto vocoder, o come diavolo si chiama, che rischia
di mandare all'aria tutta la canzone. C'è poi lo strumentale
"Carla-Etude", notevole, che sembra portarci indietro di tre anni, a
quella "Song for Guy" che rappresentava una delle vette del
manieristico "A single man"... di cui "The Fox" in definitiva non
eguaglia l'esito per pochissimo e solo per motivi "cronologici" ed
interpretativi. Comunque, a parte "Too Low for Zero" (che davvero
appartiene ad un altro mondo musicale, a un altro Elton), questo "The
Fox" rimane uno dei suoi album migliori degli anni 80.
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