da Rockstar n° 109
ELTON JOHN
Sleeping With The Past
Titoli:
Durban Deep / Healing Hands / Whispers / Club At The End Of The Street
/ Sleeping With The Past / Stones Throw From Hurtin' / Sacrifice / I
Never Knew Her Name / Amazes Me / Blue Avenue. Produttore: Chris Thomas.
Brano Migliore: Durban Deep.
E lui gioca.
E noi lo stiamo sempre a sentire. E lui scherza. E noi non ce la
sentiamo di dirgli di no. Ma nonostante questa quasi involontaria
sintonia, forse Elton non ha più voglia di scrivere. Forse non ha più
voglia di cantare. Fa concerti bruttini, organizza scalette in cui c'è
troppo synth, troppo business. Dove l'Elton vero, quello delle
infinite, maniacali discese nella canzone d'autore, scompare
pietosamente.
E' il lirico di "Indian Sunset", di "Come Down In Time" che se ne va lontano.
E' il tiepido e diffidente glam-boy di Don't Shoot me e di Goodbye Yellow Brick Road che ammette di non farcela più.
In Italia si
fece conoscere perché un giorno steccò a Canzonissima una "Crocodile
Rock" con base in playback. Ma era tutto quello che si meritava il
varietà.
Era il periodo in cui Elton alzò i tacchi per diventare più alto (non per darsela a gambe) e più ambiguo.
Quei due dischi avevano tanta poesia nascosta nel blues e nel folk che ricomprarseli in CD non sarebbe uno sbaglio.
Ma qualcuno
segnalò un calo. Errore. Era un massimo dove andavano a sposarsi la
rarefazione di Tumbleweed Connection e una modernità, un'apertura
americana che poi sarebbero degenerate.
Elton dice
che queste nuove canzoni sono ispirate agli anni Sessanta. Manca però
la continuità, mancano le connessioni tra refrain e strofa, manca
l'anima e forse i tendini, perché queste realtà abbiano la fisionomia
quasi umana delle sue più classiche composizioni.
E' la
raccolta più pulita da 21 At 33, ma ti stanchi dopo un quarto d'ora.
Come al concerto, che aspetti aspetti, ma di "Levon" nemmeno l'ombra.
6/10
Enrico Sisti
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