Elton John - Goodbye Yellow Brick Road (1973)
Acclamato
da sempre come uno dei migliori e più famosi dischi di Elton
John, Goodbye Yellow Brick Road fu il suo primo album doppio ad essere
pubblicato. Prendendo spunto dal doppio White Album dei Beatles,
ma soprattutto dalle esigenze di contratto con la DJM che lo
obbligavano a due dischi all'anno, Elton entrò in studio in
Giamaica, sulla scia dei Rolling Stones, ma insormontabili problemi tecnici lo fecero
ritornare in Francia, nel castello di Herouville, come per il
precedente Honky Chateau.
Il successo di critica e pubblico fu enorme e l'album
stazionò a lungo ai primi posti della classifica USA di
Billboard lanciando definitivamente Elton come la più grande
superstar musicale degli anni 70.
1)
Funeral For A Friend*/Love
Lies Bleeding
2)
Candle
In The Wind
3)
Bennie
And The Jets
4)
Goodbye
Yellow Brick Road
5)
This
Song Has No Title
6)
Grey
Seal
7)
Jamaica
Jerk Off
8)
I've
Seen That Movie Too
9)
Sweet
Painted Lady
10)
The
Ballad Of Danny Bailey (1909-34)
11)
Dirty
Little Girl
12)
All
The Girls Love Alice
13)
Your
Sister Can't Twist (But She Can Rock 'n' Roll)
14)
Saturday
Night's Alright (For Fighting)
15)
Roy
Rogers
16)
Social
Disease
17)
Harmony
*
strumentale
classifiche
Stati
Uniti:
1° posto (per 8 settimane)
Inghilterra:
1° posto (per 2 settimane)
Italia:
5° posto
dalla versione rimasterizzata
'Goodbye Yellow Brick Road' fu il primo album doppio di Elton John,
sebbene in origine non fu, chiaramente, pianificato come tale; le
sessions di registrazione, le quali ebbero ancora luogo presso lo
Chateau d'Hierouville in Francia, furono così produttive, e i risultati
così impressionanti, che persino lo stesso Elton (preoccupato dal fatto
che i suoi fans avrebbero potuto trovare un pò eccessivo il prezzo di
un doppio LP), alla fine, fu convinto del fatto che distribuirlo in
questa forma fosse la cosa giusta da fare. Anche allora furono
registrate diverse tracce extra, durante o non molto dopo le sessions
dell'album, e queste sono incluse come registrazioni bonus nella
ristampa rimasterizzata di 'Don't Shoot Me, I'm Only The Piano Player'.
'Jack Rabbit' e 'Whenever You're Ready (We'll Go Steady Again)' furono
distribuite con il singolo 'Saturday Night's Alright For Fighting', e
'Screw You' era la B - side del singolo 'Goodbye Yellow Brick Road'
(anche se fu reintitolato 'Young Man Blues' per i delicati palati
americani).
Sia 'Honky Chateau' che 'Don't Shoot Me, I'm Only The
Piano Player' erano stati registrati allo Chateau d'Hierouville, e il
progetto originario di 'Goodbye Yellow Brick Road' era stato quello di
registrare in un sito ancora più esotico. Come Elton richiamò alla
mente nel libretto che accompagnava 'To Be Continued' boxed set: "I
said 'The Rolling Stoneshave just done "Goat's Head Soup' in Jamaica,
let's go there'. We arrived, I think, the day after the George Foreman
- Joe Frazier fight, and the place was swarming with people. I was
afraid to go out of the (hotel) room, because it was pretty funky in
downtown Kingston, and most of those songs were written in two or three
days in my hotel room on an electric piano. When we actually got into
the studio, the only thing thing recorded was a really frantic version
of 'Saturday Night's Alright For Fighting'; it sounded like it had been
recorded on the worst transistor radio. We had so many problems with
the studio..." Bernie Taupin confermò: "If I remember rightly, the
studio was surrounded by barbed wire and there were guys with machine
guns", ed Elton continuò: "After the playback, we panicked. We'd come
all the way here at great expense - what are we going to do? Go back to
The Chateau. The album itself was recorded in about 15 days. The
Chateau wasn't the most technically wonderful studio, but there was
something magical about it. We used to record three, four, five tracks
a day. 'Saturday Night's Alright For Fighting' was the weirdest one.
The only way we could record it in the end was for the band to play it
and then I put the piano in and sang afterwards. The first time I'd
ever recorded standing up, singing and leaping around the studio, going
crazy. It was also hard because it's not a typical piano number".
'Saturday
Night's Alright' fu la prima traccia proveniente da queste sessions a
diventare un singolo da hit, e fu un successo immediato, raggiungendo
la Top 10 britannica e la Top 20 statunitense, cosa
inusuale - di solito molti successi di Elton, durante gli Anni '70,
furono più grandi in America che in Gran Bretagna, ma una spiegazione
per questa dissidenza potrebbe essere stata il fatto che la canzone era
molto inglese, e rifletteva gli anni adolescenziali di Bernie Taupin
nel Lincolnshire. E' citato nel libro di Philip Norman "Elton - The
Definitive Biography" mentre dice: "I'd started to feel I was writing
too much about American culture and American things. 'Saturday Night'
was my first attempt to write a rock'n'roll song that was totally
English". La sua britannicità era ovviamente relativa al testo, ma
anche musicalmente il brano suonava un pò Rolling Stones, ed é
diventato un forte cavallo di battaglia come festa scatenata da mettere
in scena. Il secondo singolo dell'album, la title - track, fu anche una
hit nella Top 10 del Regno Unito, e fu trasmessa alla radio americana
fino alla morte, al punto che non riuscì per un soffio a diventare il
secondo singolo dell'anno di Elton al Numero Uno in America (dopo
'Crocodile Rock', dall'album 'Don't Shoot Me, I'm Only The Piano
Player'), sebbene abbia venduto un milione di copie, a tal punto di far
guadagnare ad Elton il suo secondo singolo oro. Usando ovviamente le
familiari immagini del classico film di Judy Garland 'Il Mago di Oz',
la canzone era tanto un lamento quanto una celebrazione: a quell'ora,
Bernie aveva conosciuto l'alta società della quale aveva sognato, e
apparentemente la trovò meno soddisfacente di quanto di fosse
aspettato. Questo brano rimane una pietra miliare nella carriera di
Elton, completata dall'arrangiamento orchestrale di Del Newman, del
tutto appropriato.
Nessuna di queste maggiori hits apriva l'album;
la prima traccia, 'Funeral For A Friend', era uno straordinario
strumentale, con il tecnico David Hentschel a suonare il sintetizzatore
e la chitarra di Davey Johnstone altresì notevole. Sembrano esserci
influenze wagneriane in questo brano, simili a quelle che interessavano
Jim Steinman mentre era in procinto di produrre 'Bat Out Of Hell' uno o
due anni dopo, ed é interessante notare che poi Davey Johnstone suonò
nella band di sostegno di Meat Loaf... Dopo il lungo strumentale, la
seconda parte del brano, lungo 11 minuti e più, é 'Love Lies Bleeding',
una canzone apparentemente rispecchiante la fine di un romanzo. Ancora
più forte in termini commerciali era la traccia che seguiva, 'Candle in
The Wind', apparentemente un delicato tributo a Marilyn Monroe. Nel
libretto del 'To Be Continued...' boxed set, Elton sostiene che essa ha
rimpiazzato 'Your Song' come composizione più popolare del duo
John/Taupin, sebbene non fosse una delle canzoni coverizzate nel
progetto del tribute album di star 'Two Rooms'. Il motivo di ciò
potrebbe essere questo: essa era stata doppiamente una hit per Elton -
inizialmente nel 1974, quando fu un'importante hit nel Regno Unito, e
ancora nel 1987/8, quando fu scelta dall'album 'Live In Australia' e
raggiunse la Top 10 in entrambele parti dell'Atlantico. Sempre nel
libretto di 'To Be Continued', Bernie Taupin rifletteva: "The 'Candle
In The Wind' thing with Marilyn Monroe was blown out of proportion
because it turned everyone into thinking I was this Marilyn fanatic,
but it wasn't necessarily a homage to her, it was more about
misuranderstanding, and I've said that song could have been about James
Dean" (presumibilmente anziché Norma Jean). Potrebbe anche rivolgersi
alla cantante Sandy Denny (facente parte un tempo della Fairport
Convention), che coverizzò la canzone in uno dei suoi album da solista,
prima di morire in maniera ugualmente tragica all'inizio dei suoi
trent'anni nel 1978.
Se 'Candle In The Wind' era una canzone
particolarmente compassionevole, 'Bennie And The Jets', che seguiva
nell'album 'Yellow Brick Road', era pura fantasia - ma raggiunse la
vetta della classifica statunitense dei singoli. Un sobbalzante ritmo
accompagnava la vicenda di un'immaginaria rockstar di sesso femminile
in un completo di mohair e con 'electric boots' (stivali elettrici).
Non fu rilasciata come A - side di un singolo britannico fino al 1976,
dopo che Elton aveva lasciato la DJM Records, sebbene essa era stata la
B - side di 'Candle In The Wind' nel 1973. Negli Stati Uniti, dove
'Bennie And The Jets' era frequentemente trasmessa alla radio di musica
R&B, su rilasciata al posto di 'Candle In The Wind', e giustificò
la fiducia mostrata in essa diventando il terzo singolo di Elton ad
aver venduto un milione di copie e il suo secondo singolo oro in sei
mesi. Nel libretto di 'To Be Continued', Elton confessava: "To this
day, I don't see that as a hit record. We decided to put it out because
it was the Number One black record in Detroit. Being R&B lovers and
big black music fans, that got to our ego; it was our first record that
ever got in the R&B charts".
Quattro singoli maggiori, ma c'era
molto di più: l'enigmatica 'This Song Has No Title' (con Elton alle
prese con diverse tastiere senza nessun altro musicista) sembra essere
nello stile di grandi cantanti/compositori americani come David Ackles
o Randy Newman, mentre 'Grey Seal' sembra piuttosto richiamare alla
mente il lavoro di Jimmy Webb (sebbene né l'una né l'altra siano
plagiarie). Elton disse: "'Grey Seal' is another (lyric I don't really
understand). Actually, it's one of my favourite songs. Bernie hates
that lyric, but I like it because of the mixture of music and lyrics
which is kind of Procol Harum - ish absurd, like a Dali painting".
'Jamaica Jerk - Off' é una divertente pastiche reggae che viene
attribuita a Reggae Dwight e Toots Taupin (Toots Hibbert & The
Maytals erano una rilevante coppia reggae degli Anni '70), e 'Your
Sister Can't Dance (But She Can Rock & Roll)' fu forse ancora
un'altra canzone che influenzò Jim Steinman quando scrisse 'Paradise By
The Dashboard Light', un'altra traccia nell'album di Meat Loaf 'Bat Out
Of Hell'. Ci sono molte altre canzoni rilevanti in questo album, ma
sorprendentemente, l'unica canzone di qui inclusa nel tribute album
'Two Rooms' fu 'Saturday Night's Alright For Fighting', la quale fu
coverizzata dagli Who, il cantante dei quali, Roger Daltrey, disse che
era una scelta ovvia registrarla, per il suo gruppo. 'Goodbye Yellow
Brick Road' raggiunse la vetta della classifica inglese degli LP alla
fine del 1973, nel corso di una permanenza di 21 mesi, mentre raggiunse
la vetta della classifica statunitense per due mesi della sua
permanenza di quasi due anni nella 'Billboard' Top 200 e fu un grande
raggiungimento sia artisticamente che commercialmente parlando. Quasi
certamente esso si qualifica per un multiplo award platino, ma é
classificato solo come oro perché gli awards platino non furono
introdotti fino al 1976, tre anni dopo che fu distribuito.
John Tobler, 1995
traduzione di Pierluca Turnone, 2008
|
dalla De Luxe edition
La storia del rock é piena di nomi di vecchie star svanite in una
relativa oscurità, per mezzo della morte (Elvis Presley é l'esempio più
ovvio) oppure perché i gusti volubili del pubblico si sono spostati
verso qualche nuovo fenomeno. La longevità come rockstar é il Santo
Graal che solo in pochi hanno maneggiato, ma un artista che é stato
capace di mantenere la sua popolarità per più di tre decenni é Sir
Elton John.
Anche se questo non é il posto giusto per un
dettagliato elenco delle sue qualità (non ultimo perché egli appare sui
giornali così regolarmente), si ritiene normalmente che il suo primo
album doppio ('Goodbye Yellow Brick Road', distribuito nell'ottobre del
1973) sia stato una delle principali pietre miliari nella sua illustre
carriera. Il primo LP doppio di Elton fu registrato allo Chateau
d'Hierouville (Francia) ancor prima, in quell'anno, sebbene questa non
fosse stata l'originale intenzione di John. Come egli scrisse nel
librettino che accompagnava il suo boxed set di quattro CD, 'To Be
Continued...': "Dissi 'I Rolling Stones hanno appena fatto Goat's Head
Soup in Giamaica, andiamo lì'". Ma Kingston (Giamaica) era assai
differente dai Kingstons britannici dove Elton era probabilmente
apparso con i Bluesology, negli anni Sessanta, e né l'ambiente (Elton
& Co. lo trovavano ostile) né l'attrezzatura per la registrazione
(fuori moda) erano all'altezza per buttar giù qualcosa. L'atmosfera era
ugualmente importante - nel giorno in cui Elton (con Bernie Taupin,
Davey Johnstone, Dee Murray, Nigel Olsson e il produttore Gus Dudgeon)
arrivò a Kingston era quello successivo all'importante incontro di boxe
fra Joe Frazier e Muhammad Ali, e la città era colma di gente. In
Giamaica fu registrata solo una canzone (ma essa probabilmente non
vedrà mai la luce del giorno): una versione frenetica di 'Saturday
Night's Alright For Fighting', la quale, Elton osservò, 'suonava come
se fosse stata registrata nella peggiore radio transistor". Bernie
Taupin richiamò alla mente: "Se ricordo bene, lo studio era circondato
dal filo spinato e c'erano individui con addosso delle mitragliatrici",
e Elton notò poi: "Avevo paura di uscire dalla stanza dell'hotel,
perché Kingston in centro era abbastanza paurosa".
Comunque,
questo soggiorno forzato rese Elton capace di comporre la musica di
buona parte dell'album: "La maggior parte di quelle canzoni furono
scritte in due o tre giorni nella mia stanza d'hotel su un pianoforte
elettrico". Dopo il disastro di 'Saturday Night's Alright For
Fighting', doveva essere fatto qualcosa per recuperare la situazione.
Il luogo più ovvio era il famoso 'honky chateau', che inizialmente non
era stato disponibile a causa di problemi legali concernenti il
possesso dello studio, il quale era risultato chiuso per affari a tempo
indeterminato. Elton aveva considerato di registrare ancora lì, non
ultimo perché i suoi due album precedenti, 'Honky Chateau' e 'Don't
Shoot Me, I'm Only The Piano Player', erano stati registrati in quel
posto e avevano avuto un grandissimo successo, raggiungendo per sette
settimane in tutto la vetta della classifica statunitense; quindi una
terza spedizione non fu scartata - fino alla disputa sulla proprietà.
Fortunatamente per tutti gli interessati, quando Elton & Co.
tornarono dalla Giamaica alla relativa sicurezza di New York, appresero
che, dopotutto, sarebbero potuti ritornare allo Chateau.
Siccome
gran parte del lavoro preparatorio dei brani era già stato fatto,
mettersi direttamente d'impegno a lavorare allo Chateau fu
relativamente semplice, e in dodici giorni furono registrate non meno
di 21 tracce. Di queste, 17 furono utilizzate nel doppio album, e tre
delle altre furono poi utilizzate come B-sides di singoli nel corso
dell'anno. Inizialmente, Elton diceva di essere infelice all'idea di un
doppio album, poiché riteneva che i suoi fans avrebbero potuto
considerarlo troppo caro, ma quando il potenziale dei 17 brani divenne
evidente, egli acconsentì alla sua distribuzione. Comunque, né la DJM,
l'etichetta discografica britannica di Elton, né la sua etichetta
americana, la MCA, trattarono 'Goodbye Yellow Brick Road' come due LP
differenti, nel momento in cui contarono quanti più album di Elton
avrebbero potuto richiedere contrattualmente prima che egli avesse
adempiuto alle sue obbligazioni.
L'album includeva quattro
maggiori singoli da hit. In entrambe le parti dell'Atlantico, il primo
singolo (che apparve quattro mesi prima dell'album) fu 'Saturday
Night's Alright For Fighting', il quale raggiunse la Top 10 britannica,
ma si spinse appena fuori la Top 10 statunitense. Conscio di
un'inclinazione americana in molti dei suoi testi, Bernie Taupin decise
di scrivere un inno rock'n'roll totalmente inglese, e, ammirevolmente,
ebbe successo, al punto che Elton esegue ancora oggi il brano in
concerto; esso é diventato un'inclusione obbligatoria nella set-list
dei suoi live, non ultimo perché é una delle hits più veloci nel
repertorio di Elton. Quando, nel 1991, fu distribuito 'Two Rooms', il
tribute album delle maggiori star (le quali registrarono le loro
versioni delle hits di Elton & Bernie), gli Who scelsero 'Saturday
Night's Alright For Fighting'. Il cantante Roger Daltrey commentò di
essere sorpreso di come poche canzoni firmate John/Taupin fossero
rockettare. Il retro del singolo comprendeva due tracce, 'Jack Rabbit'
e 'Whenever You're Ready (We'll Go Steady Again)', registrate durante
le sessions dell'album ma omesse dalla selezione finale di 17 tracce.
Il
secondo singolo era la title-track dell'album, che negli Stati Uniti
vendette oltre un milione di copie e si spinse fino alla posizione
Numero Due, mentre nel Regno Unito essa raggiunse la Top 10. Rimane un
altro item regolarmente eseguito live, non ultimo per le sue immagini
che portano immediatamente alla mente Judy Garland, Dorothy nel
classico film 'Il Mago di Oz', ma ai fatti é quasi un lamento ai primi
anni di Taupin, prima che la fama internazionale cambiasse per sempre
la sua vita. Il sontuoso arrangiamento orchestrale di Del Newman
aggiungeva alla registrazione uno splendore ancor più impressionante.
Ancora una volta, una traccia, registrata durante le sessions
dell'album ma considerata un'eccedenza ai requisiti, fu utilizzata come
B-side, ma questo provocò anche un'insignificante controversia; la
canzone era intitolata 'Screw You', e fu distribuita come tale in Gran
Bretagna, ma negli Stati Uniti fu ritenuto che un tale titolo forse
potesse recare offesa, ed esso venne cambiato in 'Young Man's Blues'.
Per
il terzo singolo estratto dall'album furono scelte canzoni differenti
in Gran Bretagna e in America. La scelta britannica fu 'Candle In The
Wind', che si spinse appena fuori la Top 10 inglese. Fu una storia
molto diversa negli Stati Uniti, dove la scelta fu 'Bennie And The
Jets', nei fatti la B-side di 'Candle In The Wind' in Gran Bretagna.
Secondo
Bernie Taupin, 'Candle In The Wind' é più sul malinteso che
specificatamente su Marylin Monroe. Naturalmente, dall'estate del 1997,
essa sarà associata per sempre alla morte della Principessa Diana,
un'altra icona femminile del XX secolo che pure morì davvero troppo
giovane. La versione originale mette in evidenza uno dei testi più
osservati - se acritici - di Taupin e una performance di compassione
lievemente discreta da parte di Elton. Come 45'' britannico, si spinse
appena fuori la Top 10 nel 1974, ma negli Stati Uniti la più famosa di
tutte le canzoni di Elton non fu distribuita come singolo fino agli
anni Ottanta, e poi in un'altra versione (estratta dall'album 'Live In
Australia'). La versione live, nella quale Elton era sostenuto dalla
'Melbourne Symphony Orchestra', fu una hit nel tardo 1987 nella Top 10
degli Stati Uniti e ai primi del 1988 nel Regno Unito. Il rifacimento
del 1997, che raggiunse la vetta delle classifiche in tutto il mondo,
divenne il singolo più venduto di tutti i tempi, e raramente una
singola canzone può aver non semplicemente catturato l'umore del
pubblico, ma effettivamente espresso i sentimenti di così tante persone
in maniera chiara.
Per contro, 'Bennie And The Jets' sembrava
una scelta molto inverosimile come singolo statunitense, ma fu scelta a
causa della sua immensa popolarità su WJLB, una stazione radio di
Detroit di musica nera (R&B), dove a un certo punto l'80% delle
richieste ricevute erano per questa traccia alquanto atipica, che
trattava la strana storia di una star heavy metal di sesso femminile
(presumibilmente inventata) in un completo di mohair con ''stivali
elettrici''. Negli USA si sparse rapidamente interesse, e alla fine il
singolo vendette oltre un milione di copie e raggiunse la vetta della
US singles chart ai primi del 1974. Essa fu rilasciata come A-side di
un singolo britannico nel 1976, quando Elton aveva lasciato la DJM
Records, ma anche in questa maniera il brano raggiunse la Top 40. La
B-side del singolo (il quale raggiunse la vetta della classifica
statunitense) era la traccia finale dell'album, 'Harmony', ovvio
tributo, musicale e vocale, agli eroi musicali di Elton (i Beach Boys).
Anche
con una tale sovrabbondanza di ricchezza, come quattro grandi singoli
da hit, 'Goodbye Yellow Brick Road' includeva ancora altri momenti
salienti, non ultima la traccia d'apertura lunga 11 minuti e più,
'Funeral For A Friend (Love Lies Bleeding)'. Il lungo strumentale
d'apertura ('Funeral For A Friend') era chiaramente il risultato di
un'ispirazione che il produttore Gus Dudgeon procurò ad Elton: "Gus
aveva sempre detto che avrei fatto uno strumentale, e un giorno ero
davvero giù di morale e mi dissi: 'Che tipo di musica vorrei sentire al
mio funerale?'. Mi é sempre piaciuta la musica dei funerali; mi piace
la musica molto triste, di ogni tipo".
Il sontuoso
sintetizzatore ARP del tecnico David Hentschel fornisce colore mentre
'Funeral...' avanza senza fatica e senza giunzioni attraverso diverse
parti stilisticamente disparate, prima di svilupparsi nel rock
insistente di 'Love Lies Bleeding', un chiaro addio a una precedente
amante. Questa epopea in due parti non diventa mai noiosa malgrado la
sua considerevole lunghezza.
Delle altre undici canzoni
dell'album, 'Grey Seal' era apparsa in precedenza nel 1970, come B-side
dello sfortunato singolo 'Rock & Roll Madonna', mentre 'Jamaica
Jerk-Off', accreditata all'improbabile accoppiata Reggae Dwight &
Toots Taupin, é un primo tentativo (vagamente osceno) di approccio
all'innocente reggae, eseguito con buon senso dell'umorismo e ovvia
affezione per il genere. Le intromissioni vocali sono accreditate a uno
dei Prince Rhino, la reale identità del quale resta un mistero.
'The
Ballad Of Danny Bailey (1909-34)' ritrova Bernie Taupin a tornare alla
sua amata ispirazione oldamericana (come all'epoca di 'Tumbleweed
Connection', tre anni e diversi album prima) in una storia ammonitrice
della prematura morte di un contrabbandiere del Kentucky. L'epoca sono
gli anni Trenta, piuttosto che i giorni di Jesse James e del selvaggio
West, ma il tema alla Robin Hood dell'eroico rinnegato persiste.
Introdotto da un pianoforte 'Dragnet', il 'Dillinger' menzionato fu il
Nemico Pubblico n°1 ufficiale dell'FBI per alcuni anni, durante la
Grande Depressione, ma fu giudicato dalla stampa e dal pubblico nella
stessa maniera di qualcuno che fosse, per dirla con le parole della
canzone 'Robin Hood' (un singolo ironicamente, nel 1956, nella Top 10
britannica per Dick James, fondatore e proprietario della DJM Records),
"temuto dal cattivo, amato dal buono". La parte finale della canzone é
strumentale, mettendo l'arrangiatore Del Newman al centro
dell'attenzione.
E' inappropriato (non ultimo per ragioni di
spazio) descrivere ogni brano in questo doppio album, un classico in
modo assoluto, che raggiunse la posizione Numero Uno sia in Gran
Bretagna che negli Stati Uniti, passando dieci settimane in pole
position negli States e rimanendo di fatto nella classifica
statunitense per due anni, con due settimane al primo posto nel Regno
Unito durante un soggiorno in classifica di 21 mesi. Questo, come i
lettori possono aver dedotto, é un album non comune!
John Tobler, Washington, 2003
|
da Rolling Stone del 22 novembre 1973
These boys--singer/piano player Elton John,
librettist Bernie Taupin and producer Gus Dudgeon sure do relish their
fantasy. One evening last summer I found myself in a screening room in
Los Angeles with all of the above, plus the guitarist, the bass player
and the rest of the white-suited English retinue that follows Elton
around. The occasion was a command performance of American Graffitt,
George Lucas' dream-sequence film of a night of teenage life in a
California town in 1962. From the first scene on, watching the English
musicians watch the film was almost as much fun as the film itself;
their jaws collectively dropped in astonishment, as if they were
invited guests to a surprise glimpse of their own mythology. The
Americans were hushed and hissed down as they commented on the action.
These boys didn't want to miss a line. In a way it was touching.
Goodbye Yellow Brick Road is a massive double-record exposition
of unabashed fantasy, myth, wet dreams and cornball acts, an
overproduced array of musical portraits and hard rock & roll that
always threatens to founder, too fat to float, artistically doomed by
pretension but redeemed commercially by the presence of a couple of
brilliant tracks out of a possible 18.
Elton's and Bernie's fantasies are nothing new to the pop
aficionado. The earliest records regaled us with successful British
soft rock visions of the turbulent American Western myth--"Burn Down
the Mission" and others. Elton was a superb pop singer, wrote engaging
tunes to Taupin's interesting lyrics, and had a drummer, Nigel Olsson,
who could haul ass to work.
This new record is a big fruity pie that simply doesn't bake. But,
oh lord, how it tries. Elton plays in front of a thoroughly
professional and creative instrumental group. Guitarist Davey Johnstone
was a rare find when he joined the band a while ago: The guitar lines
of the omnipresent AM hit "Saturday Night's Alright for Fighting" ably
testify to his power. Producer Dudgeon alternates tasteful and tricky
ideas with lank orchestrations that owe more to Richard Perry and
Mantovani than to music per se. By and large I can appreciate Bernie's
lyrics, though the hatred of women that pervades this cycle of songs is
awesome in its rancor--check the words to "Dirty Little Girl,"
that make the fabled Jagger-Richard demimonde sweethearts seem more
like Karen Carpenter.
The format of Goodbye Yellow Brick Road is straight
ultramodern British music hall revue, numerous and largely unconnected
musical tableaux accompanied by plenty of rock synthesized flash and
the inspection of the inner feelings of several different versions of
the Elton John persona.
So there's an eight-minute instrumental prologue featuring grandiose
and tasteless typhoon whooshings, booming ecclesiastic organ, some
stinging guitar that would be monumental if properly backlit but seems
out of context against a lot of bleating. That segues into "Love Lies
Bleeding," a rocker with a soaring, handsome chorus. "Candle in the
Wind" is the first heavy lyrical fantasy, the tune is prettily solemn
and unbelievably corny, a necrophiliac erection for Marilyn Monroe,
despite the disclaimer: "Goodbye Norma Jean/From the young man in the
22nd row/Who sees you as something more than sexual/More than just our
Marilyn Monroe." Oh, bullshit.
I like the end of the side, "Bennie and the Jets," a wimpy Sgt. Pepperish
number (even to the point of dubbed audience noise) about a mythical
rock & roll band. Elton's vocal is properly dramatic and funny too.
The title tune that starts side two is real wimpy too, dedicated to
some poor showbiz shlubbo who the boys say they're not going to have
anything to do with in the future.
"This Song Has No Title": and rightly so too; it stinks, from its
lyrics that sound like Robert W. Service on Stelazine to the tune that
comes over like one of Tom Paxton's fainting spells. "Jamaica Jerk Off"
is a dreadful sendup of ethnic reggae that does boast a good chorus.
But get back, honky cat. You're good, but on your best day
you'd be blown off the stage by Bob Marley and the Wailers, without
their amps. So, smile when you sing them songs.
"Grey Seal" is a fine fast number, episodic and brilliantly
produced, one of the few large-production numbers here that succeeds
all the way through. "I've Seen That Movie Too" is an excellent if
terribly bitter tune. This and "Candle in the Wind" are the slow
strengths of this set.
"Movie" is the first of five portraits of women that are almost
misanthropic in their anger. "Sweet Painted Lady" is a sudsy music hall
song dealing with that most hackneyed of images, the whore with the
heart of gold, "getting paid for being laid." Elton and Taupin have an
enormous repository of nerve just to record this; amazingly they get
away with it.
"All the Girls Love Alice": The boys find themselves in Stones
territory, writing about a rich 16-year-old Sapphic who dies young.
It's hard rock with a tender bridge, and stands with the stunning
"Saturday Night" as the best things to be heard here. (I've been trying
to figure if "Saturday Night" was written before or after the boys saw Graffiti.)
The fourth side runs downhill: "Roy Rogers" deals with middle-class
druggery--and isses its mark, the size of the-barn door, though Elton's
singing is great. "Social Disease" is just another song about being
drunk. "Harmony" ends the album on an ambiguous note, nothing special.
What are we going to do with Elton John? He can sing, play, emote
and lead a band, but he can't get organized. This would have made a
lovely, if slightly brittle, single P. But the best tunes are obscured
by drivel and peculiarly bad feelings. Not all fantasies are so rosy.
Ugly ones mar a nice guy's record.
STEPHEN DAVIS
|
da www.debaser.it
Elton John:
Goodbye Yellow Brick Road
Recensione
di: RingoStarfish, (05/10/2005)
Voto: * * * *
º
Dai più snobbato come una
sdolcinata checca con la paranoia dei
capelli e degli occhialoni, Elton John è in
realtà uno dei maggiori
artisti comparsi tra le hit parade degli ultimi 35 anni.
Soprattutto
durante il suo periodo d'oro, cioè il primo lustro dei '70,
quando
sfornava la media di due dischi all'anno riuscendo a spedirli entrambi
in cima alle classifiche di mezzo mondo, sir Reginald Wright
è stato
una delle realtà più felici del mainstream
moderno. Il talento di
questo bizzarro ometto genuinamente british sta nell'esser prima di
tutto un grande interprete, duttile ad ogni tipo di materiale. Anzi, la
pecca principale sta proprio nel suo essere un passepartout pop che, in
quanto tale, ha conseguito uno stile vocale piuttosto impersonale,
seppur difficilmente confondibile: i celebri vocalizzi e i falsetti
giovanili del nostro ad esempio sono diventati proverbiali per la loro
espressività e sensibilità al testo.
L'inseparabile piano è un altro
elemento tipico delle canzonette della nostra drag-queen: scanzonato,
suonato a volte con dolcezza, a volte con la ferocia da rock'n'roller
d'altri tempi, terribilmente profondo su ballate sempreverdi, evocativo
sui pezzi più semplici ma incredibilmente emozionante.
A seguire
Elton nelle sue continue peripezie discografiche c'è quasi
sempre il
suo paroliere di fiducia, il compagno d'adolescenza Bernie Taupin, un
Sancho Panza misogino e spiccio ma pieno d'immaginazione, che ha svolto
sempre con molta dignità il suo ruolo di Mogol della
situazione.
Dopo
un esordio scialbo e acerbo ("Empty Skies", 1969) i due daranno un
primo, notevole assaggio delle proprie qualità in "Elton
John" (1970),
capostipite di una serie ininterrotta di blockbuster (almeno fino al
flop devastante del doppio "Blue Moves", 1976). In pochi anni Elton
John, con una ottima band fissa alle spalle (Dee Murray al basso, Davey
Johnstone alle chitarre, Nigel Osson alla batteria) metterà
a ferro e
fuoco le top ten mondiali con infaticabile prolificità,
pubblicando
album ogni volta diversi, carichi della continua sfida di migliorarsi e
di stupire un pubblico sempre più entusiasta. Dall'amaro
"Madman Across
The Water"(1971) ai viaggi lungo la storia statunitense di "Tumbleweed
Connection"(1971), dalle gioie e dolori del giovane Elton di "Honky
Chateau"(1972) al bizzarro pastiche anni '50 di "Don't Shoot Me, I'm
Only The Piano Player"(1973).
In mezzo a questo periodo da vero
Re Mida, Reginald decise di superare se stesso con il primo album
doppio della carriera, il caleidoscopico "Goodbye Yellow Brick Road".
Concepito
come un diario aperto sul mondo di John & Taupin, una
collezione di
sentimenti e ricordi, il concept diventa sempre più il
collage sonoro
di una storia musicale, il curriculum di quel che questi due furboni
furono, fecero, provarono.
Dall'apertura con la suite progressive in due parti di "Love
Lies Bleeding/Funeral For A Friend"
veniamo accomodati sulle poltrone di uno spettacolo imponente, dove lo
scopo è cercare di accontentare tutti. Viene realizzato
così un
efficace bignami che fosse un altro artista sarebbe già un
greatest
hits bell'e confezionato. Dal toccante omaggio a Marilyn Monroe di "Candle
In The Wind", alla meravigliosa "Bennie And The
Jets",
azzeccatissimo racconto live di un gruppo di glam-rockers che affascina
i ragazzetti di quartiere, dalla title-track autobiografica sull'inizio
dell'età adulta fino alla pura poesia iniziatica di "This
Song Has No Title"
(titolo mitico), con Elton solo piano e voce lì a
incantarci. Come
dicevo ce n'è per tutti i gusti, dalle celebrazioni delle
prostitute ("Dirty Little Girl") e del vivere alla
giornata (la parodistica "Social Disease"), agli
amori saffici in vena di psychedelia ("All The Girls Love
Alice") seguiti dal contagioso hard-rock di "Saturday
Night's Alright For Fighting".
Se
ho scelto di parlarvi proprio di questo album è proprio
perché è
sicuramente rappresentativo di ciò che Elton John
è e soprattutto è
stato. "Goodbye Yellow Brick Road" è la
perfetta introduzione al genio e alla mediocrità del caro sir,
simbolo (in modo complementare forse a Marc Bolan e pochi altri) di
cosa fosse vivere in quegli anni di romanzeschi eccessi e di
creatività
incontrollata, dove si poteva improvvisarsi senza pudori rasta-men
d'esperienza ("Jamaica Jerk-Off"), solo
perché si era andati in vacanza "ispiratrice" a Kingston ("beh
c'erano già stati i Rolling Stones" ,
spiegò) o inventarsi balli r'n'r mutanti con tanto di
musichette circensi ("Your Sister Can't Twist But She Can
Rock'n'Roll").
Se
riuscirete ad apprezzare l'opera, ovviamente ridimensionandola ad un
piacevole giocattolo melodico, potrete rivalutare anche
l'eredità che
ci ha lasciato questo simpatico e goffo principino decaduto del pop. E
magari, scansando una marea di canzoni insulse e inspiegabili che
disseminano una discografia fin troppo pingue (come il padrone),
potrete imbattervi in veri gioielli (praticamente quasi l'intera
produzione '70-'75) da ascoltare e riascoltare con stima, pochi
pregiudizi e molta godibile passione.
|
da Ciao 2001 del
1973
IL NUOVO LP: GOODBYE YELLOW
BRICK ROAD
Per oltre sei mesi ai primi
posti delle nostre classifiche dei 33 con Don’t shoot me,
I’m only the
piano player e dei 45 con Crocodile Rock e Daniel, Elton John
è
in questo momento il cantante straniero più popolare in
Italia.
Messa da parte l’etichetta di “traditore”
per aver mancato due volte all’appuntamento
promesso dagli organizzatori italiani, Elton è finalmente
venuto
lo scorso aprile a rafforzare la sua fama, e molto probabilmente
tornerà
ancora in dicembre. Il nuovo album, il suo primo doppio, sta
entrando
prepotentemente nelle graduatorie di vendita. Doveva essere
l’album
giamaicano del cantautore, così come Goat’s head
soup lo è
stato per i Rolling Stones e The foreigner per Cat Stevens.
Viceversa
Elton, dopo aver trascorso qualche giorno nei Dynamic Studios
dell’isola
centroamericana , seguendo la moda, ne è rimasto
profondamente deluso.
E Goodbye yellow brick road è stato registrato ancora una
volta
negli Strawberry del castello di Herouville, e poi missato a
Londra.
Il parto artistico è però giamaicano.
Le canzoni sono
state composte al sole di Kingston, pare in soli tre giorni;
così
come per Honky Chateau e per Don’t Shoot Me, I’m
Only The Piano Player
Elton ne avrebbe impiegati appena due. “Arrivederci
strada di mattoni
gialli” è una raccolta eterogenea, capace di
fornire un po’ tutte
le immagini dell’eclettico pianista pazzo: le quattro
facciate non sembrano
perciò sprecate. Gli accompagnatori sono i soliti,
Gus Dudgeon
è il produttore, e Bernie Taupin l’inseparabile
paroliere.
Soltano Paul Buckmaster, l’arrangiatore, è stato
sostituito da un
altro nome popolare del campo, Del Newman (quello di Cat
Stevens).
Ma analizziamo uno per uno i diciassette titoli dell’LP.Si
apre con uno
strumentale condotto dalla voce glaciale del sintetizzatore ARP,
affidato
a David Hentschel e dall’orchestra: un adagio che rammenta
solenni marce
funebri: Funeral For A Friend che si sviluppa poi in una ballata tipica
e di atmosfera, Love Lies Bleeding; in chiusura un lirico assolo di
Davey
Johnstone, che come altrove libera il pianista dall’onere
della conduzione
strumentale. Candle In The Wind è dedicata a
Marilyn Monroe
(Norma Jean), figura emblematica che il rock decadente ha riscoperto
accanto
alle femmes fatales delle decadi precedenti – Marlene
Dietrich, Greta Garbo,
Jean Harlow, Laureen Bacall -. “Hollywood
creò una superstar
e il dolore è il prezzo che pagasti” canta
Elton. La prima
facciata si chiude con Bennie And The Jets, un brano dalle strane
figurazioni
ritmiche ripetute ossessivamente, con il cantante spesso in falsetto, e
qualche applauso fittizio aggiunto per sconosciuti motivi da
Dudgeon.
Il pezzo che da il titolo alla raccolta, Goodbye Yellow Brick Road
è
una ballata ritmata con il piano in bella evidenza. La
tastiera anche
nelle melodie più dolci acquista con Elton una sua
fisionomia particolare,
diviene uno strumento ritmico e percussivo, con una chiara predilezione
per il tocco breve, scattante, asciutto. Sono al contrario la
voce
o l’orchestra a stabilire la melodia. Uscito anche
su 45 giri, ripropone
il tradizionale dilemma di Elton: compositore eccellente o principe del
“muzak”, così come lo furono i Beatles
di Michelle? La successiva
This Song Has No Title vede Elton tutto da solo, impegnato al piano
acustico,
al mellotron, al piano elettrico e all’organo che ha sempre
odiato (diceva
che era troppo ingombrante e lui troppo pigro per imparare a suonarlo
seriamente.
Si tratta di una canzone vivace da cui traspare una malinconia velata
che
alla base di tutti i capolavori dell’artista, ultimo fra i
quali Daniel.
In Grey Seal si ascolta la forza ritmica dei suoi accompagnatori,
sovente
trascurati, e viceversa lucidi, efficaci, impeccabili. Un
pezzo immediato
di grande presa. Segue Jamaica Jerk-off, l’unico
ricordo vivo del
periodo giamaicano: un reggae naturalmente, compilato secondo le
formule
classiche del ballo isolano (ma il reggae già compariva nel
refraindi
Crocodile Rock, ricordate?) Per l’occasione Elton
ripesca il suo
vero nome e si firma, storpiandolo all’uopo, Reggae
Dwight. Un pezzo,
ovviamente, di poche pretese. In I’ve Seen That
Movie Too si torna
alla sottile tristezza di parecchi altri episodi del cantautore, e il
brano
sembra buttato giù con poca voglia, con
l’arrangiamento finale di
Newman smielato e senza mordente. La terza facciata si apre
con Sweet
Painted Lady un immagine del ruolo della prostituta, eseguito in stile
anni Quaranta con un sottile gusto old-fashioned che si continua nella
successiva The Ballad Of Danny Bailey (1909/34) sorta di cebrazione di
un personaggio alla Bonnie & Clyde. Con Dirty Little
Girl si
torna all’Elton ritmato e ripetitivo.
Migliore All The Girls
Love Alice in cui ci si allinea sulle posizioni più tipiche
di Don’t
Shoot Me. Da sottolineare l’impiego sempre efficace
e funzionale,
del sint: ancora una volta è l’ARP di
Hentschel. In questo
stesso brano compaiono il percussionista Ray Cooper e la
cantante
Kiki Dee, una degli artisti lanciati dalla Racket Records. Le
parole
sono intorno all’amore lesbico. Un altro testo
divertente è
quello di Your Sister Can’t Twist (But She Can
Rock’n’roll) un rock scatenato
tipo anni Cinquanta, sul modello di Crocodile Rock per intenderci, che
introduce la quarta facciata, la più ballabile di Goodbye
Yellow
Brick Road. Una musica spontanea, carica, violenta, su giri
armonici
collaudati da vent’anni e sempre avvincenti, se pure senza
ambizioni.
Saturday Night’s Alright For Fighting già un
successo su 45, è
un brano rock’n’roll, un brano che potrebbe essere
uscito dalle menti di
Mick Jagger e Keith Richard. Questa porzione
dell’album sembra la
vetrina degli omaggi, dopo gli Stones arriva Bob Dylan di My Back
Pages,
gustosamente rievocato, per non dire scopiazzato, in Roy Rogers, una
ballata
tra le cose migliori del 33. Social Disease è una
sorta di
Honky Cat capitolo secondo, con Davey al banjo e con tutte le
prerogative
e le gimmicks spettacolari di Elton: il ritmo sincopato, la voce in
falsetto,
l’honky tonk dietro l’angolo.
“Sono un esempio di malattia sociale”,
egli canta: e allude forse simbolicamente al rock fagocitato
dall’industria
della canzonetta? Infine Harmony, una melodia di stampo
classico
che chiude senza infamia ne lode un album tutto sommato positivo
Enzo Caffarelli
|
da Musica di Repubblica
del 25.03.04
Orchestre, Marilyn, gangster,
tv e lucciole: Elton al top della forma
Nel dvd allegato alla ristampa
si sente dire :"Goodbye Yellow Brick Road era il Pet Sounds di Elton
John,
il suo Sgt. Peppers". Niente di più vero. Fisicamente Elton
restò
nello chateau dove lui e la sua band avevano creato una specie di
comune,
ma con la testa sbarcò in America. Cantò della
"mitologia"
americana e i testi di Bernie Taupin gli fornivano spunti a
ripetizione:
i gangsters (The Ballad of Danny Bailey), il cinema (Candle in the
Wind),
la tv (Roy Rogers), la musica (Bennie & the Jets), il sesso
(Sweet
Painted Lady). Allora pareva un disco lungo, oggi fin troppo conciso.
Un
travolgente capitolo di storia del pop. Elton saltava come un capriolo
fra un accordo e l'altro. Invenzioni continue. C'è anche una
Candle
in the Wind per chitarra e voci da star male, e altri 3 inediti non da
poco. Altro?
Enrico Sisti
|
da http://www.musicboom.it (03/04/2004)
La strada di mattoni gialli
di Carlo "Cruel" Crudele
La collana americana di dvd che ripropone il making of dei cosiddetti “classic albums” ha molti pregi: tra essi, la rivalutazione di personaggi quali Paul Simon o Elton John,
che oggi sono poco in vista per una perdita di smalto ed un
imborghesimento fisiologici dopo tanti anni, ma di cui non bisognerebbe
mai dimenticare gli indubbi meriti.
Mr. John, per esempio:
oggi lo vedete piangere Lady D (e, in generale, qualunque deceduto di
fresco abbia indossato abiti griffati Versace) cucendogli addosso una Candle In The Wind stuprata più e più volte. Ma ieri Reg Dwight fu l’autore di album storici, Madman Across The Water su tutti (ne avete sentito uno dei pezzi migliori, Tiny Dancer, sul cult movie Quasi Famosi), ed è giusto e bello vedere il suo “white album” riportato per un’oretta ai fasti di cui malauguratamente non gode.
Goodbye Yellow Brick Road non è il miglior prodotto di Elton John, ma è sicuramente la summa del John-pensiero:
Elton John prototipo dell’attuale cantautore di canzoncine usa-e-getta,
quello che “se il pezzo non viene dopo il quarto o il quinto tentativo
butto via tutto”, ma anche l’illuminato esploratore della classica
sequenza II-V-I, che solo nelle sue mani riesce tuttora a reggere,
trenta e passa anni dopo.
Non c’è genialità in Elton John, né
peculiarità che ne rendano rapidamente identificabile la produzione: il
pianista del Middlesex (“io nasco come pianista, ho dovuto adattarmi a
cantare le mie canzoni quando ho visto che nessun altro voleva farlo”)
è un fast runner, che in questo dvd viene dipinto da amici e
collaboratori come un macinapezzi, un brano via l’altro registrati da
lui e dalla band praticamente in presa diretta nel bel castello
francese di Hierouville.
Ed è così che, sotto la attenta supervisione di Gus Dudgeon,
nasce Goodbye Yellow Brick Road, polpettone di ben diciassette brani in
cui non tutto è commestibile ma che di sicuro porta in dote pop melodies di altissima caratura quali Roy Rogers, Harmony, Sweet Painted Lady e quella Funeral For A Friend/Love Lies Bleeding che persino i Dream Theater omaggeranno quasi un ventennio più tardi.
E,
se i travestimenti e i parrucchini un po’ tristi di zio Reginald
possono dare l’idea di un impenitente sbruffone, l’Elton John di oggi
che rivive il periodo della strada dorata (“è inutile, fu un periodo
unico che non potrà più tornare”) è incredibilmente umile: minimizza
ciò che il documentario vorrebbe esaltare, dicendo che per lui il tutto
era una sorta di allegra e spensierata routine, nessuna metafisica ma
una prassi consolidata con Taupin che gli passava i testi e lui che ci scriveva sopra un pezzo. Laddove, in un analogo dvd a loro dedicato, U2 e compari si superano nell’autocelebrazione un po’ stantia del pur ottimo The Joshua Tree,
Elton John non fa mistero dei suoi metodi più che comuni, dei suoi
problemi di allora nella scomoda posizione di sex symbol al pianoforte
(“non puoi essere un sex symbol col pianoforte: immagina dover correre
per il palco con un attrezzo di 25 metri dietro”), ma anche
dell’attaccamento fisiologico allo strumento, quasi una coperta di
Linus che fa fatica a mollare quando sul palco c’è da fare carne di
porco con Saturday Night’s Alright For Fighting.
Prodighi di dettagli si dimostrano invece Gus Dudgeon, Davey Johnston e Nigel Olsson,
rispettivamente produttore, chitarrista e batterista della band di
supporto che allora accompagnava John sia in studio che sul palco: è la
parte migliore di questi documentari, dove vengono resi disponibili
piccoli aneddoti e trucchi di lavorazione che hanno fatto la
differenza. Dudgeon isola le tracce degli splendidi cori e parla del
pianoforte “chiuso” che usava John per le registrazioni, mentre il
vecchio Davey (che la vecchiaia ha reso, ahinoi, ancora più brutto di
quanto non fosse ai tempi) si esibisce in alcuni dei riffoni più
popolari contenuti nell’album.
C’è poi una bella pletora di agiografi improvvisati (Tim Rice, Rick Frio, il dj Pat Pipolo innamorato follemente di Bennie And The Jets, persino la presidentessa dell’Elton John Fans Club) e la testimonianza dell’esemplare arrangiatore Del Newman, senza cui probabilmente tracce come The Ballad Of Danny Bailey o la stessa Harmony non avrebbero avuto una tale austera risonanza.
Chiude il cerchio Bernie Taupin,
paroliere storico di John, anche lui con la sua mole di ricordi ed
analisi più o meno pertinenti ai testi dei diciassette brani.
Una bella commemorazione per Elton John
– che casca a pennello soprattutto oggi, con le sue azioni in calo
perenne da almeno un decennio – ma soprattutto un modo interessante di
ricordare Goodbye Yellow Brick Road. Che, con i suoi pregi ed i suoi
difetti, è indubitabilmente un evergreen da rispolverare.
|
da www.musicadalpianetaterra.net
di Mauro Ronconi
Il codice dell'esemplificazione del doppio livello del pop, quello
dell'integrità artistica e quello della potenzialità commerciale. In
bilico tra kitsch e make-up da vaudeville, Goodbye... è una fantastica
messinscena hollywoodiana di un pianista da piano-bar che gioca alla
pop-star ambigua, travestito con paillettes e lustrini, con occhialoni
mai visti e con trampoli da vertigine. Canzoni - quadro impegnate a
recuperare i resti di una mitologia comune, dal rock and roll agli eroi
di celluloide, rivisitate con poca nostalgia e tanta affettuosa
modernizzazione. Dalla voce di Reginaldo fioriscono immagini e sussurri
in un excursus da voyeur sofisticato: il volto fatato di Marylin Monroe
ed emozioni da B-movie, la perversione di Alice e i cowboy da serial Tv,
ricordi e donnine facili dall'ingenuità invitante, il reggae e la torch
song, il glam-rock e la grande orchestra. Tutto si abbraccia in una
musica incalzante, cronometrata e cesellata con precisione sul
sentimento, sino a trasfigurarsi in lontananza sulla `strada di sassi
gialli', portandosi via sogni e rimpianti. Dietro questa maschera
appariscente c'è un'anima triste e insicura, c'è un pianista di piano
bar che suona il rock and roll sino a sfinirsi, con l'ombra di Ingrid
Bergman che si avvicina e gli chiede quella vecchia canzone cosi carica
di nostalgia e cuori spezzati.
|
Elton John bridges the
gap between rock bands and solo acts. He could have gone in either
direction
but instead chose to go in both at the same time, throwing his version
of contemporary vaudeville in for good measure. He has already
out-distanced
his most pretentious pretender to the throne, David Bowie, as the best
of Britain's self-conscious pop stars. He often makes up in breadth
what
he lacks in depth, touching on many things with sophistication, but
rarely
getting to the bottom of any one of them. His voice is too limited to
do
justice to the variety of his material and he often unintentionally
levels
the differences between songs when he means to explore them.
Nonetheless,
taken a side at a time, the four-sided Goodbye Yellow Brick Road is
thoroughly
enjoyable, the rockers moving out with more gusto than those of many
bands
that work exclusively in that genre, the ballads exploring his and
lyricist
Bernie Taupin's romanticism without apology. The production (by Gus
Dudgeon)
and arrangement (by Del Newman) touches are almost always interesting
and
often engagingly excessive. In fact, no matter how far afield he
wanders,
I always know Elton John is a rocker because he's so damn
brazen.
John Landau, Rolling Stone,
06/06/74
|
A superb set from the
British artist who has not missed yet. As always, Elton John's keyboard
playing is superb, and his vocals range from the raucous rock he has
often
been associated with to extremely pretty ballad material. LP seems
fuller
in many ways than some previous efforts, with strong guitar work from
Davey
Johnstone and excellent background vocals from the entire group. John
seems
able to sing almost any type of material, from rock to county to
Jamaican-flavored
tunes, and this double set exposes this even more. As usual, fine words
from Bernie Taupin. Best cuts: "Goodbye Yellow Brick Road," "Grey
Seal,"
"I've Seen That Movie Too," "The Ballad Of Danny Bailey (1909-34),"
"Dirty
Little Girl."
Billboard, 1973
|
After many fumbles and
a great many more near-misses, Elton John is back and stronger than
he's
been on record in many a blue moon. This lush two record set moves from
mood to mood with no apparent effort and a great sense of timing, class
and style. I've never been one of the people who found "Rocket Man" (a
"Space Oddity" rip-off no matter what anybody says) or "Daniel" as
fulfilling
as "Your Song," "I Need You To Turn To" or "Border Song." So, as the
years
passed and the man became more and more flamboyant, I kept thinking his
music was really suffering from all this adulation. But Elton finally
has
met his original potential and whether he's singing the delicate and
beautiful
"Goodbye Yellow Brick Road" or rocking out to "Your Sister Can't Twist
(But She can Rock n' Roll)" he always hits the mark rather than scoring
a near miss. Bernie Taupin is pursuing the many facets of a dying
Hollywood,
much in the style Ray Davies did on the Kink's Everybody's In Showbiz
epic,
and in many songs, especially "Roy Rogers," he's sentimental and
sensitive
without ever slipping into that dangerous songwriter's trap of
banality.
"You draw to the curtains/And one thing's for certain/You're cozy in
your
little room/The carpet's all paid for/God bless the T.V./Let's go shoot
a hole in the moon," Elton sings. When you are not forced to look at
Mr.
John's ridiculous get-ups it's easy to believe in him once more.
Harmony"
is a change of pace number. Haunting and subtle it has great
mid-sixties
three-part harmony (natch) with backup vocals compliments of Davey
Johnstone
and Nigel Olsson. The song sounds as if it might have been recorded for
the first or second Bee Gee's LP, way back when they were a great band.
"Harmony" may never be a single but it's a star track and a perfect end
for a near perfect album.
Janis Schacht, Circus,
01/74
|
da All Music Guide
Goodbye Yellow Brick Road was where Elton John's
personality began to gather more attention than his music, as it topped
the American charts for eight straight weeks. In many ways, the double
album was a recap of all the styles and sounds that made John
a star. Goodbye Yellow Brick Road is all over the map, beginning with
the prog rock epic "Funeral for a Friend (Love Lies Bleeding)" and
immediately careening into the balladry of "Candle in the Wind." For
the rest of the album, John
leaps between popcraft ("Bennie and the Jets"), ballads ("Goodbye
Yellow Brick Road"), hard rock ("Saturday Night's Alright for
Fighting"), novelties ("Jamaica Jerk-Off"), Bernie Taupin's
literary pretensions ("The Ballad of Danny Bailey"), and everything in
between. Though its diversity is impressive, the album doesn't hold
together very well. Even so, its individual moments are spectacular and
the glitzy, crowd-pleasing showmanship that fuels the album pretty much
defines what made Elton John a superstar in the early '70s.
Stephen Thomas Erlewine
|
anno/label |
1973 - DJM in UK, MCA in
USA |
produzione |
Gus
Dudgeon |
arrangiamenti orchestrali |
Del Newman |
studio |
Strawberry Studios, Heroville,
Francia |
musicisti |
Nigel
Olsson: batteria, congas, cori; Ray
Cooper:
percussioni; Dee Murray:
basso, cori; Davey
Johnstone: chitarre, cori; Leroy Gomez: sassofono; Dave
Hentschel:
sintetizzatore; Kiki Dee:
cori; Elton: piano, mellotron,
organo Farfisa |
note |
Ottimo album doppio che
consacrò Elton con una permanenza record nelle classifiche
Usa;
grandi canzoni, molte indimenticabili, peccato Del Newman che non
è certamente Paul Buckmaster;
Elton è al top della seconda fase della sua
carriera. |
|
|