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recensione di un disco
di Elton e sarà pubblicata in questa sezione.
non preoccupatevi, non
cerchiamo critici
professionisti, ma le impressioni, positive o negative, dei fans!
di Paul Purcell
Some early thoughts after hearing it properly on a proper sound system.
When
I heard the NPR stream last Sunday, I was flabbergasted. In a bad way. I
thought it was the biggest let down I had since... well since. The
early days of the week were the worst in my 20 years of Eltondom. I
found out that everyone thought it was the greatest thing ever. And I
could only find a few songs in it that I liked. Then, I had the eureka
moment. I heard the bonus tracks, Mandaly Again and My Kind Of Hell.
They were the kick inside I was looking for. Then the rest of the album
seemed to fall in to place.
For me, it's been the hardest album
ever to get into. Whether it be the new ones I've experienced or when I
was starting out and going back. It's completely unlike any other Elton
releases, simply because it isn't an Elton album, in it's purest form.
So taking all that on board, you have to try and find a reference point.
The band backing vocals...not there. Nigel's signature sound...not
there. Davey letting rip...not there. You get the point. So we're left
with Elton and Bernie. And Leon. On paper, it sounds great. In practice,
it does what it says on the label. A Union of their talents. Elton's
and Bernies supreme songwriting ticking all it's usual boxes, super
piano intros, clever changes and melodies to die for. The melody in
particular that I refer to was Mandalay Again. A classic Elton tune, a
total standout. It just jumped out when I had nearly given up hope for
the album. My mojo was restored. So I went back to it again and
everything seemed clearer. I saw what Leon brought to the party, a funky
sound. An honest sound with an honest voice. While we think of Elton
being away with the fairies sometimes (that's an old Irish saying btw,
no pun intended!), in regards his lavish lifestyle, Leon brings that
down to Earth simplicity to it. And the two combined come out in a
simple way. Through their pianos. Which is all you can ask for.
We wll
know how much this means to Elton, so we have to give it to him. The
album is by no means perfect. There are some songs on it that are a bit
too leftfield or too pure in their sound. Jimmie Rodgers sounds good in
princilpe, but goes a bit too countryish for my liking. There's No
Tomorrow has a dragging feel to it, like as if the life has already gone
from it before it starts.
Elton always has a habit in the past of
taking a sound and melding it with his own. I think on this album, he
went a bit too much towards someone elses sound at times, while maybe
losing something of his own. I'm sure you know what I mean there.
I
don't like giving stars or marks out of ten or comparing albums in
terms of quality. A lot of peolpe have said Tumbleweed is very similar. I
can see where they are coming on that one. But I think the production
on Tumbleweed is more restrained, more tighter if you wish. Whereas on
The Union, it's more looser, which is the required sound the T-Bone
required. The backing vocals also do overpower on occasions. Plus there
are no string arrangements, which I believe Van Dyke Parks was to
supply. So I wonder where they went. But minor, personnal gripes.
My
advice to any finding it hard work is to enjoy working on it. This
event is bit like a solar eclipse, they only appear every few years.
Half the fun is doing the job of getting into it. If our minds were made
up before we heard it and couldn't be changed, a lot of use that would
be anyone. I've a had a right rollercoaster of a ride this week, I know
I'll never have it again.
Or will I??!! :-)
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snake2001 27.10.10
Si molto bello...
Allora... che dire... ho ascoltato ieri molto
attentamente 3 volte l'album in cuffia nel buio più assoluto e nella
concentrazione massima... Devo dire che tutte le mie impressioni si sono
confermate, "The Union" è un album veramente fantastico. Mi piacciono
praticamente tutti i pezzi ma ai primi posti ci sono 4 brani in
particolare. "Hey ahab" è un brano di un'energia fantastica e
coinvolgente che in cuffia spacca veramente tanto, non si può fare a
meno di andare a tempo di musica. Altro pezzo da 10 e lode e
indubbiamente "Gone To Shiloh"; non riesco a fermare i brividi quando
all'inizio del brano si passa dal suono "invecchiato" a quello pulito.
Il fatto di averla sentita dal vivo in anteprima mondiale a Milano mi
riempie di orgoglio. In questo pezzo, per me, ci si accorge della
produzione fantastica e della band divina, con un suono
particolareggiato e bellissimo, sembra di essere in un sogno. Poi c'è
"When Love Is Dying", forse la canzone più "stile Elton" dell'album che
mi ha conquistato sin dall'inizio, molto emozionante. Sentirla
nell'esibizione live al Beacon Theatre me l'ha fatta piacere ancora di
più, una canzone adatta al 100% alla voce di Elton attuale e anche alla
sua interpretazione, commovente... L'ultimo brano da (mia) top è The
Hands of Angels, forse il finale più azzeccato per un album dopo
"Goodbye" del glorioso Madman Across the Water. Mi ha veramente
conquistato questo pezzo, molto gospel e per me è il tipo di brano che
si presta di più alla voce un "piacevolmente sofferente" di Leon, una
scelta per il finale veramente azzeccata (infatti in tutte le versione è
stata scelta come ultimo brano dell'album). Un gradino sotto nella mia
scala personale troviamo "There's No Tomorrow", sembra quasi una canzone
"tragicomica" nel significato ma ci sono dei cori in questo brano in
particolare veramente memorabili, non possono non colpire. Allo stesso
livello c'è anche "Monkey Suit", brano a mio parere simile nel tipo a
"Hey Ahab" ma con qualcosina in meno, anche se ugualmente molto energico
e coinvolgente. "Never Too Old" è sullo stesso livello di gradimento,
dopo averla ascoltata live nei concerti suonata solo da Elton col suo
piano sentirla con tutto l'arrangiamento all'interno dell'album la rende
molto più godibile e splendida, è una canzone da 9 in pagella. Questi
sono i miei brani preferiti ma tutti i brani dell'album sono, per me, da
più di 7 in pagella. L'album nella sua interezza è da 9 ed è destinato
ad entrare nella mia top 5 degli album di Elton di sempre. La voce del
Sir è fantastica, in formissima, sempre calda e emozionante. Per la voce
di Leon vale un altro discorso. Per me non ha una brutta voce ma il
tipo di timbro si addice a canzoni come "The Hands of Angels" e non in
brani come "If It Wasn’t for Bad", dove perde un pochino. Comunque la
scelta di fare questo album insieme è stata veramente vincente,
nonostante all'inizio del progetto ero poco convinto.
Ultimo lato da
analizzare (anche se non ce n'è bisogno perchè già tutti hanno lodato
questo punto di vista) sono band e produzione.
Non sono un tecnico
del suono, ma anche un orecchio non professionale si accorge che la band
è veramente di qualità e che Burnett abbia fatto veramente un lavoro
coi fiocchi, abbia impacchettato questo album con un bel fiocco
elegante, aggiungendo decorazioni alla musica che pochi riuscirebbero a
fare. Sicuramente senza di lui non sarebbe stato assolutamente la stessa
cosa.
Ultimo lato fondamentale... I CORI! Sono sempre impazzito per i
cori, e questi ragazzi sono di prima qualità! Aggiungono veramente una
marcia in più ai brani e non spero altro che assistere ad un concerto
con un bel coro di nere con la voce che ti entra dentro e ti scuote...
Che album, ragazzi!
Detto questo non rimane che ascoltare l'album fino a fonderlo!
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Mansfield 27.10.10
THE UNION : THE “REUNION” .
Dove eravamo rimasti ? A 40 anni fa.
A
dispetto di ogni annuncio (che è sempre arrivato puntuale alla vigilia
di ogni nuova produzione di Elton) che proclamava il nuovo album come il
migliore dai tempi dei gloriosi ’70 , stavolta possiamo ben dirlo.
Questa
unione è un viaggio repentino verso una dimensione molto lontana ,
nostalgica e magica , i “seventies” , che corre veloce come la moto di
Easy Rider . Su quel bolide al posto di Dennis Hopper e Jack Nicholson
troviamo Sir Elton John e Mr. Leon Russell.
Il primo istrionico ,
divertito e divertente nel suo approccio con i media e le grandi platee.
Il secondo serioso , misterioso , a tratti mistico e dallo sguardo
severo che forse adesso sotto quella grande barba bianca nasconde un
sorriso imbarazzato di felicità per questo ritorno inaspettato sulle
headlines di mezzo mondo. Il risultato ? Bisogna partire dall’inizio.
Innegabili
erano la curiosità , un pizzico di preoccupazione e un innalzamento di
sopracciglio che accolsero la notizia questa estate di questo progetto
musicale. Tanti “ma” e alcuni “se” che si son presto sciolti come in un
dolce , malinconico e disilluso walzer di “Eight hundred dollar shoes”
in cui la voce di Elton accompagna dolcemente una evocativa melodia .
Lo Start del disco pone già le basi del progetto : Un coro da favola.
Un “vero” coro gospel , a differenza di quel poco riuscito coro gospel propinatoci in “Peachtree road”.
Blues , country , gospel , soul. Qusti gli ingredienti del disco , cucinati con delle liriche altamente ispirate.
Il
primo , secondo piatto e il dolce sono targati USA. E’ proprio una
grande storia americana che ci viene raccontata. I Roy Rogers o i Danny
Bailey del passato han lasciato che si raccontasse oggi di Jimmy Rodgers
, del sangue di Shiloh , di rose mai regalate , di vite prese di petto ,
fango , asfalto , disillusione ma anche speranza e gratitudine verso
gli Angeli o perché no , verso la propria madre patria.
La produzione di T Bone Burnett è divina .
Perfetta.
Il pathos del disco è un crescendo continuo che trova riscontro nelle
sue scelte. Tant’è che il rammarico piu forte si ripone nella seguente
domanda retorica : Perché T Bone Burnett non ha collaborato con Elton
prima ? Avremmo avuto delle perle di rara bellezza. Ma si può sperare in
una continuazione di questa collaborazione artistica. Si spera
vivamente.
I brani , per citarne qualcuno . “There’s no tomorrow”
spicca su tutte insieme a “Gone to Shiloh”. Il suo andamento lento ,
quasi funerario , ci offre l’ascolto di qualcosa di inusuale o comunque
non scontato , che fa la differenza. “Hey Ahab” e “Monkey suit” sono
momenti di grande trasporto e carica. “Never to old” ci fa volare
evocativamente sopra una New York invernale e notturna, là dove
qualsiasi frenesia si ferma per lasciare spazio alla tenerezza di un
amore che non ha età. La memoria e il ricordo di sangue versato in
stupide battaglie all’ombra di bandiere e proiettili sono le basi di
“Gone to Shiloh” per la quale scende in campo un trittico musicale
d’eccellenza : Elton John , Leon Russell e Neil Young.
Il brano che
chiude il disco "The hands of Angels" è di una tenerezza disarmante. E
chiude Leon , così come apre il disco. Forse è giusto così.
In
conclusione quest’album è un omaggio all’America ma anche a Leon
Russell. Un progetto ben riuscito , forte nel suo genere , del quale
esserne totalmente fieri.
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Reggie 80 30.10.2010
THE UNION - DUE GRANDI ARTISTI RENDONO OMAGGIO ALLA STORIA DELLA MUSICA
Elton
e Leon, due vecchi pianisti stancamente appoggiati sui tasti bianchi e
neri dei loro fedeli compagni di una vita, ti fissano dritto negli
occhi, pronti a sfidare compiaciuti l’orecchio di chi si accinge ad
ascoltare la loro ultima fatica.
Volti la pagina e te li ritrovi
ancora lì, da bambini, intenti a suonare un improbabile pianoforte a
quattro mani, diviso da più di quarant’anni di storia della Musica, che
d’un tratto si ricompone sulle prime note di The Union.
Si tratta di
un album in cui i due amici rendono un sincero omaggio a quella storia e
la ripercorrono, rivisitando e rimescolando sapientemente i generi da
cui è sgorgata in un perfetto amalgama d’altri tempi.
L’alchimia che
lega i vari brani, intessuta magistralmente da T. Bone Burnett, crea
un’atmosfera magica e avvolgente che, scorrendo dalla prima all’ultima
nota, ti cattura senza annoiarti mai.
L’intro di If it Wasn’t for Bad
preannuncia chiaramente come i protagonisti del disco saranno, oltre ai
dialoghi dei due pianoforti, dei cori degni di prendere il posto delle
migliori orchestrazioni di Buckmaster. Il tutto è accompagnato, a volte
fin con troppo rispetto e riverenza, da eccellenti musicisti che
accarezzano con mano vellutata ed estrema professionalità i propri
strumenti.
L’eleganza e la delicatezza di Eight Hundred Dollar Shoes,
l’energia della potente Hey Ahab, le preziosissime – e forse ormai
insperate – pennellate di un’epica Gone to Shiloh d’altri tempi, il cui
inizio sembra porre l’attenzione sulla definitiva ripresa di
un’ispirazione persa più di trent’anni fa, e la trascinante Hearts Have
Turned To Stone, rappresentano l’essenza stessa dell’album e ne offrono
uno spaccato più che esaustivo.
Si torna poi a livelli più umani con
Jimmie Rodger’s Dream, brano in cui Elton è un po’ troppo
autoreferenziale, e con When Love is Dying, ottima intuizione, che tende
però ad accomodarsi su se stessa frenando il ritmo proprio quando le
briglie dovrebbero invece sciogliersi.
Presto però si vola di nuovo
in alto, anzi molto in alto, con una struggente There’s No Tomorrow da
brividi, in cui c’è pure posto per un assolo di chitarra dalle tinte
pinkfloydiane, e con l’accattivante A Dream Come True, il cui titolo non
potrebbe descrivere meglio il risultato della trepidante attesa di
questo lavoro e in cui il dialogo tra i due pianoforti raggiunge il suo
apice.
Se Monkey Suit e My Kind Of Hell rendono perfettamente l’idea
di come Elton poteva essere prodotto negli oscuri anni ’80 – e forse
sarebbe stata tutta un’altra storia – The Best Part Of The Day conferma
una volta di più la sua grandezza nel comporre ballads, che tocca il suo
picco con la dolcissima, ma più che convincente, Mandalay Again.
I
Should Have Sent Roses, impreziosita da una chitarra che parla,
catapulta d’un tratto l’ascoltatore in una stanza buia e fumosa di un
vecchio club frequentato da ottimi musicisti, facendogli respirare a
pieni polmoni quell’aria ammaliante intrisa di whiskey e tabacco, mentre
Never Too Old (to Hold Somebody) è certamente un pezzo degno del
miglior Burt Bacharach.
L’album si chiude con The Hands of Angels,
brano interpretato solo da Leon in cui spiccano particolarmente i cori
da lui stesso divinamente arrangiati. Vuole essere un sincero e sentito
ringraziamento rivolto a quel ragazzo inglese che quarant’anni fa lo
aveva così ben impressionato al Troubadour di Los Angeles, e che oggi lo
ha preso per mano, risvegliandolo dal torpore, per convincerlo a
realizzare questa più che riuscita collaborazione.
In realtà è però
quel ragazzo che lo deve ringraziare, perché dopo più di trent’anni ha
ritrovato gli stimoli per rimettersi in discussione e la giusta
ispirazione per incidere un disco di gran classe e qualità. Ora però,
come allora, dopo l’ottimo debutto dovrà dimostrare che ha ancora voglia
di stupirci.
|
Beppe 30.10.2010
(premetto, come sempre, che io sono negato per le recensioni)
a dream come true ...
Si,
un sogno è diventato realtà, quando nessuno, e io per primo, si
aspettava più un disco del genere, Elton è ritornato con un grande
album.
E un un debutto al terzo posto Billboard, trentaquattro anno dopo Blue Moves ...
E tante recensioni positive come mai è successo in passato, veramente da non credere.
The
Union è stata una sorpresa praticamente per tutti, un omaggio sincero
al coprotagonista dell'album, Leon Russell, ispiratore del primissimo
Elton John alla fine degli anni 60, prodotto magistralmente da T Bone
Burnett, che ha anche portato nel progetto il suo fidato team di
musicisti di altissimo livello, a partire dal chitarrista Marc Ribot.
In
questo album dai suoni prettamente americani, come lo fu per altri
versi Tumbleweed Connection quarant'anni fa, le singole canzoni sono sì
molto buone, ma è l'insieme del progetto ad avere un surplus che lo
porta ad essere sicuramente il miglior disco di Elton a partire dagli
anni 70, il suo periodo d'oro.
Gli arrangiamenti molto elaborati di
Burnett, con il bando assoluto per ogni genere di elettronica,
conferiscono un suono senza tempo, che spazia dal country, al gospel, al
rock e alle ballate, senza però richiamare nessun altro album di Elton
in particolare; il progetto riporta alla mente dischi come Tumblewweed
Connection e Madman Across The Water, per l'utilizzo di strumenti
tradizionali, grandi musicisti e un fantastico coro gospel che in alcune
canzoni è veramente entusiasmante, ma qui non troviamo i maestosi
arrangiamenti orchestrali alla Paul Buckmaster che avevano
caratterizzato quelle produzioni.
Ma anche il paragone con
Tumbleweed, nonostante molte attinenze non regge troppo, la stessa Gone
To Shiloh, splendida, il cui testo riporta direttamente al capolavoro
del 1970, musicalmente si distacca abbastanza nettamente dalle canzoni
di allora.
La caratteristica particolare è senza dubbio la
collaborazione con Leon Russell, il cui piano si intreccia con quello di
Elton in maniera quasi perfetta.
L'album è dichiaratamente un atto
di amore e riconoscenza di Elton nei confronti di Leon, ingiustamente
dimenticato negli ultimi anni dal grande pubblico.
E Leon si è
integrato magnificamente in questo progetto, soprattutto nei brani da
lui composti come Hearts Have Turned to Stone che dal vivo rende
magnificamente con i musicisti che hanno suonato nell'album.
E' un
lavoro che, apparentemente, a un primo ascolto frettoloso può risultare
in parte quasi deludente perchè il suono che Burnett ha creato non è
fatto per stupire immediatamente, ma ad ogni successiva fruizione
cattura inesorabilmente sempre di più, e anche canzoni apparentemente
più banali, come The Best Part Of The Day, rendono al meglio.
La
produzione di Burnett mi sembra che non voglia porre in evidenza i
singoli strumenti (anche i pianoforti di Elton e Russell non sono sempre
in primo piano), ma piuttosto creare un impasto in cui tutto si mescola
meravigliosamente, un po' quello che faceva nel suo campo Phil Spector
con il suo famoso wall of sound con il quale creava un suono unico e
quasi irripetibile.
Sono convinto che il valore di The Union rimarrà
nel tempo e verrà sempre ricordato come il ritorno di Elton ai fasti del
suo periodo d'oro, giusto epilogo di un decennio che aveva già visto
un'inversione di tendenza con tre ottimi album come Songs From The West
Coast, Peachtree Road e The Captain And The Kid.
Intendiamoci, io non
gli do le 5 stelle che gli ha attribuito Rolling Stone Usa, perchè le
canzoni non sono, al livello di Tumbleweed o Madman, ma la straordinaria
produzione di Burnett lo rende un grande album che occupa una
produzione di rilievo nella discografia di Elton, e lo fa giganteggiare
nel desolante panorama musicale odierno.
Probabilmente il suo
difetto, soprattutto per una parte dei fans, è che suona poco come un
"classico" disco di Elton John, non è per niente pop ed è lontano anni
luce dalla sua produzione degli anni 80 e 90, ma è altrettanto vero che
sicuramente tanta gente che non lo considerava più si riavvicinerà
finalmente alla sua musica.
voto 8, 5
canzoni preferite: Gone To Shiloh, Hey Ahab e Hearts Have Turned To Stone
punti
deboli: non ci sono punti deboli, la stessa The Best Part Of The Day
che musicalmente è un po' scontata, qui fa un'ottima figura (pensatela
prodotta da Chris Thomas e inserita in The Big Picture ...)
e pure le
due bonus tracks, Mandalay Again e My Kind Of Hell sono ottime,
percui l'album va ascoltato nella sua interezza, come lo si può trovare
nella Deluxe edition.
|
Pierluca Turnone 31.10.2010
A breve creerò una pagina sulla Wiki per The Union (e vedrò di
migliorare quella di Russell man mano che ne conoscerò la discografia...
Elton sarà contento, era proprio questo che voleva, e il senso del
disco era proprio quello di dargli la visibilità che merita);
comunque è vero, il pianoforte suona molto più naturale ed autentico
rispetto ad una produzione come quella di Songs from the West Coast. La
registrazione è impeccabile (tutto il contrario di quella di Peachtree e
un pò anche di TC&TK), e trovo azzeccato anche il fatto di non far
risaltare nessuno strumento in particolare (tranne, per ovvie ragioni,
il piano nelle varie intro) rispetto agli altri; ma questo penso sia
anche dovuto ai singoli musicisti, che non risultano mai invasivi pur
possedendo una spiccata personalità ed altissime capacità. Le coriste
sono fenomenali!
Altra cosa che ho notato (una peculiarità nella
sterminata discografia di Elton) è che nessun brano finisce "sfumando"
(è una caratteristica delle produzioni di Burnett?): ognuno ha una
propria linea conclusiva.
Dopo diversi ascolti, mi sento di confermare tra i miei brani preferiti le eltoniane
Gone to Shiloh (splendida ballata rock sulla falsariga concettuale di
Indian e My Father's Gun, probabilmente il miglior pezzo di Elton dal
1976 in poi), Eight Hundred Dollar Shoes, Hey Ahab, Jimmie Roger's Dream
(la versione "riveduta e migliorata" delle varie (e sempre bellissime)
The Trail We Blaze, The Drover's Ballad...), There's No Tomorrow, Monkey
Suit, The Best Part of the Day, When Love Is Dying e Mandalay Again,
oltre alle russelliane If It Wasn't for Bad (forse un tempo un singolo
del genere avrebbe spaccato le classifiche...), A Dream Come True e la
magnifica The Hands of Angels (splendida chiusura, forse al pari di
TC&TK). La voce di Leon, così particolare ed evocativa, mi ha
conquistato !!
L'unica
nota negativa che al momento mi sento di sottolineare è una sottintesa,
generale uniformità di interpretazione delle varie Hey Ahab, Monkey
Suit e My Kind of Hell, che ogni tanto mi ricordano le varie They Call
Her the Cat, Just Like Noah's Ark (ovviamente in maniera molto più
aggressiva e graffiante!)... ma dopo 31 album in studio glielo possiamo
concedere.
Se
dovessi dare un voto a The Union gli darei 8,5 o 9... grandissimo album
che spadroneggia in un contesto musicale tanto misero come quello
odierno! E finalmente riporta Elton alla #3 dopo tanti anni!!!
GRANDE IL NOSTRO SIR !!!!!!
|
The Bridge 01.11.2010
Da novellino, adesso provo anch'io ad inserire la mia recensione; e
comincio chiarendo subito che secondo me questo The Union è un quasi
capolavoro. I motivi del quasi sono presto detti; primo: le inevitabili
reminiscenze di armonie e melodie passate (Jimmie Rodger's Dream
richiama alla mente Dixie Lily, pur superandola, e l'inizio di Mandalay
Again mi ricorda Original Sin). Secondo: l'inesorabile trascorrere del
tempo, che rende impossibile il ritorno all'epoca di Madman across the
water: una voce, quella di Elton, non più fantastica come quella dei
primi anni '70, ma arrocchita, molto più fragile. Dopotutto, ha ormai 63
anni; come pretendere un salto indietro di quarant'anni? Impossibile.
Ed i limiti sono tutti qui. Perché adesso vengono i pregi, numerosi, di
questo splendido prodotto. All'inizio, venuto a conoscenza del fatto che
questo album avrebbe visto la collaborazione di Elton con Leon Russell,
mi venne il timore che ne sarebbe venuta fuori l'ennesima raccolta di
duetti trascurabili tipo quelli di Duets; niente di più sbagliato,
perché questo The Union trae una delle sue forze principali proprio
dalla compenetrazione delle due voci (una così americana, graffiante,
instabile, l'altra così inglese, rassicurante, dolce). A questa
compenetrazione vocale se ne accompagna una ancor più sorprendente a
livello compositivo: credo che l'Elton attuale abbia ben poco da
recuperare, sotto questo punto di vista, all'Elton anni 70; così come
bravissimo è anche Leon Russell, i cui brani risultano tutti di notevole
fattura. Sulla produzione c'è ben poco da aggiungere a quello che già è
stato scritto: perfetta, così come perfetti risultano strumentisti e
coriste. Tutti questi fattori, amalgamati in uno strepitoso equilibrio,
danno luogo alla splendida riuscita dell'album, che si apre col brano di
Russell estratto anche come primo singolo: un ottimo esempio di
graffiante e fresco rock (incredibile che chi l'ha scritto, e cantato,
abbia ben 68 anni!), cui segue la malinconica 800 dollar shoes, composta
e cantata dal solo Elton. Un brano del tutto in linea con gli ottimi
standard messi in mostra dal 2001 ad oggi, e che avrebbe potuto
tranquillamente figurare nella scaletta del precedente Captain and the
kid. Il terzo brano, Hey ahab, è un trascinante pezzo pop rock che porta
al primo zenith dell'album: era dai tempi di I'm still standing, anno
di grazia 1983, che non mi ritrovavo a battere il tempo col piede a
questo ritmo. Una freschezza, ed insieme un'interpretazione graffiante,
davvero da applausi. Il delirio raggiunto con questo pezzo permane,
seppur raccolto e "compresso", nella melodia infinita, nell' armonia
lontana e nel mesto carillon di Gone to Shiloh, altro capolavoro
dell'album: uno splendido "triello" di grandi voci e grandi artisti;
oltre ad Elton e Leon, anche Neil Young. Ancora applausi a scena aperta.
Il brano che segue, di Russell, è un altro ottimo e graffiante rock, ai
cui cori Elton contribuisce con una voce in stato di grazia che si
inerpica in tonalità per lui inedite da almeno vent'anni. Jimmie
Rodger's Dream è un ottimo country, morbido e dolce: il primo vero
duetto tra i due protagonisti. Poi arrivano i cori di There's no
tomorrow, altro pezzo forte dell'album, suonata e cantata alla grande,
con quell'organo d'altri tempi. Monkey suit è un altro trascinante pop
rock di Elton, leggermente meno "delirante" di Hey ahab ma altrettanto
ritmato e coinvolgente: un brano, com'è stato scritto, da Elton fine
anni 80; ma anche, secondo me, dell'Elton stile Caribou. E infatti mi
richiama alla mente sia Club at the end of the street che The bitch is
back. Poi arriva The best part of the day, uno dei brani eltoniani più
classici e degli esempi più calzanti dell'elevato standard raggiunto da
Elton a partire dal nuovo millennio. A dream come true, scritta e
cantata da entrambi, è uno splendido esempio di freschezza d'ispirazione
e di gioia compositiva: impossibile non immaginarsi questi due
sessantenni ridere e diverstirsi mentre la suonano. Roses, il brano che
segue, è di Russell e Bernie Taupin: una bellissima canzone d'amore
all'americana, ed è seguita da When love is dying, uno dei brani (di
Elton) forse più controversi dell'opera. In realtà è un'ottima canzone,
una brano nostalgico e dolce, molto retrò, con un ritornello
accattivante: uno dei potenziali singoli dell'album. My kind of hell,
dopo un'iniziale perplessità, l'ho assolutamente rivalutata: è degna
compagna delle precedenti Hey ahab e Monkey suit, con i suoi repentini
cambiamenti di ritmo. Never too old, penultimo brano dell'album, è una
splendida canzone, una delle mie preferite. Ci presenta un Elton
abbastanza inedito, a metà strada tra il blues e certe armonie alla John
Lennon: la considero un altro singolo potenziale dell'album, e mi pare
assolutamente condivisibile il fatto che Elton l'abbia scelta come uno
dei brani da presentare in anteprima durante i suoi concerti. Chiude
l'album la sofferta Hand of Angels, di Russell, l'ultima piccola perla
di questa splendida collana.
|
di Flatmate87 7.11.2010
The Union:quel conto in sospeso saldato fra due vecchi amici dopo 40 anni.
Chi
l'avrebbe mai detto, che dopo 40 anni,due figure musicali si sarebbero
ritrovate per stilare un qualcosa che già nell'aria aveva il sapore del
capolavoro? Chi avrebbe mai scommesso che quella voglia di duettare
insieme manifestata nel lontano 1970,si sarebbe realizzata? Come se, poco
prima di allontanarsi,l'uno avesse confidato all'altro: "Ricorda io e te
abbiamo un conto in sospeso,non dimenticartelo.... "Ebbene sì,quel conto è
stato finalmente saldato, e come è stato saldato: da questi due
artisti, il primo,l'ormai padre putativo della musica mondiale famoso e
conosciutissimo in ogni angolo del globo, l'inimitabile Sir Elton
John,divenuto emblema dei più grandi compositori e pianisti
internazionali di tutti i tempi grazie alla sua ultra quarantennale
carriera musicale che non intende fermarsi a quanto pare, il secondo, Leon
Russell, artista rock dall'aria morigerata e tenebrosa con quella lunga
barba bianca richiamabile a personaggi fantascientifici come i vari
Gandalf e Saruman del Signore degli Anelli, il quale per molta gente era
come se l'avesse ingoiato il dimenticatoio, ma grazie alla infinita
generosità del baronetto è come se fosse, per così dire risuscitato,è
fuoriuscito The Union: un mix di composizioni che vanno dal blues, al
gospel, al country, al r&r che non può non essere di buon gradimento
agli ascoltatori della buona e vera musica ma soprattutto è quel
connubio di musica, armonia, storia e flashback vari che hanno,secondo un
modesto parere, la facoltà e la capacità di appassionare sia cultori
della musica che storici veri e propri. Il preambolo non può che essere
dei migliori: si inizia con If It Wasn't For Bad che rappresenta
nient'altro che la presentazione di questo collaboratore e amico di
vecchia data che il Sir ha desiderato riportare alla luce: Leon
Russell... voce intensa e travolgente che ti prende e ti cattura dal
primo istante fino al termine del brano... è la volta poi di Eight
Hundred Dollar Shoes dove non poteva non esserci la prima entrata in
scena del pianista britannico... arriviamo a Hey Ahab ed è qui che
comincia ad intravedersi l'essenza e la sostanza del lavoro svolto dai
due rocker: un pezzo di pura energia e intensità contorniato da quei cori
gospel che decorano in maniera stratosferica lo sforzo della
composizione... sostanza ed essenza che si fondono finalmente nella
stravolgente e sublime Gone To Shiloh,brano in cui è presente la
collaborazione di Neil Young che tratta del frangente storico di una
sangunosa e indimenticabile battaglia combattuta e sudata sul campo
durante la Guerra di Secessione... si entra nell'atmosfera country
dell'album con la movimentata Jimmie Rodgers' Dream dove l'alternarsi di
voci dell'artista inglese e del rinato rocker statunitense dimostrano
nel modo più eclatante e palese come la collaborazione sia andata
veramente a buon fine.... rievochiamo la storia con There's No
Tomorrow: quei cori che sembrano presi in maniera reale da quella che fu
la posizione e la situazione degli schiavi neri nel periodo antecedente
la stessa Guerra: perfetta immedesimazione di tutte le voci, con
l'aggiunta di quel sottofondo di chitarra pinkflyoidiano che fa da
sfumatura coi fiocchi veramente ben riuscita... si ritorna ai pezzi
movimentati con Monkey Suit e A Dream Come True che si estendono molto
bene grazie sempre al buon apporto svolto dai cori... il viaggio in
questo megalavoro continua sorvolando i brani più lenti e più soft... da
The best Part of The Day a Never Too Old passando per When Love is
Dying, ques'ultimo richiama ad atmosfere più poppeggianti, in cui viene
infatti riesumato un forse rimpianto "Oooooooohhhhhh" che il Sir innesta
magari avendo paura che i suoi fans più patiti del pop possano rimanere
delusi... ci avviciniamo al termine assaporando pezzi come I Should Have
Sent Rose e Hearts Have Turned To Stone dove il connubio di voci firmato
John/Russel conferma al 100%la sua magnificenza....l'epilogo con In
The Hands of Angels non poteva non essere lasciato a chi ha
rappresentato la novità,la svolta nella carriera del Sir: questo
ritrovato e stimolato personaggio che è Leon Russell, fatto conoscere
agli occhi del pianeta grazie al Baronetto... quel conto rimasto in
sospeso non poteva essere saldato in maniera migliore... l'uno ringrazia
l'altro per essersi regalati reciprocamente qualcosa: all'uno
l'esperienza di attraversare nuovi orizzonti musicali,all'altro la
possibilità di dire al mondo ancora la sua dopo anni di duro esilio dal
pianeta musica... il tutto decorato dalla fantastica produzione del
grande T Bone Burnett.... ci sarà un continuo?Chissà...
A voi tutti buon
ascolto.
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di Maria Cristina Villanova 26.12.10
UNA STORIA, UNA RECENSIONE ( THE UNION )
Vorrei raccontarvi
una storia e, in questa storia, c'è implicita una "recensione".
Avevo tredici anni quando m'innamorai di Elton John, ora ne ho
quarantadue. Allora imperavano i Duran e gli Spandau, a me
piacevano i Police, così andavano le cose, ma una sera rimasi
folgorata da una melodia e da una voce (era la sigla di non so quale
programma tv), ma chi era quello sconosciuto che la cantava?
Così si consumò il mio magico incontro con Elton e
la sua Blue Eyes e, da allora , per quella ragazzina che ero,
iniziò un viaggio avventuroso ed inebriante a ritroso nel tempo
per trovare tutti i suoi vecchi dischi! Non era facilissimo a
quei tempi, ci misi un anno e forse più ad avere l'intera
discografia, ma le mie parole non potranno mai esprimere la vertigine
d'emozione che provavo nel mettere sul piatto un nuovo lp di Elton.
Tornavo da scuola e correvo allo stereo, ci rimanevo pomeriggi interi
e, quando pensavo che nulla mi avrebbe più sorpresa, allora
arrivava la nota inaspettata, il passaggio melodico che mi spalancava
le porte su un altro mondo, un brivido sulla pelle, una stretta allo
stomaco... Io amo la musica, la respiro, ma per quanto un disco sia
bello quell'incanto strepitoso che ho assaporato scoprendo Elton non
l'ho più provato. I miei genitori mi portarono a Milano
nell'84 ad ascoltarlo dal vivo, vi potete immaginare... sono rimasta in
trance un mese! Credetemi, la mia è stata una passione
pura e cristallina come la sua musica, ma gli anni e i dischi di poi,
un tantino sottotono ( sono buona), me l'avevano fatto dimenticare...
non so dire da quanto non ascoltassi un suo disco.
Poi un mesetto
fà, così, per caso, mi ritrovo a canticchiare Grey seal ,
mi prende una smania incredibile d'ascoltarlo e mi rendo conto che non
posso perchè ormai in casa ho solo lettori cd e il giradischi
è rotto da un bel pezzo. Esco e, dopo un tentativo
fallito, trovo il cd di Madman, torno a casa, lo ascolto sola in
salotto. Dovevo essere impazzita, come ho potuto dimenticare
Elton in tutti questi anni??!!! Ma, allo stesso tempo, mi chiedo
che cos'ha combinato lui negli ultimi venti??!! Leggo su internet
di The Union, ma, giuro, ho paura di prenderlo, paura d'ascoltarlo, ho
amato troppo Elton e, quindi, la delusione potrebbe farmi molto, molto
male; la ragazzina che è in me lo vuole così, congelato
tra il 1967 e il 1984... è ovvio non resisto, l'attrazione
è troppo potente, sono di nuovo preda dell'antico furore, corro
in negozio e prendo The Union, rientro e in un lampo è nello
stereo. Sono impaziente e spaventata, cambio stanza per attutire
l'eventuale colpo negativo ma le note arrivano, tremo... mi sorprendi
ancora Elton, t'ascolto e mi rendo conto che sto sorridendo, sorrido
come un'innamorata felice... è vero, la tua voce non è
più quella pazzesca ed ineguagliabile di un tempo, è vero
qualche pezzo non mi convince del tutto, ma la bellezza di questo disco
stà nel fatto di restituirci a tratti intatto un mistero, di
saperci catapultare in quell'altrove che è stata la tua
formidabile, incandescente parabola artistica tra il '67 e l' '84,
quell'abbagliante miracolo d'energia, genialità ed emozione...
grazie a Dio il mio amore brilla ancora Elton , come la tua musica!!!
Cristina
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