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album I album secondari

Elton John - Goodbye Yellow Brick Road  (1973)

Acclamato da sempre come uno dei migliori e più famosi dischi di Elton John, Goodbye Yellow Brick Road fu il suo primo album doppio ad essere pubblicato.  Prendendo spunto dal doppio White Album dei Beatles, ma soprattutto dalle esigenze di contratto con la DJM che lo obbligavano a due dischi all'anno, Elton entrò in studio in Giamaica, sulla scia dei Rolling Stones, ma insormontabili problemi tecnici lo fecero ritornare in Francia, nel castello di Herouville, come per il precedente Honky Chateau.  Il successo di critica e pubblico fu enorme e l'album stazionò a lungo ai primi posti della classifica USA di Billboard lanciando definitivamente Elton come la più grande superstar musicale degli anni 70.



 

1) Funeral For A Friend*/Love Lies Bleeding
2) Candle In The Wind
3) Bennie And The Jets
4) Goodbye Yellow Brick Road
5) This Song Has No Title
6) Grey Seal
7) Jamaica Jerk Off
8) I've Seen That Movie Too
9) Sweet Painted Lady
10) The Ballad Of Danny Bailey (1909-34)
11) Dirty Little Girl
12) All The Girls Love Alice
13) Your Sister Can't Twist (But She Can Rock 'n' Roll)
14) Saturday Night's Alright (For Fighting)
15) Roy Rogers
16) Social Disease
17) Harmony
 

*  strumentale
 
 
   
 

classifiche
Stati Uniti:    1° posto (per 8 settimane)
Inghilterra:    1° posto (per 2 settimane)
Italia:    5° posto
 
 
 

dalla versione rimasterizzata

'Goodbye Yellow Brick Road' fu il primo album doppio di Elton John, sebbene in origine non fu, chiaramente, pianificato come tale; le sessions di registrazione, le quali ebbero ancora luogo presso lo Chateau d'Hierouville in Francia, furono così produttive, e i risultati così impressionanti, che persino lo stesso Elton (preoccupato dal fatto che i suoi fans avrebbero potuto trovare un pò eccessivo il prezzo di un doppio LP), alla fine, fu convinto del fatto che distribuirlo in questa forma fosse la cosa giusta da fare. Anche allora furono registrate diverse tracce extra, durante o non molto dopo le sessions dell'album, e queste sono incluse come registrazioni bonus nella ristampa rimasterizzata di 'Don't Shoot Me, I'm Only The Piano Player'. 'Jack Rabbit' e 'Whenever You're Ready (We'll Go Steady Again)' furono distribuite con il singolo 'Saturday Night's Alright For Fighting', e 'Screw You' era la B - side del singolo 'Goodbye Yellow Brick Road' (anche se fu reintitolato 'Young Man Blues' per i delicati palati americani).
Sia 'Honky Chateau' che 'Don't Shoot Me, I'm Only The Piano Player' erano stati registrati allo Chateau d'Hierouville, e il progetto originario di 'Goodbye Yellow Brick Road' era stato quello di registrare in un sito ancora più esotico. Come Elton richiamò alla mente nel libretto che accompagnava 'To Be Continued' boxed set: "I said 'The Rolling Stoneshave just done "Goat's Head Soup' in Jamaica, let's go there'. We arrived, I think, the day after the George Foreman - Joe Frazier fight, and the place was swarming with people. I was afraid to go out of the (hotel) room, because it was pretty funky in downtown Kingston, and most of those songs were written in two or three days in my hotel room on an electric piano. When we actually got into the studio, the only thing thing recorded was a really frantic version of 'Saturday Night's Alright For Fighting'; it sounded like it had been recorded on the worst transistor radio. We had so many problems with the studio..." Bernie Taupin confermò: "If I remember rightly, the studio was surrounded by barbed wire and there were guys with machine guns", ed Elton continuò: "After the playback, we panicked. We'd come all the way here at great expense - what are we going to do? Go back to The Chateau. The album itself was recorded in about 15 days. The Chateau wasn't the most technically wonderful studio, but there was something magical about it. We used to record three, four, five tracks a day. 'Saturday Night's Alright For Fighting' was the weirdest one. The only way we could record it in the end was for the band to play it and then I put the piano in and sang afterwards. The first time I'd ever recorded standing up, singing and leaping around the studio, going crazy. It was also hard because it's not a typical piano number".
'Saturday Night's Alright' fu la prima traccia proveniente da queste sessions a diventare un singolo da hit, e fu un successo immediato, raggiungendo la Top 10 britannica e la Top 20 statunitense, cosa inusuale - di solito molti successi di Elton, durante gli Anni '70, furono più grandi in America che in Gran Bretagna, ma una spiegazione per questa dissidenza potrebbe essere stata il fatto che la canzone era molto inglese, e rifletteva gli anni adolescenziali di Bernie Taupin nel Lincolnshire. E' citato nel libro di Philip Norman "Elton - The Definitive Biography" mentre dice: "I'd started to feel I was writing too much about American culture and American things. 'Saturday Night' was my first attempt to write a rock'n'roll song that was totally English". La sua britannicità era ovviamente relativa al testo, ma anche musicalmente il brano suonava un pò Rolling Stones, ed é diventato un forte cavallo di battaglia come festa scatenata da mettere in scena. Il secondo singolo dell'album, la title - track, fu anche una hit nella Top 10 del Regno Unito, e fu trasmessa alla radio americana fino alla morte, al punto che non riuscì per un soffio a diventare il secondo singolo dell'anno di Elton al Numero Uno in America (dopo 'Crocodile Rock', dall'album 'Don't Shoot Me, I'm Only The Piano Player'), sebbene abbia venduto un milione di copie, a tal punto di far guadagnare ad Elton il suo secondo singolo oro. Usando ovviamente le familiari immagini del classico film di Judy Garland 'Il Mago di Oz', la canzone era tanto un lamento quanto una celebrazione: a quell'ora, Bernie aveva conosciuto l'alta società della quale aveva sognato, e apparentemente la trovò meno soddisfacente di quanto di fosse aspettato. Questo brano rimane una pietra miliare nella carriera di Elton, completata dall'arrangiamento orchestrale di Del Newman, del tutto appropriato.
Nessuna di queste maggiori hits apriva l'album; la prima traccia, 'Funeral For A Friend', era uno straordinario strumentale, con il tecnico David Hentschel a suonare il sintetizzatore e la chitarra di Davey Johnstone altresì notevole. Sembrano esserci influenze wagneriane in questo brano, simili a quelle che interessavano Jim Steinman mentre era in procinto di produrre 'Bat Out Of Hell' uno o due anni dopo, ed é interessante notare che poi Davey Johnstone suonò nella band di sostegno di Meat Loaf... Dopo il lungo strumentale, la seconda parte del brano, lungo 11 minuti e più, é 'Love Lies Bleeding', una canzone apparentemente rispecchiante la fine di un romanzo. Ancora più forte in termini commerciali era la traccia che seguiva, 'Candle in The Wind', apparentemente un delicato tributo a Marilyn Monroe. Nel libretto del 'To Be Continued...' boxed set, Elton sostiene che essa ha rimpiazzato 'Your Song' come composizione più popolare del duo John/Taupin, sebbene non fosse una delle canzoni coverizzate nel progetto del tribute album di star 'Two Rooms'. Il motivo di ciò potrebbe essere questo: essa era stata doppiamente una hit per Elton - inizialmente nel 1974, quando fu un'importante hit nel Regno Unito, e ancora nel 1987/8, quando fu scelta dall'album 'Live In Australia' e raggiunse la Top 10 in entrambele parti dell'Atlantico. Sempre nel libretto di 'To Be Continued', Bernie Taupin rifletteva: "The 'Candle In The Wind' thing with Marilyn Monroe was blown out of proportion because it turned everyone into thinking I was this Marilyn fanatic, but it wasn't necessarily a homage to her, it was more about misuranderstanding, and I've said that song could have been about James Dean" (presumibilmente anziché Norma Jean). Potrebbe anche rivolgersi alla cantante Sandy Denny (facente parte un tempo della Fairport Convention), che coverizzò la canzone in uno dei suoi album da solista, prima di morire in maniera ugualmente tragica all'inizio dei suoi trent'anni nel 1978.
Se 'Candle In The Wind' era una canzone particolarmente compassionevole, 'Bennie And The Jets', che seguiva nell'album 'Yellow Brick Road', era pura fantasia - ma raggiunse la vetta della classifica statunitense dei singoli. Un sobbalzante ritmo accompagnava la vicenda di un'immaginaria rockstar di sesso femminile in un completo di mohair e con 'electric boots' (stivali elettrici). Non fu rilasciata come A - side di un singolo britannico fino al 1976, dopo che Elton aveva lasciato la DJM Records, sebbene essa era stata la B - side di 'Candle In The Wind' nel 1973. Negli Stati Uniti, dove 'Bennie And The Jets' era frequentemente trasmessa alla radio di musica R&B, su rilasciata al posto di 'Candle In The Wind', e giustificò la fiducia mostrata in essa diventando il terzo singolo di Elton ad aver venduto un milione di copie e il suo secondo singolo oro in sei mesi. Nel libretto di 'To Be Continued', Elton confessava: "To this day, I don't see that as a hit record. We decided to put it out because it was the Number One black record in Detroit. Being R&B lovers and big black music fans, that got to our ego; it was our first record that ever got in the R&B charts".
Quattro singoli maggiori, ma c'era molto di più: l'enigmatica 'This Song Has No Title' (con Elton alle prese con diverse tastiere senza nessun altro musicista) sembra essere nello stile di grandi cantanti/compositori americani come David Ackles o Randy Newman, mentre 'Grey Seal' sembra piuttosto richiamare alla mente il lavoro di Jimmy Webb (sebbene né l'una né l'altra siano plagiarie). Elton disse: "'Grey Seal' is another (lyric I don't really understand). Actually, it's one of my favourite songs. Bernie hates that lyric, but I like it because of the mixture of music and lyrics which is kind of Procol Harum - ish absurd, like a Dali painting". 'Jamaica Jerk - Off' é una divertente pastiche reggae che viene attribuita a Reggae Dwight e Toots Taupin (Toots Hibbert & The Maytals erano una rilevante coppia reggae degli Anni '70), e 'Your Sister Can't Dance (But She Can Rock & Roll)' fu forse ancora un'altra canzone che influenzò Jim Steinman quando scrisse 'Paradise By The Dashboard Light', un'altra traccia nell'album di Meat Loaf 'Bat Out Of Hell'. Ci sono molte altre canzoni rilevanti in questo album, ma sorprendentemente, l'unica canzone di qui inclusa nel tribute album 'Two Rooms' fu 'Saturday Night's Alright For Fighting', la quale fu coverizzata dagli Who, il cantante dei quali, Roger Daltrey, disse che era una scelta ovvia registrarla, per il suo gruppo. 'Goodbye Yellow Brick Road' raggiunse la vetta della classifica inglese degli LP alla fine del 1973, nel corso di una permanenza di 21 mesi, mentre raggiunse la vetta della classifica statunitense per due mesi della sua permanenza di quasi due anni nella 'Billboard' Top 200 e fu un grande raggiungimento sia artisticamente che commercialmente parlando. Quasi certamente esso si qualifica per un multiplo award platino, ma é classificato solo come oro perché gli awards platino non furono introdotti fino al 1976, tre anni dopo che fu distribuito.


John Tobler, 1995
traduzione di Pierluca Turnone, 2008


dalla De Luxe edition

La storia del rock é piena di nomi di vecchie star svanite in una relativa oscurità, per mezzo della morte (Elvis Presley é l'esempio più ovvio) oppure perché i gusti volubili del pubblico si sono spostati verso qualche nuovo fenomeno. La longevità come rockstar é il Santo Graal che solo in pochi hanno maneggiato, ma un artista che é stato capace di mantenere la sua popolarità per più di tre decenni é Sir Elton John.

Anche se questo non é il posto giusto per un dettagliato elenco delle sue qualità (non ultimo perché egli appare sui giornali così regolarmente), si ritiene normalmente che il suo primo album doppio ('Goodbye Yellow Brick Road', distribuito nell'ottobre del 1973) sia stato una delle principali pietre miliari nella sua illustre carriera. Il primo LP doppio di Elton fu registrato allo Chateau d'Hierouville (Francia) ancor prima, in quell'anno, sebbene questa non fosse stata l'originale intenzione di John. Come egli scrisse nel librettino che accompagnava il suo boxed set di quattro CD, 'To Be Continued...': "Dissi 'I Rolling Stones hanno appena fatto Goat's Head Soup in Giamaica, andiamo lì'". Ma Kingston (Giamaica) era assai differente dai Kingstons britannici dove Elton era probabilmente apparso con i Bluesology, negli anni Sessanta, e né l'ambiente (Elton & Co. lo trovavano ostile) né l'attrezzatura per la registrazione (fuori moda) erano all'altezza per buttar giù qualcosa. L'atmosfera era ugualmente importante - nel giorno in cui Elton (con Bernie Taupin, Davey Johnstone, Dee Murray, Nigel Olsson e il produttore Gus Dudgeon) arrivò a Kingston era quello successivo all'importante incontro di boxe fra Joe Frazier e Muhammad Ali, e la città era colma di gente. In Giamaica fu registrata solo una canzone (ma essa probabilmente non vedrà mai la luce del giorno): una versione frenetica di 'Saturday Night's Alright For Fighting', la quale, Elton osservò, 'suonava come se fosse stata registrata nella peggiore radio transistor". Bernie Taupin richiamò alla mente: "Se ricordo bene, lo studio era circondato dal filo spinato e c'erano individui con addosso delle mitragliatrici", e Elton notò poi: "Avevo paura di uscire dalla stanza dell'hotel, perché Kingston in centro era abbastanza paurosa".

Comunque, questo soggiorno forzato rese Elton capace di comporre la musica di buona parte dell'album: "La maggior parte di quelle canzoni furono scritte in due o tre giorni nella mia stanza d'hotel su un pianoforte elettrico". Dopo il disastro di 'Saturday Night's Alright For Fighting', doveva essere fatto qualcosa per recuperare la situazione. Il luogo più ovvio era il famoso 'honky chateau', che inizialmente non era stato disponibile a causa di problemi legali concernenti il possesso dello studio, il quale era risultato chiuso per affari a tempo indeterminato. Elton aveva considerato di registrare ancora lì, non ultimo perché i suoi due album precedenti, 'Honky Chateau' e 'Don't Shoot Me, I'm Only The Piano Player', erano stati registrati in quel posto e avevano avuto un grandissimo successo, raggiungendo per sette settimane in tutto la vetta della classifica statunitense; quindi una terza spedizione non fu scartata - fino alla disputa sulla proprietà. Fortunatamente per tutti gli interessati, quando Elton & Co. tornarono dalla Giamaica alla relativa sicurezza di New York, appresero che, dopotutto, sarebbero potuti ritornare allo Chateau.

Siccome gran parte del lavoro preparatorio dei brani era già stato fatto, mettersi direttamente d'impegno a lavorare allo Chateau fu relativamente semplice, e in dodici giorni furono registrate non meno di 21 tracce. Di queste, 17 furono utilizzate nel doppio album, e tre delle altre furono poi utilizzate come B-sides di singoli nel corso dell'anno. Inizialmente, Elton diceva di essere infelice all'idea di un doppio album, poiché riteneva che i suoi fans avrebbero potuto considerarlo troppo caro, ma quando il potenziale dei 17 brani divenne evidente, egli acconsentì alla sua distribuzione. Comunque, né la DJM, l'etichetta discografica britannica di Elton, né la sua etichetta americana, la MCA, trattarono 'Goodbye Yellow Brick Road' come due LP differenti, nel momento in cui contarono quanti più album di Elton avrebbero potuto richiedere contrattualmente prima che egli avesse adempiuto alle sue obbligazioni.

L'album includeva quattro maggiori singoli da hit. In entrambe le parti dell'Atlantico, il primo singolo (che apparve quattro mesi prima dell'album) fu 'Saturday Night's Alright For Fighting', il quale raggiunse la Top 10 britannica, ma si spinse appena fuori la Top 10 statunitense. Conscio di un'inclinazione americana in molti dei suoi testi, Bernie Taupin decise di scrivere un inno rock'n'roll totalmente inglese, e, ammirevolmente, ebbe successo, al punto che Elton esegue ancora oggi il brano in concerto; esso é diventato un'inclusione obbligatoria nella set-list dei suoi live, non ultimo perché é una delle hits più veloci nel repertorio di Elton. Quando, nel 1991, fu distribuito 'Two Rooms', il tribute album delle maggiori star (le quali registrarono le loro versioni delle hits di Elton & Bernie), gli Who scelsero 'Saturday Night's Alright For Fighting'. Il cantante Roger Daltrey commentò di essere sorpreso di come poche canzoni firmate John/Taupin fossero rockettare. Il retro del singolo comprendeva due tracce, 'Jack Rabbit' e 'Whenever You're Ready (We'll Go Steady Again)', registrate durante le sessions dell'album ma omesse dalla selezione finale di 17 tracce.

Il secondo singolo era la title-track dell'album, che negli Stati Uniti vendette oltre un milione di copie e si spinse fino alla posizione Numero Due, mentre nel Regno Unito essa raggiunse la Top 10. Rimane un altro item regolarmente eseguito live, non ultimo per le sue immagini che portano immediatamente alla mente Judy Garland, Dorothy nel classico film 'Il Mago di Oz', ma ai fatti é quasi un lamento ai primi anni di Taupin, prima che la fama internazionale cambiasse per sempre la sua vita. Il sontuoso arrangiamento orchestrale di Del Newman aggiungeva alla registrazione uno splendore ancor più impressionante. Ancora una volta, una traccia, registrata durante le sessions dell'album ma considerata un'eccedenza ai requisiti, fu utilizzata come B-side, ma questo provocò anche un'insignificante controversia; la canzone era intitolata 'Screw You', e fu distribuita come tale in Gran Bretagna, ma negli Stati Uniti fu ritenuto che un tale titolo forse potesse recare offesa, ed esso venne cambiato in 'Young Man's Blues'.

Per il terzo singolo estratto dall'album furono scelte canzoni differenti in Gran Bretagna e in America. La scelta britannica fu 'Candle In The Wind', che si spinse appena fuori la Top 10 inglese. Fu una storia molto diversa negli Stati Uniti, dove la scelta fu 'Bennie And The Jets', nei fatti la B-side di 'Candle In The Wind' in Gran Bretagna.

Secondo Bernie Taupin, 'Candle In The Wind' é più sul malinteso che specificatamente su Marylin Monroe. Naturalmente, dall'estate del 1997, essa sarà associata per sempre alla morte della Principessa Diana, un'altra icona femminile del XX secolo che pure morì davvero troppo giovane. La versione originale mette in evidenza uno dei testi più osservati - se acritici - di Taupin e una performance di compassione lievemente discreta da parte di Elton. Come 45'' britannico, si spinse appena fuori la Top 10 nel 1974, ma negli Stati Uniti la più famosa di tutte le canzoni di Elton non fu distribuita come singolo fino agli anni Ottanta, e poi in un'altra versione (estratta dall'album 'Live In Australia'). La versione live, nella quale Elton era sostenuto dalla 'Melbourne Symphony Orchestra', fu una hit nel tardo 1987 nella Top 10 degli Stati Uniti e ai primi del 1988 nel Regno Unito. Il rifacimento del 1997, che raggiunse la vetta delle classifiche in tutto il mondo, divenne il singolo più venduto di tutti i tempi, e raramente una singola canzone può aver non semplicemente catturato l'umore del pubblico, ma effettivamente espresso i sentimenti di così tante persone in maniera chiara.

Per contro, 'Bennie And The Jets' sembrava una scelta molto inverosimile come singolo statunitense, ma fu scelta a causa della sua immensa popolarità su WJLB, una stazione radio di Detroit di musica nera (R&B), dove a un certo punto l'80% delle richieste ricevute erano per questa traccia alquanto atipica, che trattava la strana storia di una star heavy metal di sesso femminile (presumibilmente inventata) in un completo di mohair con ''stivali elettrici''. Negli USA si sparse rapidamente interesse, e alla fine il singolo vendette oltre un milione di copie e raggiunse la vetta della US singles chart ai primi del 1974. Essa fu rilasciata come A-side di un singolo britannico nel 1976, quando Elton aveva lasciato la DJM Records, ma anche in questa maniera il brano raggiunse la Top 40. La B-side del singolo (il quale raggiunse la vetta della classifica statunitense) era la traccia finale dell'album, 'Harmony', ovvio tributo, musicale e vocale, agli eroi musicali di Elton (i Beach Boys).

Anche con una tale sovrabbondanza di ricchezza, come quattro grandi singoli da hit, 'Goodbye Yellow Brick Road' includeva ancora altri momenti salienti, non ultima la traccia d'apertura lunga 11 minuti e più, 'Funeral For A Friend (Love Lies Bleeding)'. Il lungo strumentale d'apertura ('Funeral For A Friend') era chiaramente il risultato di un'ispirazione che il produttore Gus Dudgeon procurò ad Elton: "Gus aveva sempre detto che avrei fatto uno strumentale, e un giorno ero davvero giù di morale e mi dissi: 'Che tipo di musica vorrei sentire al mio funerale?'. Mi é sempre piaciuta la musica dei funerali; mi piace la musica molto triste, di ogni tipo".

Il sontuoso sintetizzatore ARP del tecnico David Hentschel fornisce colore mentre 'Funeral...' avanza senza fatica e senza giunzioni attraverso diverse parti stilisticamente disparate, prima di svilupparsi nel rock insistente di 'Love Lies Bleeding', un chiaro addio a una precedente amante. Questa epopea in due parti non diventa mai noiosa malgrado la sua considerevole lunghezza.

Delle altre undici canzoni dell'album, 'Grey Seal' era apparsa in precedenza nel 1970, come B-side dello sfortunato singolo 'Rock & Roll Madonna', mentre 'Jamaica Jerk-Off', accreditata all'improbabile accoppiata Reggae Dwight & Toots Taupin, é un primo tentativo (vagamente osceno) di approccio all'innocente reggae, eseguito con buon senso dell'umorismo e ovvia affezione per il genere. Le intromissioni vocali sono accreditate a uno dei Prince Rhino, la reale identità del quale resta un mistero.

'The Ballad Of Danny Bailey (1909-34)' ritrova Bernie Taupin a tornare alla sua amata ispirazione oldamericana (come all'epoca di 'Tumbleweed Connection', tre anni e diversi album prima) in una storia ammonitrice della prematura morte di un contrabbandiere del Kentucky. L'epoca sono gli anni Trenta, piuttosto che i giorni di Jesse James e del selvaggio West, ma il tema alla Robin Hood dell'eroico rinnegato persiste. Introdotto da un pianoforte 'Dragnet', il 'Dillinger' menzionato fu il Nemico Pubblico n°1 ufficiale dell'FBI per alcuni anni, durante la Grande Depressione, ma fu giudicato dalla stampa e dal pubblico nella stessa maniera di qualcuno che fosse, per dirla con le parole della canzone 'Robin Hood' (un singolo ironicamente, nel 1956, nella Top 10 britannica per Dick James, fondatore e proprietario della DJM Records), "temuto dal cattivo, amato dal buono". La parte finale della canzone é strumentale, mettendo l'arrangiatore Del Newman al centro dell'attenzione.

E' inappropriato (non ultimo per ragioni di spazio) descrivere ogni brano in questo doppio album, un classico in modo assoluto, che raggiunse la posizione Numero Uno sia in Gran Bretagna che negli Stati Uniti, passando dieci settimane in pole position negli States e rimanendo di fatto nella classifica statunitense per due anni, con due settimane al primo posto nel Regno Unito durante un soggiorno in classifica di 21 mesi. Questo, come i lettori possono aver dedotto, é un album non comune!
John Tobler, Washington, 2003



da Rolling Stone del  22 novembre 1973

These boys--singer/piano player Elton John, librettist Bernie Taupin and producer Gus Dudgeon sure do relish their fantasy. One evening last summer I found myself in a screening room in Los Angeles with all of the above, plus the guitarist, the bass player and the rest of the white-suited English retinue that follows Elton around. The occasion was a command performance of American Graffitt, George Lucas' dream-sequence film of a night of teenage life in a California town in 1962. From the first scene on, watching the English musicians watch the film was almost as much fun as the film itself; their jaws collectively dropped in astonishment, as if they were invited guests to a surprise glimpse of their own mythology. The Americans were hushed and hissed down as they commented on the action. These boys didn't want to miss a line. In a way it was touching.

Goodbye Yellow Brick Road is a massive double-record exposition of unabashed fantasy, myth, wet dreams and cornball acts, an overproduced array of musical portraits and hard rock & roll that always threatens to founder, too fat to float, artistically doomed by pretension but redeemed commercially by the presence of a couple of brilliant tracks out of a possible 18.

Elton's and Bernie's fantasies are nothing new to the pop aficionado. The earliest records regaled us with successful British soft rock visions of the turbulent American Western myth--"Burn Down the Mission" and others. Elton was a superb pop singer, wrote engaging tunes to Taupin's interesting lyrics, and had a drummer, Nigel Olsson, who could haul ass to work.

This new record is a big fruity pie that simply doesn't bake. But, oh lord, how it tries. Elton plays in front of a thoroughly professional and creative instrumental group. Guitarist Davey Johnstone was a rare find when he joined the band a while ago: The guitar lines of the omnipresent AM hit "Saturday Night's Alright for Fighting" ably testify to his power. Producer Dudgeon alternates tasteful and tricky ideas with lank orchestrations that owe more to Richard Perry and Mantovani than to music per se. By and large I can appreciate Bernie's lyrics, though the hatred of women that pervades this cycle of songs is awesome in its rancor--check the words to "Dirty Little Girl," that make the fabled Jagger-Richard demimonde sweethearts seem more like Karen Carpenter.

The format of Goodbye Yellow Brick Road is straight ultramodern British music hall revue, numerous and largely unconnected musical tableaux accompanied by plenty of rock synthesized flash and the inspection of the inner feelings of several different versions of the Elton John persona.

So there's an eight-minute instrumental prologue featuring grandiose and tasteless typhoon whooshings, booming ecclesiastic organ, some stinging guitar that would be monumental if properly backlit but seems out of context against a lot of bleating. That segues into "Love Lies Bleeding," a rocker with a soaring, handsome chorus. "Candle in the Wind" is the first heavy lyrical fantasy, the tune is prettily solemn and unbelievably corny, a necrophiliac erection for Marilyn Monroe, despite the disclaimer: "Goodbye Norma Jean/From the young man in the 22nd row/Who sees you as something more than sexual/More than just our Marilyn Monroe." Oh, bullshit.

I like the end of the side, "Bennie and the Jets," a wimpy Sgt. Pepperish number (even to the point of dubbed audience noise) about a mythical rock & roll band. Elton's vocal is properly dramatic and funny too. The title tune that starts side two is real wimpy too, dedicated to some poor showbiz shlubbo who the boys say they're not going to have anything to do with in the future.

"This Song Has No Title": and rightly so too; it stinks, from its lyrics that sound like Robert W. Service on Stelazine to the tune that comes over like one of Tom Paxton's fainting spells. "Jamaica Jerk Off" is a dreadful sendup of ethnic reggae that does boast a good chorus. But get back, honky cat. You're good, but on your best day you'd be blown off the stage by Bob Marley and the Wailers, without their amps. So, smile when you sing them songs.

"Grey Seal" is a fine fast number, episodic and brilliantly produced, one of the few large-production numbers here that succeeds all the way through. "I've Seen That Movie Too" is an excellent if terribly bitter tune. This and "Candle in the Wind" are the slow strengths of this set.

"Movie" is the first of five portraits of women that are almost misanthropic in their anger. "Sweet Painted Lady" is a sudsy music hall song dealing with that most hackneyed of images, the whore with the heart of gold, "getting paid for being laid." Elton and Taupin have an enormous repository of nerve just to record this; amazingly they get away with it.

"All the Girls Love Alice": The boys find themselves in Stones territory, writing about a rich 16-year-old Sapphic who dies young. It's hard rock with a tender bridge, and stands with the stunning "Saturday Night" as the best things to be heard here. (I've been trying to figure if "Saturday Night" was written before or after the boys saw Graffiti.) The fourth side runs downhill: "Roy Rogers" deals with middle-class druggery--and isses its mark, the size of the-barn door, though Elton's singing is great. "Social Disease" is just another song about being drunk. "Harmony" ends the album on an ambiguous note, nothing special.

What are we going to do with Elton John? He can sing, play, emote and lead a band, but he can't get organized. This would have made a lovely, if slightly brittle, single P. But the best tunes are obscured by drivel and peculiarly bad feelings. Not all fantasies are so rosy. Ugly ones mar a nice guy's record.

STEPHEN DAVIS

 

da www.debaser.it


Elton John: Goodbye Yellow Brick Road
Recensione di: RingoStarfish, (05/10/2005)
Voto: * * * * º


Dai più snobbato come una sdolcinata checca con la paranoia dei capelli e degli occhialoni, Elton John è in realtà uno dei maggiori artisti comparsi tra le hit parade degli ultimi 35 anni.
Soprattutto durante il suo periodo d'oro, cioè il primo lustro dei '70, quando sfornava la media di due dischi all'anno riuscendo a spedirli entrambi in cima alle classifiche di mezzo mondo, sir Reginald Wright è stato una delle realtà più felici del mainstream moderno. Il talento di questo bizzarro ometto genuinamente british sta nell'esser prima di tutto un grande interprete, duttile ad ogni tipo di materiale. Anzi, la pecca principale sta proprio nel suo essere un passepartout pop che, in quanto tale, ha conseguito uno stile vocale piuttosto impersonale, seppur difficilmente confondibile: i celebri vocalizzi e i falsetti giovanili del nostro ad esempio sono diventati proverbiali per la loro espressività e sensibilità al testo.
L'inseparabile piano è un altro elemento tipico delle canzonette della nostra drag-queen: scanzonato, suonato a volte con dolcezza, a volte con la ferocia da rock'n'roller d'altri tempi, terribilmente profondo su ballate sempreverdi, evocativo sui pezzi più semplici ma incredibilmente emozionante.
A seguire Elton nelle sue continue peripezie discografiche c'è quasi sempre il suo paroliere di fiducia, il compagno d'adolescenza Bernie Taupin, un Sancho Panza misogino e spiccio ma pieno d'immaginazione, che ha svolto sempre con molta dignità il suo ruolo di Mogol della situazione.

Dopo un esordio scialbo e acerbo ("Empty Skies", 1969) i due daranno un primo, notevole assaggio delle proprie qualità in "Elton John" (1970), capostipite di una serie ininterrotta di blockbuster (almeno fino al flop devastante del doppio "Blue Moves", 1976). In pochi anni Elton John, con una ottima band fissa alle spalle (Dee Murray al basso, Davey Johnstone alle chitarre, Nigel Osson alla batteria) metterà a ferro e fuoco le top ten mondiali con infaticabile prolificità, pubblicando album ogni volta diversi, carichi della continua sfida di migliorarsi e di stupire un pubblico sempre più entusiasta. Dall'amaro "Madman Across The Water"(1971) ai viaggi lungo la storia statunitense di "Tumbleweed Connection"(1971), dalle gioie e dolori del giovane Elton di "Honky Chateau"(1972) al bizzarro pastiche anni '50 di "Don't Shoot Me, I'm Only The Piano Player"(1973).

In mezzo a questo periodo da vero Re Mida, Reginald decise di superare se stesso con il primo album doppio della carriera, il caleidoscopico "Goodbye Yellow Brick Road".
Concepito come un diario aperto sul mondo di John & Taupin, una collezione di sentimenti e ricordi, il concept diventa sempre più il collage sonoro di una storia musicale, il curriculum di quel che questi due furboni furono, fecero, provarono.
Dall'apertura con la suite progressive in due parti di "Love Lies Bleeding/Funeral For A Friend" veniamo accomodati sulle poltrone di uno spettacolo imponente, dove lo scopo è cercare di accontentare tutti. Viene realizzato così un efficace bignami che fosse un altro artista sarebbe già un greatest hits bell'e confezionato. Dal toccante omaggio a Marilyn Monroe di "Candle In The Wind", alla meravigliosa "Bennie And The Jets", azzeccatissimo racconto live di un gruppo di glam-rockers che affascina i ragazzetti di quartiere, dalla title-track autobiografica sull'inizio dell'età adulta fino alla pura poesia iniziatica di "This Song Has No Title" (titolo mitico), con Elton solo piano e voce lì a incantarci. Come dicevo ce n'è per tutti i gusti, dalle celebrazioni delle prostitute ("Dirty Little Girl") e del vivere alla giornata (la parodistica "Social Disease"), agli amori saffici in vena di psychedelia ("All The Girls Love Alice") seguiti dal contagioso hard-rock di "Saturday Night's Alright For Fighting".
Se ho scelto di parlarvi proprio di questo album è proprio perché è sicuramente rappresentativo di ciò che Elton John è e soprattutto è stato. "Goodbye Yellow Brick Road" è la perfetta introduzione al genio e alla mediocrità del caro sir, simbolo (in modo complementare forse a Marc Bolan e pochi altri) di cosa fosse vivere in quegli anni di romanzeschi eccessi e di creatività incontrollata, dove si poteva improvvisarsi senza pudori rasta-men d'esperienza ("Jamaica Jerk-Off"), solo perché si era andati in vacanza "ispiratrice" a Kingston ("beh c'erano già stati i Rolling Stones", spiegò) o inventarsi balli r'n'r mutanti con tanto di musichette circensi ("Your Sister Can't Twist But She Can Rock'n'Roll").

Se riuscirete ad apprezzare l'opera, ovviamente ridimensionandola ad un piacevole giocattolo melodico, potrete rivalutare anche l'eredità che ci ha lasciato questo simpatico e goffo principino decaduto del pop. E magari, scansando una marea di canzoni insulse e inspiegabili che disseminano una discografia fin troppo pingue (come il padrone), potrete imbattervi in veri gioielli (praticamente quasi l'intera produzione '70-'75) da ascoltare e riascoltare con stima, pochi pregiudizi e molta godibile passione.

da Ciao 2001 del 1973

IL NUOVO LP: GOODBYE YELLOW BRICK ROAD

Per oltre sei mesi ai primi posti delle nostre classifiche dei 33 con Don’t shoot me, I’m only the piano player e dei 45 con Crocodile Rock e Daniel, Elton John è in questo momento il cantante straniero più popolare in Italia.  Messa da parte l’etichetta di “traditore” per aver mancato due volte all’appuntamento promesso dagli organizzatori italiani, Elton è finalmente venuto lo scorso aprile a rafforzare la sua fama, e molto probabilmente tornerà ancora in dicembre.  Il nuovo album, il suo primo doppio, sta entrando prepotentemente nelle graduatorie di vendita.  Doveva essere l’album giamaicano del cantautore, così come Goat’s head soup lo è stato per i Rolling Stones e The foreigner per Cat Stevens.  Viceversa Elton, dopo aver trascorso qualche giorno nei Dynamic Studios dell’isola centroamericana , seguendo la moda, ne è rimasto profondamente deluso.  E Goodbye yellow brick road è stato registrato ancora una volta negli Strawberry del castello di Herouville, e poi missato a Londra.  Il parto artistico è però giamaicano.  Le canzoni sono state composte al sole di Kingston, pare in soli tre giorni; così come per Honky Chateau e per Don’t Shoot Me, I’m Only The Piano Player Elton ne avrebbe impiegati appena due.  “Arrivederci strada di mattoni gialli” è una raccolta eterogenea, capace di fornire un po’ tutte le immagini dell’eclettico pianista pazzo: le quattro facciate non sembrano perciò sprecate.  Gli accompagnatori sono i soliti, Gus Dudgeon è il produttore, e Bernie Taupin l’inseparabile paroliere.  Soltano Paul Buckmaster, l’arrangiatore, è stato sostituito da un altro nome popolare del campo, Del Newman (quello di Cat Stevens).  Ma analizziamo uno per uno i diciassette titoli dell’LP.Si apre con uno strumentale condotto dalla voce glaciale del sintetizzatore ARP, affidato a David Hentschel e dall’orchestra: un adagio che rammenta solenni marce funebri: Funeral For A Friend che si sviluppa poi in una ballata tipica e di atmosfera, Love Lies Bleeding; in chiusura un lirico assolo di Davey Johnstone, che come altrove libera il pianista dall’onere della conduzione strumentale.  Candle In The Wind è dedicata a Marilyn Monroe (Norma Jean), figura emblematica che il rock decadente ha riscoperto accanto alle femmes fatales delle decadi precedenti – Marlene Dietrich, Greta Garbo, Jean Harlow, Laureen Bacall -.  “Hollywood creò una superstar e il dolore è il prezzo che pagasti” canta Elton.  La prima facciata si chiude con Bennie And The Jets, un brano dalle strane figurazioni ritmiche ripetute ossessivamente, con il cantante spesso in falsetto, e qualche applauso fittizio aggiunto per sconosciuti motivi da Dudgeon.  Il pezzo che da il titolo alla raccolta, Goodbye Yellow Brick Road è una ballata ritmata con il piano in bella evidenza.  La tastiera anche nelle melodie più dolci acquista con Elton una sua fisionomia particolare, diviene uno strumento ritmico e percussivo, con una chiara predilezione per il tocco breve, scattante, asciutto.  Sono al contrario la voce o l’orchestra a stabilire la melodia.  Uscito anche su 45 giri, ripropone il tradizionale dilemma di Elton: compositore eccellente o principe del “muzak”, così come lo furono i Beatles di Michelle?  La successiva This Song Has No Title vede Elton tutto da solo, impegnato al piano acustico, al mellotron, al piano elettrico e all’organo che ha sempre odiato (diceva che era troppo ingombrante e lui troppo pigro per imparare a suonarlo seriamente.  Si tratta di una canzone vivace da cui traspare una malinconia velata che alla base di tutti i capolavori dell’artista, ultimo fra i quali Daniel.  In Grey Seal si ascolta la forza ritmica dei suoi accompagnatori, sovente trascurati, e viceversa lucidi, efficaci, impeccabili.  Un pezzo immediato di grande presa.  Segue Jamaica Jerk-off, l’unico ricordo vivo del periodo giamaicano: un reggae naturalmente, compilato secondo le formule classiche del ballo isolano (ma il reggae già compariva nel refraindi Crocodile Rock, ricordate?)  Per l’occasione Elton ripesca il suo vero nome e si firma, storpiandolo all’uopo, Reggae Dwight.  Un pezzo, ovviamente, di poche pretese.  In I’ve Seen That Movie Too si torna alla sottile tristezza di parecchi altri episodi del cantautore, e il brano sembra buttato giù con poca voglia, con l’arrangiamento finale di Newman smielato e senza mordente.  La terza facciata si apre con Sweet Painted Lady un immagine del ruolo della prostituta, eseguito in stile anni Quaranta con un sottile gusto old-fashioned che si continua nella successiva The Ballad Of Danny Bailey (1909/34) sorta di cebrazione di un personaggio alla Bonnie & Clyde.  Con Dirty Little Girl si torna all’Elton ritmato e ripetitivo.  Migliore  All The Girls Love Alice in cui ci si allinea sulle posizioni più tipiche di Don’t Shoot Me.  Da sottolineare l’impiego sempre efficace e funzionale, del sint: ancora una volta è l’ARP di Hentschel.  In questo stesso brano compaiono il percussionista Ray Cooper  e la cantante Kiki Dee, una degli artisti lanciati dalla Racket Records.  Le parole sono intorno all’amore lesbico.  Un altro testo divertente è quello di Your Sister Can’t Twist (But She Can Rock’n’roll) un rock scatenato tipo anni Cinquanta, sul modello di Crocodile Rock per intenderci, che introduce la quarta facciata, la più ballabile di Goodbye Yellow Brick Road.  Una musica spontanea, carica, violenta, su giri armonici collaudati da vent’anni e sempre avvincenti, se pure senza ambizioni.  Saturday Night’s Alright For Fighting già un successo su 45, è un brano rock’n’roll, un brano che potrebbe essere uscito dalle menti di Mick Jagger e Keith Richard.  Questa porzione dell’album sembra la vetrina degli omaggi, dopo gli Stones arriva Bob Dylan di My Back Pages, gustosamente rievocato, per non dire scopiazzato, in Roy Rogers, una ballata tra le cose migliori del 33.  Social Disease è una sorta di Honky Cat capitolo secondo, con Davey al banjo e con tutte le prerogative e le gimmicks spettacolari di Elton: il ritmo sincopato, la voce in falsetto, l’honky tonk dietro l’angolo.  “Sono un esempio di malattia sociale”, egli canta: e allude forse simbolicamente  al rock fagocitato dall’industria della canzonetta?  Infine Harmony, una melodia di stampo classico che chiude senza infamia ne lode un album tutto sommato positivo

Enzo Caffarelli

da Musica di Repubblica del 25.03.04

Orchestre, Marilyn, gangster, tv e lucciole: Elton al top della forma

Nel dvd allegato alla ristampa si sente dire :"Goodbye Yellow Brick Road era il Pet Sounds di Elton John, il suo Sgt. Peppers". Niente di più vero. Fisicamente Elton restò nello chateau dove lui e la sua band avevano creato una specie di comune, ma con la testa sbarcò in America. Cantò della "mitologia" americana e i testi di Bernie Taupin gli fornivano spunti a ripetizione: i gangsters (The Ballad of Danny Bailey), il cinema (Candle in the Wind), la tv (Roy Rogers), la musica (Bennie & the Jets), il sesso (Sweet Painted Lady). Allora pareva un disco lungo, oggi fin troppo conciso. Un travolgente capitolo di storia del pop. Elton saltava come un capriolo fra un accordo e l'altro. Invenzioni continue. C'è anche una Candle in the Wind per chitarra e voci da star male, e altri 3 inediti non da poco. Altro?

Enrico Sisti

da http://www.musicboom.it  (03/04/2004)

La strada di mattoni gialli

di Carlo "Cruel" Crudele

La collana americana di dvd che ripropone il making of dei cosiddetti “classic albums” ha molti pregi: tra essi, la rivalutazione di personaggi quali Paul Simon o Elton John, che oggi sono poco in vista per una perdita di smalto ed un imborghesimento fisiologici dopo tanti anni, ma di cui non bisognerebbe mai dimenticare gli indubbi meriti.

Mr. John, per esempio: oggi lo vedete piangere Lady D (e, in generale, qualunque deceduto di fresco abbia indossato abiti griffati Versace) cucendogli addosso una Candle In The Wind stuprata più e più volte. Ma ieri Reg Dwight fu l’autore di album storici, Madman Across The Water su tutti (ne avete sentito uno dei pezzi migliori, Tiny Dancer, sul cult movie Quasi Famosi), ed è giusto e bello vedere il suo “white album” riportato per un’oretta ai fasti di cui malauguratamente non gode.
Goodbye Yellow Brick Road non è il miglior prodotto di Elton John, ma è sicuramente la summa del John-pensiero: Elton John prototipo dell’attuale cantautore di canzoncine usa-e-getta, quello che “se il pezzo non viene dopo il quarto o il quinto tentativo butto via tutto”, ma anche l’illuminato esploratore della classica sequenza II-V-I, che solo nelle sue mani riesce tuttora a reggere, trenta e passa anni dopo.

Non c’è genialità in Elton John, né peculiarità che ne rendano rapidamente identificabile la produzione: il pianista del Middlesex (“io nasco come pianista, ho dovuto adattarmi a cantare le mie canzoni quando ho visto che nessun altro voleva farlo”) è un fast runner, che in questo dvd viene dipinto da amici e collaboratori come un macinapezzi, un brano via l’altro registrati da lui e dalla band praticamente in presa diretta nel bel castello francese di Hierouville.
Ed è così che, sotto la attenta supervisione di Gus Dudgeon, nasce Goodbye Yellow Brick Road, polpettone di ben diciassette brani in cui non tutto è commestibile ma che di sicuro porta in dote pop melodies di altissima caratura quali Roy Rogers, Harmony, Sweet Painted Lady e quella Funeral For A Friend/Love Lies Bleeding che persino i Dream Theater omaggeranno quasi un ventennio più tardi.

E, se i travestimenti e i parrucchini un po’ tristi di zio Reginald possono dare l’idea di un impenitente sbruffone, l’Elton John di oggi che rivive il periodo della strada dorata (“è inutile, fu un periodo unico che non potrà più tornare”) è incredibilmente umile: minimizza ciò che il documentario vorrebbe esaltare, dicendo che per lui il tutto era una sorta di allegra e spensierata routine, nessuna metafisica ma una prassi consolidata con Taupin che gli passava i testi e lui che ci scriveva sopra un pezzo. Laddove, in un analogo dvd a loro dedicato, U2 e compari si superano nell’autocelebrazione un po’ stantia del pur ottimo The Joshua Tree, Elton John non fa mistero dei suoi metodi più che comuni, dei suoi problemi di allora nella scomoda posizione di sex symbol al pianoforte (“non puoi essere un sex symbol col pianoforte: immagina dover correre per il palco con un attrezzo di 25 metri dietro”), ma anche dell’attaccamento fisiologico allo strumento, quasi una coperta di Linus che fa fatica a mollare quando sul palco c’è da fare carne di porco con Saturday Night’s Alright For Fighting.

Prodighi di dettagli si dimostrano invece Gus Dudgeon, Davey Johnston e Nigel Olsson, rispettivamente produttore, chitarrista e batterista della band di supporto che allora accompagnava John sia in studio che sul palco: è la parte migliore di questi documentari, dove vengono resi disponibili piccoli aneddoti e trucchi di lavorazione che hanno fatto la differenza. Dudgeon isola le tracce degli splendidi cori e parla del pianoforte “chiuso” che usava John per le registrazioni, mentre il vecchio Davey (che la vecchiaia ha reso, ahinoi, ancora più brutto di quanto non fosse ai tempi) si esibisce in alcuni dei riffoni più popolari contenuti nell’album.
C’è poi una bella pletora di agiografi improvvisati (Tim Rice, Rick Frio, il dj Pat Pipolo innamorato follemente di Bennie And The Jets, persino la presidentessa dell’Elton John Fans Club) e la testimonianza dell’esemplare arrangiatore Del Newman, senza cui probabilmente tracce come The Ballad Of Danny Bailey o la stessa Harmony non avrebbero avuto una tale austera risonanza.
Chiude il cerchio Bernie Taupin, paroliere storico di John, anche lui con la sua mole di ricordi ed analisi più o meno pertinenti ai testi dei diciassette brani.

Una bella commemorazione per Elton John – che casca a pennello soprattutto oggi, con le sue azioni in calo perenne da almeno un decennio – ma soprattutto un modo interessante di ricordare Goodbye Yellow Brick Road. Che, con i suoi pregi ed i suoi difetti, è indubitabilmente un evergreen da rispolverare.    


da www.musicadalpianetaterra.net

di  
Mauro Ronconi

Il codice dell'esemplificazione del doppio livello del pop, quello dell'integrità artistica e quello della potenzialità commerciale. In bilico tra kitsch e make-up da vaudeville, Goodbye... è una fantastica messinscena hollywoodiana di un pianista da piano-bar che gioca alla pop-star ambigua, travestito con paillettes e lustrini, con occhialoni mai visti e con trampoli da vertigine. Canzoni - quadro impegnate a recuperare i resti di una mitologia comune, dal rock and roll agli eroi di celluloide, rivisitate con poca nostalgia e tanta affettuosa modernizzazione. Dalla voce di Reginaldo fioriscono immagini e sussurri in un excursus da voyeur sofisticato: il volto fatato di Marylin Monroe ed emozioni da B-movie, la perversione di Alice e i cowboy da serial Tv, ricordi e donnine facili dall'ingenuità invitante, il reggae e la torch song, il glam-rock e la grande orchestra. Tutto si abbraccia in una musica incalzante, cronometrata e cesellata con precisione sul sentimento, sino a trasfigurarsi in lontananza sulla `strada di sassi gialli', portandosi via sogni e rimpianti. Dietro questa maschera appariscente c'è un'anima triste e insicura, c'è un pianista di piano bar che suona il rock and roll sino a sfinirsi, con l'ombra di Ingrid Bergman che si avvicina e gli chiede quella vecchia canzone cosi carica di nostalgia e cuori spezzati.

Elton John bridges the gap between rock bands and solo acts. He could have gone in either direction but instead chose to go in both at the same time, throwing his version of contemporary vaudeville in for good measure. He has already out-distanced his most pretentious pretender to the throne, David Bowie, as the best of Britain's self-conscious pop stars. He often makes up in breadth what he lacks in depth, touching on many things with sophistication, but rarely getting to the bottom of any one of them. His voice is too limited to do justice to the variety of his material and he often unintentionally levels the differences between songs when he means to explore them. Nonetheless, taken a side at a time, the four-sided Goodbye Yellow Brick Road is thoroughly enjoyable, the rockers moving out with more gusto than those of many bands that work exclusively in that genre, the ballads exploring his and lyricist Bernie Taupin's romanticism without apology. The production (by Gus Dudgeon) and arrangement (by Del Newman) touches are almost always interesting and often engagingly excessive. In fact, no matter how far afield he wanders, I always know Elton John is a rocker because he's so damn brazen. 

John Landau, Rolling Stone, 06/06/74


A superb set from the British artist who has not missed yet. As always, Elton John's keyboard playing is superb, and his vocals range from the raucous rock he has often been associated with to extremely pretty ballad material. LP seems fuller in many ways than some previous efforts, with strong guitar work from Davey Johnstone and excellent background vocals from the entire group. John seems able to sing almost any type of material, from rock to county to Jamaican-flavored tunes, and this double set exposes this even more. As usual, fine words from Bernie Taupin. Best cuts: "Goodbye Yellow Brick Road," "Grey Seal," "I've Seen That Movie Too," "The Ballad Of Danny Bailey (1909-34)," "Dirty Little Girl."

Billboard, 1973


After many fumbles and a great many more near-misses, Elton John is back and stronger than he's been on record in many a blue moon. This lush two record set moves from mood to mood with no apparent effort and a great sense of timing, class and style. I've never been one of the people who found "Rocket Man" (a "Space Oddity" rip-off no matter what anybody says) or "Daniel" as fulfilling as "Your Song," "I Need You To Turn To" or "Border Song." So, as the years passed and the man became more and more flamboyant, I kept thinking his music was really suffering from all this adulation. But Elton finally has met his original potential and whether he's singing the delicate and beautiful "Goodbye Yellow Brick Road" or rocking out to "Your Sister Can't Twist (But She can Rock n' Roll)" he always hits the mark rather than scoring a near miss. Bernie Taupin is pursuing the many facets of a dying Hollywood, much in the style Ray Davies did on the Kink's Everybody's In Showbiz epic, and in many songs, especially "Roy Rogers," he's sentimental and sensitive without ever slipping into that dangerous songwriter's trap of banality. "You draw to the curtains/And one thing's for certain/You're cozy in your little room/The carpet's all paid for/God bless the T.V./Let's go shoot a hole in the moon," Elton sings. When you are not forced to look at Mr. John's ridiculous get-ups it's easy to believe in him once more. Harmony" is a change of pace number. Haunting and subtle it has great mid-sixties three-part harmony (natch) with backup vocals compliments of Davey Johnstone and Nigel Olsson. The song sounds as if it might have been recorded for the first or second Bee Gee's LP, way back when they were a great band. "Harmony" may never be a single but it's a star track and a perfect end for a near perfect album. 

Janis Schacht, Circus, 01/74


da All Music Guide

Goodbye Yellow Brick Road was where Elton John's personality began to gather more attention than his music, as it topped the American charts for eight straight weeks. In many ways, the double album was a recap of all the styles and sounds that made John a star. Goodbye Yellow Brick Road is all over the map, beginning with the prog rock epic "Funeral for a Friend (Love Lies Bleeding)" and immediately careening into the balladry of "Candle in the Wind." For the rest of the album, John leaps between popcraft ("Bennie and the Jets"), ballads ("Goodbye Yellow Brick Road"), hard rock ("Saturday Night's Alright for Fighting"), novelties ("Jamaica Jerk-Off"), Bernie Taupin's literary pretensions ("The Ballad of Danny Bailey"), and everything in between. Though its diversity is impressive, the album doesn't hold together very well. Even so, its individual moments are spectacular and the glitzy, crowd-pleasing showmanship that fuels the album pretty much defines what made Elton John a superstar in the early '70s.

Stephen Thomas Erlewine

 
 
 
anno/label 1973 - DJM in UK, MCA in USA 
produzione Gus Dudgeon
arrangiamenti orchestrali Del Newman
studio Strawberry Studios, Heroville, Francia
musicisti Nigel Olsson: batteria, congas, cori; Ray Cooper: percussioni; Dee Murray: basso, cori; Davey Johnstone: chitarre, cori; Leroy Gomez: sassofono; Dave Hentschel: sintetizzatore; Kiki Dee: cori; Elton: piano, mellotron, organo Farfisa
note Ottimo album doppio che consacrò Elton con una permanenza record nelle classifiche Usa; grandi canzoni, molte indimenticabili, peccato Del Newman che non è certamente Paul Buckmaster; Elton è al top della seconda fase della sua carriera.