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The Union recensioni

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The Union

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RECENSIONI GIORNALI ESTERI

RECENSIONI GIORNALI  ITALIANI

 

inviate la vostra recensione di un disco di Elton e sarà pubblicata in questa sezione.
non preoccupatevi, non cerchiamo critici professionisti, ma le impressioni, positive o negative, dei fans!


 


THE UNION - MY EARLY IMPRESSIONS

di Paul Purcell

Some early thoughts after hearing it properly on a proper sound system.

When I heard the NPR stream last Sunday, I was flabbergasted. In a bad way. I thought it was the biggest let down I had since... well since. The early days of the week were the worst in my 20 years of Eltondom. I found out that everyone thought it was the greatest thing ever. And I could only find a few songs in it that I liked. Then, I had the eureka moment. I heard the bonus tracks, Mandaly Again and My Kind Of Hell. They were the kick inside I was looking for. Then the rest of the album seemed to fall in to place.

For me, it's been the hardest album ever to get into. Whether it be the new ones I've experienced or when I was starting out and going back. It's completely unlike any other Elton releases, simply because it isn't an Elton album, in it's purest form. So taking all that on board, you have to try and find a reference point. The band backing vocals...not there. Nigel's signature sound...not there. Davey letting rip...not there. You get the point. So we're left with Elton and Bernie. And Leon. On paper, it sounds great. In practice, it does what it says on the label.  A Union of their talents. Elton's and Bernies supreme songwriting ticking all it's usual boxes, super piano intros, clever changes and melodies to die for. The melody in particular that I refer to was Mandalay Again. A classic Elton tune, a total standout. It just jumped out when I had nearly given up hope for the album. My mojo was restored. So I went back to it again and everything seemed clearer. I saw what Leon brought to the party, a funky sound. An honest sound with an honest voice. While we think of Elton being away with the fairies sometimes (that's an old Irish saying btw, no pun intended!), in regards his lavish lifestyle, Leon brings that down to Earth simplicity to it. And the two combined come out in a simple way. Through their pianos. Which is all you can ask for.

We wll know how much this means to Elton, so we have to give it to him. The album is by no means perfect. There are some songs on it that are a bit too leftfield or too pure in their sound. Jimmie Rodgers sounds good in princilpe, but goes a bit too countryish for my liking. There's No Tomorrow has a dragging feel to it, like as if the life has already gone from it before it starts.

Elton always has a habit in the past of taking a sound and melding it with his own. I think on this album, he went a bit too much towards someone elses sound at times, while maybe losing something of his own. I'm sure you know what I mean there.

I don't like giving stars or marks out of ten or comparing albums in terms of quality. A lot of peolpe have said Tumbleweed is very similar. I can see where they are coming on that one. But I think the production on Tumbleweed is more restrained, more tighter if you wish. Whereas on The Union, it's more looser, which is the required sound the T-Bone required. The backing vocals also do overpower on occasions. Plus there are no string arrangements, which I believe Van Dyke Parks was to supply. So I wonder where they went. But minor, personnal gripes.

My advice to any finding it hard work is to enjoy working on it. This event is bit like a solar eclipse, they only appear every few years. Half the fun is doing the job of getting into it. If our minds were made up before we heard it and couldn't be changed, a lot of use that would be anyone. I've a had a right rollercoaster of a ride this week, I know I'll never have it again.

Or will I??!! :-)




snake2001   27.10.10

Si molto bello...

Allora... che dire... ho ascoltato ieri molto attentamente 3 volte l'album in cuffia nel buio più assoluto e nella concentrazione massima... Devo dire che tutte le mie impressioni si sono confermate, "The Union" è un album veramente fantastico. Mi piacciono praticamente tutti i pezzi ma ai primi posti ci sono 4 brani in particolare. "Hey ahab" è un brano di un'energia fantastica e coinvolgente che in cuffia spacca veramente tanto, non si può fare a meno di andare a tempo di musica. Altro pezzo da 10 e lode e indubbiamente "Gone To Shiloh"; non riesco a fermare i brividi quando all'inizio del brano si passa dal suono "invecchiato" a quello pulito. Il fatto di averla sentita dal vivo in anteprima mondiale a Milano mi riempie di orgoglio. In questo pezzo, per me, ci si accorge della produzione fantastica e della band divina, con un suono particolareggiato e bellissimo, sembra di essere in un sogno. Poi c'è "When Love Is Dying", forse la canzone più "stile Elton" dell'album che mi ha conquistato sin dall'inizio, molto emozionante. Sentirla nell'esibizione live al Beacon Theatre me l'ha fatta piacere ancora di più, una canzone adatta al 100% alla voce di Elton attuale e anche alla sua interpretazione, commovente... L'ultimo brano da (mia) top è The Hands of Angels, forse il finale più azzeccato per un album dopo "Goodbye" del glorioso Madman Across the Water. Mi ha veramente conquistato questo pezzo, molto gospel e per me è il tipo di brano che si presta di più alla voce un "piacevolmente sofferente" di Leon, una scelta per il finale veramente azzeccata (infatti in tutte le versione è stata scelta come ultimo brano dell'album). Un gradino sotto nella mia scala personale troviamo "There's No Tomorrow", sembra quasi una canzone "tragicomica" nel significato ma ci sono dei cori in questo brano in particolare veramente memorabili, non possono non colpire. Allo stesso livello c'è anche "Monkey Suit", brano a mio parere simile nel tipo a "Hey Ahab" ma con qualcosina in meno, anche se ugualmente molto energico e coinvolgente. "Never Too Old" è sullo stesso livello di gradimento, dopo averla ascoltata live nei concerti suonata solo da Elton col suo piano sentirla con tutto l'arrangiamento all'interno dell'album la rende molto più godibile e splendida, è una canzone da 9 in pagella. Questi sono i miei brani preferiti ma tutti i brani dell'album sono, per me, da più di 7 in pagella. L'album nella sua interezza è da 9 ed è destinato ad entrare nella mia top 5 degli album di Elton di sempre. La voce del Sir è fantastica, in formissima, sempre calda e emozionante. Per la voce di Leon vale un altro discorso. Per me non ha una brutta voce ma il tipo di timbro si addice a canzoni come "The Hands of Angels" e non in brani come "If It Wasn’t for Bad", dove perde un pochino. Comunque la scelta di fare questo album insieme è stata veramente vincente, nonostante all'inizio del progetto ero poco convinto.
Ultimo lato da analizzare (anche se non ce n'è bisogno perchè già tutti hanno lodato questo punto di vista) sono band e produzione.
Non sono un tecnico del suono, ma anche un orecchio non professionale si accorge che la band è veramente di qualità e che Burnett abbia fatto veramente un lavoro coi fiocchi, abbia impacchettato questo album con un bel fiocco elegante, aggiungendo decorazioni alla musica che pochi riuscirebbero a fare. Sicuramente senza di lui non sarebbe stato assolutamente la stessa cosa.
Ultimo lato fondamentale... I CORI! Sono sempre impazzito per i cori, e questi ragazzi sono di prima qualità! Aggiungono veramente una marcia in più ai brani e non spero altro che assistere ad un concerto con un bel coro di nere con la voce che ti entra dentro e ti scuote... Che album, ragazzi!

Detto questo non rimane che ascoltare l'album fino a fonderlo!




Mansfield   27.10.10

THE UNION : THE “REUNION” .


Dove eravamo rimasti ? A 40 anni fa.
A dispetto di ogni annuncio (che è sempre arrivato puntuale alla vigilia di ogni nuova produzione di Elton) che proclamava il nuovo album come il migliore dai tempi dei gloriosi ’70 , stavolta possiamo ben dirlo.
Questa unione è un viaggio repentino verso una dimensione molto lontana , nostalgica e magica , i “seventies” , che corre veloce come la moto di Easy Rider . Su quel bolide al posto di Dennis Hopper e Jack Nicholson troviamo Sir Elton John e Mr. Leon Russell.
Il primo istrionico , divertito e divertente nel suo approccio con i media e le grandi platee. Il secondo serioso , misterioso , a tratti mistico e dallo sguardo severo che forse adesso sotto quella grande barba bianca nasconde un sorriso imbarazzato di felicità per questo ritorno inaspettato sulle headlines di mezzo mondo. Il risultato ? Bisogna partire dall’inizio.
Innegabili erano la curiosità , un pizzico di preoccupazione e un innalzamento di sopracciglio che accolsero la notizia questa estate di questo progetto musicale. Tanti “ma” e alcuni “se” che si son presto sciolti come in un dolce , malinconico e disilluso walzer di “Eight hundred dollar shoes” in cui la voce di Elton accompagna dolcemente una evocativa melodia .
Lo Start del disco pone già le basi del progetto : Un coro da favola.
Un “vero” coro gospel , a differenza di quel poco riuscito coro gospel propinatoci in “Peachtree road”.
Blues , country , gospel , soul. Qusti gli ingredienti del disco , cucinati con delle liriche altamente ispirate.
Il primo , secondo piatto e il dolce sono targati USA. E’ proprio una grande storia americana che ci viene raccontata. I Roy Rogers o i Danny Bailey del passato han lasciato che si raccontasse oggi di Jimmy Rodgers , del sangue di Shiloh , di rose mai regalate , di vite prese di petto , fango , asfalto , disillusione ma anche speranza e gratitudine verso gli Angeli o perché no , verso la propria madre patria.
La produzione di T Bone Burnett è divina .
Perfetta. Il pathos del disco è un crescendo continuo che trova riscontro nelle sue scelte. Tant’è che il rammarico piu forte si ripone nella seguente domanda retorica : Perché T Bone Burnett non ha collaborato con Elton prima ? Avremmo avuto delle perle di rara bellezza. Ma si può sperare in una continuazione di questa collaborazione artistica. Si spera vivamente.
I brani , per citarne qualcuno . “There’s no tomorrow” spicca su tutte insieme a “Gone to Shiloh”. Il suo andamento lento , quasi funerario , ci offre l’ascolto di qualcosa di inusuale o comunque non scontato , che fa la differenza. “Hey Ahab” e “Monkey suit” sono momenti di grande trasporto e carica. “Never to old” ci fa volare evocativamente sopra una New York invernale e notturna, là dove qualsiasi frenesia si ferma per lasciare spazio alla tenerezza di un amore che non ha età. La memoria e il ricordo di sangue versato in stupide battaglie all’ombra di bandiere e proiettili sono le basi di “Gone to Shiloh” per la quale scende in campo un trittico musicale d’eccellenza : Elton John , Leon Russell e Neil Young.
Il brano che chiude il disco "The hands of Angels" è di una tenerezza disarmante. E chiude Leon , così come apre il disco. Forse è giusto così.
In conclusione quest’album è un omaggio all’America ma anche a Leon Russell. Un progetto ben riuscito , forte nel suo genere , del quale esserne totalmente fieri.




Reggie 80    30.10.2010

THE UNION - DUE GRANDI ARTISTI RENDONO OMAGGIO ALLA STORIA DELLA MUSICA

Elton e Leon, due vecchi pianisti stancamente appoggiati sui tasti bianchi e neri dei loro fedeli compagni di una vita, ti fissano dritto negli occhi, pronti a sfidare compiaciuti l’orecchio di chi si accinge ad ascoltare la loro ultima fatica.
Volti la pagina e te li ritrovi ancora lì, da bambini, intenti a suonare un improbabile pianoforte a quattro mani, diviso da più di quarant’anni di storia della Musica, che d’un tratto si ricompone sulle prime note di The Union.
Si tratta di un album in cui i due amici rendono un sincero omaggio a quella storia e la ripercorrono, rivisitando e rimescolando sapientemente i generi da cui è sgorgata in un perfetto amalgama d’altri tempi.
L’alchimia che lega i vari brani, intessuta magistralmente da T. Bone Burnett, crea un’atmosfera magica e avvolgente che, scorrendo dalla prima all’ultima nota, ti cattura senza annoiarti mai.
L’intro di If it Wasn’t for Bad preannuncia chiaramente come i protagonisti del disco saranno, oltre ai dialoghi dei due pianoforti, dei cori degni di prendere il posto delle migliori orchestrazioni di Buckmaster. Il tutto è accompagnato, a volte fin con troppo rispetto e riverenza, da eccellenti musicisti che accarezzano con mano vellutata ed estrema professionalità i propri strumenti.
L’eleganza e la delicatezza di Eight Hundred Dollar Shoes, l’energia della potente Hey Ahab, le preziosissime – e forse ormai insperate – pennellate di un’epica Gone to Shiloh d’altri tempi, il cui inizio sembra porre l’attenzione sulla definitiva ripresa di un’ispirazione persa più di trent’anni fa, e la trascinante Hearts Have Turned To Stone, rappresentano l’essenza stessa dell’album e ne offrono uno spaccato più che esaustivo.
Si torna poi a livelli più umani con Jimmie Rodger’s Dream, brano in cui Elton è un po’ troppo autoreferenziale, e con When Love is Dying, ottima intuizione, che tende però ad accomodarsi su se stessa frenando il ritmo proprio quando le briglie dovrebbero invece sciogliersi.
Presto però si vola di nuovo in alto, anzi molto in alto, con una struggente There’s No Tomorrow da brividi, in cui c’è pure posto per un assolo di chitarra dalle tinte pinkfloydiane, e con l’accattivante A Dream Come True, il cui titolo non potrebbe descrivere meglio il risultato della trepidante attesa di questo lavoro e in cui il dialogo tra i due pianoforti raggiunge il suo apice.
Se Monkey Suit e My Kind Of Hell rendono perfettamente l’idea di come Elton poteva essere prodotto negli oscuri anni ’80 – e forse sarebbe stata tutta un’altra storia – The Best Part Of The Day conferma una volta di più la sua grandezza nel comporre ballads, che tocca il suo picco con la dolcissima, ma più che convincente, Mandalay Again.
I Should Have Sent Roses, impreziosita da una chitarra che parla, catapulta d’un tratto l’ascoltatore in una stanza buia e fumosa di un vecchio club frequentato da ottimi musicisti, facendogli respirare a pieni polmoni quell’aria ammaliante intrisa di whiskey e tabacco, mentre Never Too Old (to Hold Somebody) è certamente un pezzo degno del miglior Burt Bacharach.
L’album si chiude con The Hands of Angels, brano interpretato solo da Leon in cui spiccano particolarmente i cori da lui stesso divinamente arrangiati. Vuole essere un sincero e sentito ringraziamento rivolto a quel ragazzo inglese che quarant’anni fa lo aveva così ben impressionato al Troubadour di Los Angeles, e che oggi lo ha preso per mano, risvegliandolo dal torpore, per convincerlo a realizzare questa più che riuscita collaborazione.
In realtà è però quel ragazzo che lo deve ringraziare, perché dopo più di trent’anni ha ritrovato gli stimoli per rimettersi in discussione e la giusta ispirazione per incidere un disco di gran classe e qualità. Ora però, come allora, dopo l’ottimo debutto dovrà dimostrare che ha ancora voglia di stupirci.



Beppe   30.10.2010

(premetto, come sempre, che io sono negato per le recensioni)


a dream come true ...

Si, un sogno è diventato realtà, quando nessuno, e io per primo, si aspettava più un disco del genere, Elton è ritornato con un grande album.
E un un debutto al terzo posto Billboard, trentaquattro anno dopo Blue Moves ...
E tante recensioni positive come mai è successo in passato, veramente da non credere.
The Union è stata una sorpresa praticamente per tutti, un omaggio sincero al coprotagonista dell'album, Leon Russell, ispiratore del primissimo Elton John alla fine degli anni 60, prodotto magistralmente da T Bone Burnett, che ha anche portato nel progetto il suo fidato team di musicisti di altissimo livello, a partire dal chitarrista Marc Ribot.
In questo album dai suoni prettamente americani, come lo fu per altri versi Tumbleweed Connection quarant'anni fa, le singole canzoni sono sì molto buone, ma è l'insieme del progetto ad avere un surplus che lo porta ad essere sicuramente il miglior disco di Elton a partire dagli anni 70, il suo periodo d'oro.
Gli arrangiamenti molto elaborati di Burnett, con il bando assoluto per ogni genere di elettronica, conferiscono un suono senza tempo, che spazia dal country, al gospel, al rock e alle ballate, senza però richiamare nessun altro album di Elton in particolare; il progetto riporta alla mente dischi come Tumblewweed Connection e Madman Across The Water, per l'utilizzo di strumenti tradizionali, grandi musicisti e un fantastico coro gospel che in alcune canzoni è veramente entusiasmante, ma qui non troviamo i maestosi arrangiamenti orchestrali alla Paul Buckmaster che avevano caratterizzato quelle produzioni.
Ma anche il paragone con Tumbleweed, nonostante molte attinenze non regge troppo, la stessa Gone To Shiloh, splendida, il cui testo riporta direttamente al capolavoro del 1970, musicalmente si distacca abbastanza nettamente dalle canzoni di allora.
La caratteristica particolare è senza dubbio la collaborazione con Leon Russell, il cui piano si intreccia con quello di Elton in maniera quasi perfetta.
L'album è dichiaratamente un atto di amore e riconoscenza di Elton nei confronti di Leon, ingiustamente dimenticato negli ultimi anni dal grande pubblico.
E Leon si è integrato magnificamente in questo progetto, soprattutto nei brani da lui composti come Hearts Have Turned to Stone che dal vivo rende magnificamente con i musicisti che hanno suonato nell'album.
E' un lavoro che, apparentemente, a un primo ascolto frettoloso può risultare in parte quasi deludente perchè il suono che Burnett ha creato non è fatto per stupire immediatamente, ma ad ogni successiva fruizione cattura inesorabilmente sempre di più, e anche canzoni apparentemente più banali, come The Best Part Of The Day, rendono al meglio.
La produzione di Burnett mi sembra che non voglia porre in evidenza i singoli strumenti (anche i pianoforti di Elton e Russell non sono sempre in primo piano), ma piuttosto creare un impasto in cui tutto si mescola meravigliosamente, un po' quello che faceva nel suo campo Phil Spector con il suo famoso wall of sound con il quale creava un suono unico e quasi irripetibile.
Sono convinto che il valore di The Union rimarrà nel tempo e verrà sempre ricordato come il ritorno di Elton ai fasti del suo periodo d'oro, giusto epilogo di un decennio che aveva già visto un'inversione di tendenza con tre ottimi album come Songs From The West Coast, Peachtree Road e The Captain And The Kid.
Intendiamoci, io non gli do le 5 stelle che gli ha attribuito Rolling Stone Usa, perchè le canzoni non sono, al livello di Tumbleweed o Madman, ma la straordinaria produzione di Burnett lo rende un grande album che occupa una produzione di rilievo nella discografia di Elton, e lo fa giganteggiare nel desolante panorama musicale odierno.
Probabilmente il suo difetto, soprattutto per una parte dei fans, è che suona poco come un "classico" disco di Elton John, non è per niente pop ed è lontano anni luce dalla sua produzione degli anni 80 e 90, ma è altrettanto vero che sicuramente tanta gente che non lo considerava più si riavvicinerà finalmente alla sua musica.

voto 8, 5

canzoni preferite: Gone To Shiloh, Hey Ahab e Hearts Have Turned To Stone

punti deboli: non ci sono punti deboli, la stessa The Best Part Of The Day che musicalmente è un po' scontata, qui fa un'ottima figura (pensatela prodotta da Chris Thomas e inserita in The Big Picture ...)
e pure le due bonus tracks, Mandalay Again e My Kind Of Hell sono ottime, percui l'album va ascoltato nella sua interezza, come lo si può trovare nella Deluxe edition.



Pierluca Turnone  31.10.2010

A breve creerò una pagina sulla Wiki per The Union (e vedrò di migliorare quella di Russell man mano che ne conoscerò la discografia... Elton sarà contento, era proprio questo che voleva, e il senso del disco era proprio quello di dargli la visibilità che merita); comunque è vero, il pianoforte suona molto più naturale ed autentico rispetto ad una produzione come quella di Songs from the West Coast. La registrazione è impeccabile (tutto il contrario di quella di Peachtree e un pò anche di TC&TK), e trovo azzeccato anche il fatto di non far risaltare nessuno strumento in particolare (tranne, per ovvie ragioni, il piano nelle varie intro) rispetto agli altri; ma questo penso sia anche dovuto ai singoli musicisti, che non risultano mai invasivi pur possedendo una spiccata personalità ed altissime capacità. Le coriste sono fenomenali!

Altra cosa che ho notato (una peculiarità nella sterminata discografia di Elton) è che nessun brano finisce "sfumando" (è una caratteristica delle produzioni di Burnett?): ognuno ha una propria linea conclusiva.
Dopo diversi ascolti, mi sento di confermare tra i miei brani preferiti le eltoniane Gone to Shiloh (splendida ballata rock sulla falsariga concettuale di Indian e My Father's Gun, probabilmente il miglior pezzo di Elton dal 1976 in poi), Eight Hundred Dollar Shoes, Hey Ahab, Jimmie Roger's Dream (la versione "riveduta e migliorata" delle varie (e sempre bellissime) The Trail We Blaze, The Drover's Ballad...), There's No Tomorrow, Monkey Suit, The Best Part of the Day, When Love Is Dying e Mandalay Again, oltre alle russelliane If It Wasn't for Bad (forse un tempo un singolo del genere avrebbe spaccato le classifiche...), A Dream Come True e la magnifica The Hands of Angels (splendida chiusura, forse al pari di TC&TK). La voce di Leon, così particolare ed evocativa, mi ha conquistato !!

L'unica nota negativa che al momento mi sento di sottolineare è una sottintesa, generale uniformità di interpretazione delle varie Hey Ahab, Monkey Suit e My Kind of Hell, che ogni tanto mi ricordano le varie They Call Her the Cat, Just Like Noah's Ark (ovviamente in maniera molto più aggressiva e graffiante!)... ma dopo 31 album in studio glielo possiamo concedere.

Se dovessi dare un voto a The Union gli darei 8,5 o 9... grandissimo album che spadroneggia in un contesto musicale tanto misero come quello odierno! E finalmente riporta Elton alla #3 dopo tanti anni!!!

GRANDE IL NOSTRO SIR !!!!!!


The Bridge    01.11.2010

Da novellino, adesso provo anch'io ad inserire la mia recensione; e comincio chiarendo subito che secondo me questo The Union è un quasi capolavoro. I motivi del quasi sono presto detti; primo: le inevitabili reminiscenze di armonie e melodie passate (Jimmie Rodger's Dream richiama alla mente Dixie Lily, pur superandola, e l'inizio di Mandalay Again mi ricorda Original Sin). Secondo: l'inesorabile trascorrere del tempo, che rende impossibile il ritorno all'epoca di Madman across the water: una voce, quella di Elton, non più fantastica come quella dei primi anni '70, ma arrocchita, molto più fragile. Dopotutto, ha ormai 63 anni; come pretendere un salto indietro di quarant'anni? Impossibile. Ed i limiti sono tutti qui. Perché adesso vengono i pregi, numerosi, di questo splendido prodotto. All'inizio, venuto a conoscenza del fatto che questo album avrebbe visto la collaborazione di Elton con Leon Russell, mi venne il timore che ne sarebbe venuta fuori l'ennesima raccolta di duetti trascurabili tipo quelli di Duets; niente di più sbagliato, perché questo The Union trae una delle sue forze principali proprio dalla compenetrazione delle due voci (una così americana, graffiante, instabile, l'altra così inglese, rassicurante, dolce). A questa compenetrazione vocale se ne accompagna una ancor più sorprendente a livello compositivo: credo che l'Elton attuale abbia ben poco da recuperare, sotto questo punto di vista, all'Elton anni 70; così come bravissimo è anche Leon Russell, i cui brani risultano tutti di notevole fattura. Sulla produzione c'è ben poco da aggiungere a quello che già è stato scritto: perfetta, così come perfetti risultano strumentisti e coriste. Tutti questi fattori, amalgamati in uno strepitoso equilibrio, danno luogo alla splendida riuscita dell'album, che si apre col brano di Russell estratto anche come primo singolo: un ottimo esempio di graffiante e fresco rock (incredibile che chi l'ha scritto, e cantato, abbia ben 68 anni!), cui segue la malinconica 800 dollar shoes, composta e cantata dal solo Elton. Un brano del tutto in linea con gli ottimi standard messi in mostra dal 2001 ad oggi, e che avrebbe potuto tranquillamente figurare nella scaletta del precedente Captain and the kid. Il terzo brano, Hey ahab, è un trascinante pezzo pop rock che porta al primo zenith dell'album: era dai tempi di I'm still standing, anno di grazia 1983, che non mi ritrovavo a battere il tempo col piede a questo ritmo. Una freschezza, ed insieme un'interpretazione graffiante, davvero da applausi. Il delirio raggiunto con questo pezzo permane, seppur raccolto e "compresso", nella melodia infinita, nell' armonia lontana e nel mesto carillon di Gone to Shiloh, altro capolavoro dell'album: uno splendido "triello" di grandi voci e grandi artisti; oltre ad Elton e Leon, anche Neil Young. Ancora applausi a scena aperta. Il brano che segue, di Russell, è un altro ottimo e graffiante rock, ai cui cori Elton contribuisce con una voce in stato di grazia che si inerpica in tonalità per lui inedite da almeno vent'anni. Jimmie Rodger's Dream è un ottimo country, morbido e dolce: il primo vero duetto tra i due protagonisti. Poi arrivano i cori di There's no tomorrow, altro pezzo forte dell'album, suonata e cantata alla grande, con quell'organo d'altri tempi. Monkey suit è un altro trascinante pop rock di Elton, leggermente meno "delirante" di Hey ahab ma altrettanto ritmato e coinvolgente: un brano, com'è stato scritto, da Elton fine anni 80; ma anche, secondo me, dell'Elton stile Caribou. E infatti mi richiama alla mente sia Club at the end of the street che The bitch is back. Poi arriva The best part of the day, uno dei brani eltoniani più classici e degli esempi più calzanti dell'elevato standard raggiunto da Elton a partire dal nuovo millennio. A dream come true, scritta e cantata da entrambi, è uno splendido esempio di freschezza d'ispirazione e di gioia compositiva: impossibile non immaginarsi questi due sessantenni ridere e diverstirsi mentre la suonano. Roses, il brano che segue, è di Russell e Bernie Taupin: una bellissima canzone d'amore all'americana, ed è seguita da When love is dying, uno dei brani (di Elton) forse più controversi dell'opera. In realtà è un'ottima canzone, una brano nostalgico e dolce, molto retrò, con un ritornello accattivante: uno dei potenziali singoli dell'album. My kind of hell, dopo un'iniziale perplessità, l'ho assolutamente rivalutata: è degna compagna delle precedenti Hey ahab e Monkey suit, con i suoi repentini cambiamenti di ritmo. Never too old, penultimo brano dell'album, è una splendida canzone, una delle mie preferite. Ci presenta un Elton abbastanza inedito, a metà strada tra il blues e certe armonie alla John Lennon: la considero un altro singolo potenziale dell'album, e mi pare assolutamente condivisibile il fatto che Elton l'abbia scelta come uno dei brani da presentare in anteprima durante i suoi concerti. Chiude l'album la sofferta Hand of Angels, di Russell, l'ultima piccola perla di questa splendida collana.




di Flatmate87   7.11.2010


The Union:quel conto in sospeso saldato fra due vecchi amici dopo 40 anni.


Chi l'avrebbe mai detto, che dopo 40 anni,due figure musicali si sarebbero ritrovate per stilare un qualcosa che già nell'aria aveva il sapore del capolavoro?   Chi avrebbe mai scommesso che quella voglia di duettare insieme manifestata nel lontano 1970,si sarebbe realizzata?   Come se, poco prima di allontanarsi,l'uno avesse confidato all'altro: "Ricorda io e te abbiamo un conto in sospeso,non dimenticartelo.... "Ebbene sì,quel conto è stato finalmente saldato, e come è stato saldato: da questi due artisti, il primo,l'ormai padre putativo della musica mondiale famoso e conosciutissimo in ogni angolo del globo, l'inimitabile Sir Elton John,divenuto emblema dei più grandi compositori e pianisti internazionali di tutti i tempi grazie alla sua ultra quarantennale carriera musicale che non intende fermarsi a quanto pare, il secondo, Leon Russell, artista rock dall'aria morigerata e tenebrosa con quella lunga barba bianca richiamabile a personaggi fantascientifici come i vari Gandalf e Saruman del Signore degli Anelli, il quale per molta gente era come se l'avesse ingoiato il dimenticatoio, ma grazie alla infinita generosità del baronetto è come se fosse, per così dire risuscitato,è fuoriuscito The Union: un mix di composizioni che vanno dal blues, al gospel, al country, al r&r che non può non essere di buon gradimento agli ascoltatori della buona e vera musica ma soprattutto è quel connubio di musica, armonia, storia e flashback vari che hanno,secondo un modesto parere, la facoltà e la capacità di appassionare sia cultori della musica che storici veri e propri.   Il preambolo non può che essere dei migliori: si inizia con If It Wasn't For Bad che rappresenta nient'altro che la presentazione di questo collaboratore e amico di vecchia data che il Sir ha desiderato riportare alla luce: Leon Russell... voce intensa e travolgente che ti prende e ti cattura dal primo istante fino al termine del brano... è la volta poi di Eight Hundred Dollar Shoes dove non poteva non esserci la prima entrata in scena del pianista britannico... arriviamo a Hey Ahab ed è qui che comincia ad intravedersi l'essenza e la sostanza del lavoro svolto dai due rocker: un pezzo di pura energia e intensità contorniato da quei cori gospel che decorano in maniera stratosferica lo sforzo della composizione... sostanza ed essenza che si fondono finalmente nella stravolgente e sublime Gone To Shiloh,brano in cui è presente la collaborazione di Neil Young che tratta del frangente storico di una sangunosa e indimenticabile battaglia combattuta e sudata sul campo durante la Guerra di Secessione... si entra nell'atmosfera country dell'album con la movimentata Jimmie Rodgers' Dream dove l'alternarsi di voci dell'artista inglese e del rinato rocker statunitense dimostrano nel modo più eclatante e palese come la collaborazione sia andata veramente a buon fine.... rievochiamo la storia con There's No Tomorrow: quei cori che sembrano presi in maniera reale da quella che fu la posizione e la situazione degli schiavi neri nel periodo antecedente la stessa Guerra: perfetta immedesimazione di tutte le voci, con l'aggiunta di quel sottofondo di chitarra pinkflyoidiano che fa da sfumatura coi fiocchi veramente ben riuscita... si ritorna ai pezzi movimentati con Monkey Suit e A Dream Come True che si estendono molto bene grazie sempre al buon apporto svolto dai cori... il viaggio in questo megalavoro continua sorvolando i brani più lenti e più soft... da The best Part of The Day a Never Too Old passando per When Love is Dying, ques'ultimo richiama ad atmosfere più poppeggianti, in cui viene infatti riesumato un forse rimpianto "Oooooooohhhhhh" che il Sir innesta magari avendo paura che i suoi fans più patiti del pop possano rimanere delusi... ci avviciniamo al termine assaporando pezzi come I Should Have Sent Rose e Hearts Have Turned To Stone dove il connubio di voci firmato John/Russel conferma al 100%­la sua magnificenza....l'epilogo con In The Hands of Angels non poteva non essere lasciato a chi ha rappresentato la novità,la svolta nella carriera del Sir: questo ritrovato e stimolato personaggio che è Leon Russell, fatto conoscere agli occhi del pianeta grazie al Baronetto... quel conto rimasto in sospeso non poteva essere saldato in maniera migliore... l'uno ringrazia l'altro per essersi regalati reciprocamente qualcosa: all'uno l'esperienza di attraversare nuovi orizzonti musicali,all'altro la possibilità di dire al mondo ancora la sua dopo anni di duro esilio dal pianeta musica... il tutto decorato dalla fantastica produzione del grande T Bone Burnett.... ci sarà un continuo?Chissà...

A voi tutti buon ascolto.                                                                                                                                                                                       


di Maria Cristina Villanova   26.12.10
UNA STORIA, UNA RECENSIONE ( THE UNION )


Vorrei raccontarvi una storia e, in questa storia, c'è implicita una "recensione". Avevo tredici anni quando m'innamorai di Elton John, ora ne ho quarantadue.  Allora imperavano i Duran e gli Spandau, a me piacevano i Police, così andavano le cose, ma una sera rimasi folgorata da una melodia e da una voce (era la sigla di non so quale programma tv), ma chi era quello sconosciuto che la cantava?  Così si consumò il mio magico incontro con Elton e la sua Blue Eyes e, da allora , per quella ragazzina che ero, iniziò un viaggio avventuroso ed inebriante a ritroso nel tempo per trovare tutti i suoi vecchi dischi!  Non era facilissimo a quei tempi, ci misi un anno e forse più ad avere l'intera discografia, ma le mie parole non potranno mai esprimere la vertigine d'emozione che provavo nel mettere sul piatto un nuovo lp di Elton. Tornavo da scuola e correvo allo stereo, ci rimanevo pomeriggi interi e, quando pensavo che nulla mi avrebbe più sorpresa, allora arrivava la nota inaspettata, il passaggio melodico che mi spalancava le porte su un altro mondo, un brivido sulla pelle, una stretta allo stomaco... Io amo la musica, la respiro, ma per quanto un disco sia bello quell'incanto strepitoso che ho assaporato scoprendo Elton non l'ho più provato.  I miei genitori mi portarono a Milano nell'84 ad ascoltarlo dal vivo, vi potete immaginare... sono rimasta in trance un mese!  Credetemi, la mia è stata una passione pura e cristallina come la sua musica, ma gli anni e i dischi di poi, un tantino sottotono ( sono buona), me l'avevano fatto dimenticare... non so dire da quanto non ascoltassi un suo disco.
Poi un mesetto fà, così, per caso, mi ritrovo a canticchiare Grey seal , mi prende una smania incredibile d'ascoltarlo e mi rendo conto che non posso perchè ormai in casa ho solo lettori cd e il giradischi è rotto da un bel pezzo.  Esco e, dopo un tentativo fallito, trovo il cd di Madman, torno a casa, lo ascolto sola in salotto.  Dovevo essere impazzita, come ho potuto dimenticare Elton in tutti questi anni??!!!   Ma, allo stesso tempo, mi chiedo che cos'ha combinato lui negli ultimi venti??!!  Leggo su internet di The Union, ma, giuro, ho paura di prenderlo, paura d'ascoltarlo, ho amato troppo Elton e, quindi, la delusione potrebbe farmi molto, molto male; la ragazzina che è in me lo vuole così, congelato tra il 1967 e il 1984... è ovvio non resisto, l'attrazione è troppo potente, sono di nuovo preda dell'antico furore, corro in negozio e prendo The Union, rientro e in un lampo è nello stereo.  Sono impaziente e spaventata, cambio stanza per attutire l'eventuale colpo negativo ma le note arrivano, tremo... mi sorprendi ancora Elton, t'ascolto e mi rendo conto che sto sorridendo, sorrido come un'innamorata felice... è vero, la tua voce non è più quella pazzesca ed ineguagliabile di un tempo, è vero qualche pezzo non mi convince del tutto, ma la bellezza di questo disco stà nel fatto di restituirci a tratti intatto un mistero, di saperci catapultare in quell'altrove che è stata la tua formidabile, incandescente parabola artistica tra il '67 e l' '84, quell'abbagliante miracolo d'energia, genialità ed emozione... grazie a Dio il mio amore brilla ancora Elton , come la tua musica!!!

Cristina